"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 8 marzo 2025

CosedalMondo. 36 Javier Cercas: «Il XX secolo è stato degli Stati Uniti; il XXI forse non lo sarà: Trump è il sintomo di una decadenza in incubazione da anni».


Non lo capisco: da dove viene tutta questa agitazione? Non sapevamo chi fosse Trump? Non avevamo sentito i suoi discorsi? Non ci eravamo accorti che non è un politico, ma un bullo? Ignoravamo che, (…), capisce solo il linguaggio della forza? Avevamo dimenticato che, (…), disprezza la democrazia e che aveva organizzato un colpo di Stato? Nessuno ci aveva detto che odia l’Ue (…) e che non vuole un’Europa unita (da qui il suo sostegno ai leader europei che cercano di smantellare l’Ue)? Non era evidente che questo secondo Trump, circondato da magnati ossequiosi e imbevuti di tecno-autoritarismo, sarebbe stato peggiore del primo? (…). Credevamo che avrebbe minacciato guerre commerciali suicide con il Messico e il Canada, ma non con noi? Non era ovvio che in Ucraina avrebbe cercato di accordarsi con il suo complice di Mosca senza consultare gli europei, un accordo perfetto per la prossima invasione russa (le stazioni successive: Moldova e i Paesi baltici)? Tutto questo e molto altro lo sapevamo benissimo, ma facevamo finta di non saperlo, e ora ci scontriamo con la realtà: non è un’iperbole dire che Trump aspira alla distruzione della democrazia, e per far questo deve rompere o indebolire l’Europa, il grande baluardo della democrazia, e smantellare gli organismi internazionali, al fine di abolire un ordine mondiale basato su regole e fondare un nuovo ordine autoritario, governato dall’unica legge che rispetta: la legge del più forte. Questa è la situazione e chi non la vede è perché non la vuole vedere. Quindi l’Europa deve rispondere immediatamente. Come? Ci sono almeno cinque cose di buon senso. La prima è capire una volta per tutte che un’Europa unita - cioè un’Europa federale, capace di combinare l’unità politica con la diversità linguistica, culturale e identitaria - è l’unica garanzia di pace, prosperità e democrazia nel continente, nonché della sua rilevanza nel mondo. La seconda è rendersi conto che, almeno in Europa, la divisione fondamentale non è più quella che separa la sinistra dalla destra, ma l’internazionalismo dal nazionalismo, l’europeismo dal sovranismo, l’apertura mista e inclusiva dall’isolamento purista ed esclusivo. (…). Terzo: l’Europa non deve dipendere dagli Stati Uniti, deve essere autonoma sotto tutti i punti di vista - politico, energetico, difensivo - e parlare con una sola voce nel mondo, chiara e potente. Quarto: è urgente che l’Europa prenda coscienza della propria forza; siamo la terza economia del mondo (la prima, prima del disastro reversibile della Brexit), usiamo la seconda moneta più forte e disponiamo di uno dei mercati più importanti; dobbiamo liberarci dal complesso di inferiorità nei confronti degli Stati Uniti - come ha detto Joseph Stiglitz -, dobbiamo sfidare gli Stati Uniti e la Cina invece di cercare di placarli - come ha detto Abraham Newman - abbiamo molto più potere di quanto crediamo, e se non lo esercitiamo è per mancanza di unità, ambizione politica, visione storica, fede in noi stessi. C’è una quinta cosa: e se il mondo stesse aspettando l’Europa? E se avesse bisogno di noi molto più di quanto immaginiamo? Arancha González Laya, ex ministra degli Esteri, l’ha detto così: «Ci sono molti Paesi che si sentono già orfani e bisognosi di un partner stabile e serio come l’Ue, che è un’isola di stabilità e affidabilità di fronte a questi Stati Uniti che sono oggi l’epicentro dell’instabilità geopolitica globale». Il XX secolo è stato degli Stati Uniti; il XXI forse non lo sarà: Trump è il sintomo di una decadenza in incubazione da anni. Chi dominerà il futuro? Lo spietato autoritarismo cinese o l’Europa con la sua democrazia, con il suo welfare e il suo ordine internazionale basato sulle regole? Che cosa preferisce il mondo? Che cosa preferisce lei?
(Tratto da “Come rispondere a Trump” dello scrittore Javier Cercas, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, venerdì 7 di marzo 2025).

sabato 1 marzo 2025

Lavitadeglialtri. 76 Gabriele Romagnoli: «L'unica volta in cui ho partecipato a un talk, il conduttore mi chiese: "Qual è il regalo più bello che tu abbia mai ricevuto?". Risposi: "La fiducia, da mio padre"».


Già da parecchio era cessato il cattivo tempo; la stagione veniva avanti; e all'improvviso fiorirono i mandorli il primo di marzo. Scendo il mattino in Piazza di Spagna. I contadini hanno spogliato dei suoi rami bianchi la campagna, e i fiori di mandorlo caricano le ceste dei venditori. La mia attrazione è così forte che ne compro un fascio intero. Ci vogliono tre uomini a portarlo. Rientro insieme a tutta quella primavera. I rami si impigliano nelle porte, dei petali nevicano sul tappeto. Ne metto dappertutto, in tutti i vasi; ne faccio bianco il salotto, dove Marceline, in quel momento, non c'era. Già mi rallegro della sua gioia... La sento venire. Eccola. Apre la porta. Vacilla... scoppia in singhiozzi. «Che cos'hai, mia povera Marceline?». Mi affretto accanto a lei; la copro di tenere carezze. Allora, come per scusarsi delle sue lacrime: «L'odore di questi fiori mi fa male» dice lei. Ed era un fine, fine, un discreto odore di miele... (Tratto da “L'immoralista” – 1902 – di André Gide).

venerdì 31 gennaio 2025

Uominiedio. 56 Pier Paolo Pasolini: «Anch’io sono caduto da cavallo come Paolo, ma un piede è rimasto nella staffa e così continuo a battere la testa qua e là!».


(…). Intendiamoci, perfino san Francesco, mosso dal suo ardente amore per il corpo e il sangue di Cristo, aveva detto ai suoi frati di celebrare il culto divino in vasi preziosi: unico caso in cui potevano venire in contatto con oro e gemme. Ma lo faceva sapendo di parlare a persone che avevano lasciato tutto per vivere in povertà, lontani dal potere e dediti a soccorrere i poveri. E la storia dell'oreficeria sacra è una lunga storia d'amore, che conosce pagine artisticamente altissime. Ma nelle opere inviate in Terrasanta lungo l'età moderna, non c'è traccia di amore: solo del lusso dei sanguinari potenti che dominavano il mondo, e che speravano di lavarsi l'anima dedicando a Dio una parte infima delle enormi ricchezze di cui si appropriavano con violenze inenarrabili. Un lusso sfacciato: mostruoso. Prendiamo
(la) lampada donata da Giovanni V del Portogallo a metà Settecento. È d'oro massiccio, proveniente dalle miniere brasiliane. Se ci chiediamo chi estrasse quell'oro, destinato a finire dall'altra parte del mondo, a Gerusalemme, la risposta è: schiavi. Cinque milioni di persone furono strappate dai loro villaggi africani per essere deportate in Brasile, tra il 1500 e il 1800: nel Paese che fu l'ultimo ad abolire la schiavitù, nel 1888. Guardando lo splendore di quell'oro, pensate alla tragedia di quelle vite, consumate nella privazione della libertà, e nella più estrema povertà. E poi leggete queste parole, che sembrano pensate proprio per questa lampada, e che in realtà sono state scritte mille e quattrocento anni prima, da san Giovanni Crisostomo: «Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane... Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro. Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere... Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni». Amen. (Tratto da “Quei doni grondano sangue” di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 24 di gennaio 2025).

mercoledì 29 gennaio 2025

Lavitadeglialtri. 71 Destini.

“Gaza, 27 di gennaio 2025”. Il sogno di tornare a nord alla fine si sta avverando. Ieri mattina ci è stato dato il permesso di attraversare i check-point del corridoio Netzarim e tornare nel nord della Striscia, dove molti di noi hanno lasciato le loro case un anno e mezzo fa. Da sud fino a Gaza City il viaggio è lungo circa 17 km. Ieri mi hanno svegliato le grida: erano le cinque di mattina, ho sentito le voci degli zii che dicevano che era ora di partire, che dovevamo metterci in marcia. Abbiamo preso la strada di Al-Rashid, lungo la costa, quella dove si può camminare a piedi. Siamo entrati in una coda infinita. Dicono che siamo in 300 mila. Ho visto accanto a me una donna con un sacco in una mano e la figlia in braccio. Un'altra spingeva una sedia a rotelle con sopra la madre. In mezzo a noi correvano i bambini, ignari di quello che stavano facendo. Molti adulti, invece, marciavano e piangevano. Qualcuno mi passa dell'acqua, a qualcuno passo del pane. Tornare indietro è bellissimo, anche se non ci aiuta nessuno. Non abbiamo visto nessuna istituzione, nessuno di quelli che avevano promesso autobus gratis per gli sfollati e cure mediche per sfollati e cure mediche per chi ne avesse avuto bisogno.  Avevano detto che ci avrebbero accompagnato nel cammino: non si è visto nessuno, ieri. Ma la gente intorno a me non ci pensa: sono tutti troppo presi dalla marcia. Camminano per restare vivi, non hanno tempo per il resto. Ho visto i post degli attivisti sui social network, video e foto nelle stories per documentare il viaggio di tanti di noi, raccontando tutto il dolore che la gente si porta dietro. Ho cercato le storie di tutti i miei amici: camminavamo sulla stessa strada, più avanti o più indietro di me. Ho visto qualcuno arrivare sulle macerie di casa sua e piangere. Qualcuno invece si è messo a cantare. Altri non sono mai arrivati, perché non sono riusciti a spostare qualche familiare o i figli. I civili di Gaza come me, hanno aspettato questo momento per più di 460 giorni. Un tempo durante il quale ci eravamo convinti che non saremmo mai più tornati a casa che il nostro destino era di rimanere sfollati per sempre. E invece, da ieri, i sogni di tutti sono cominciati a di ventare realtà. Lungo la strada ho visto i resti delle tende che abbiamo usato, dei bagagli che eravamo riusciti a portarci dietro durante i numerosi spostamenti. Per arrivare a Gaza sono più di l7km a piedi: ti porti solo un sacchetto di cose, non di più. Ogni due passi c'è qualcuno che fa un video o una foto, ma nessuno che ti aiuti ad andare avanti. I media palestinesi hanno provato a dipingere questa nostra marcia come una vittoria. Hanno ripreso e mandato in onda scene di giubilo, ma non ho visto nessuna clip di quell'anziano che si teneva le ginocchia ansimando perché non ce la faceva più a camminare, e voleva un goccio d'acqua. I media hanno provato a mostrare al mondo il nostro contegno dignitoso per i morti, ma che vittoria è mai questa; se camminiamo sulle macerie di casa nostra? Prima del 7 ottobre non avevano alcun bisogno di questi racconti dei corrispondenti tv. Non ci serviva tornare a casa perché stavamo già a casa nostra, con la nostra dignità intatta. Non morivamo di fame e non eravamo sfollati. Vivevamo con le nostre piccole cose e non ci servivano scene di vittoria alla tv. Adesso stiamo tornando a casa, a nord. Prima o poi ci renderemo conto che stiamo tornando su delle macerie. La gente non dimenticherà. Niente potrà mai togliere dalla memoria queste scene: di giubilo, certo, ma anche di tristezza, di umiliazione, di oppressione e di solitudine. (Tratto da “Il mio esodo verso Nord: non chiamatela vittoria” di Aya Ashour pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, 28 di gennaio 2025).
 
“Germania, gennaio 1945”. “Memorie di una bambina nel bunker”
, intervista di Emanuela Giampaoli alla scrittrice Helga Schneider pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 24 di gennaio 2025: Una bambina di sei anni in ghingheri con il fratellino in completo tirolese. Sorridono in favore dell'obiettivo e sono entrambi bellissimi. È una delle rarissime foto della scrittrice Helga Schneider da piccola. Il ritratto di un'infanzia serena. Nella Germania del 1943. «Non ricordo quando fu scattata», spiega Schneider che oggi di anni ne ha 87, «ma non sono mai stata una bambina felice. Sono cresciuta senza l'amore di una madre, la mia mi abbandonò a quattro anni per arruolarsi come ausiliaria nelle SS». (…)

martedì 21 gennaio 2025

CosedalMondo. 28 “Il 20 di gennaio…”.


Sopra. Immagine di Donald Trump realizzata con l'intelligenza artificiale dal fotografo e artista Phillip Toledano.