“Solo chi legge può salvarci dal sovranismo”, testo di Antonio Scurati pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, mercoledì 8 di ottobre 2025: «Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga». Lo affermava Albert Camus al momento di ricevere il premio Nobel per la letteratura in un discorso divenuto emblema dello engagement intellettuale. (…). È risaputo che, negli ultimi cinque secoli, il processo di alfabetizzazione di massa, unitamente al diffondersi delle pratiche di scrittura e lettura, ha creato le premesse per la nascita della democrazia. Tra le svariate forme di parola generativa di sovranità popolare il giornalismo e il romanzo hanno probabilmente dato il contributo maggiore. Il giornalismo perché l’opinione pubblica occidentale – che interpella e critica il potere – nasce agli inizi dell’età moderna dall’incontro tra giornali periodici e caffè, intesi come luoghi di dibattito pubblico e aperto sulle questioni di interesse collettivo. Il romanzo perché eredita il respiro dell’epica ma sostituisce la poesia con la prosa e le gesta splendide e memorabili degli eroi con le vicende quotidiane e oscure di persone umili e comuni. Il romanzo – paradiso degli individui – prospera, dunque, quale forma di letteratura eminentemente democratica affermando il principio inaudito secondo il quale ogni vita è degna di essere raccontata e, per di più, in qualsiasi forma, anche e soprattutto con una lingua popolare, consona ai suoi moderni anti-eroi. Meno risaputo, invece, il fatto che in appena vent’anni di questo nuovo secolo il trionfo dei social media ha già generato una gigantesca risacca di analfabetismo letterario di ritorno. Eppure è un fatto. Le neuroscienze hanno dimostrato da tempo che lettura veloce di scorrimento superficiale e lettura orientata, vale a dire i modi che il web richiede e promuove, inabilitano addirittura a livello di circuiti neuronali le capacità di lettura profonda richieste e coltivate da testi di natura complessa, siano essi romanzi letterari, articoli di approfondimento giornalistico o saggi scientifici. Al decadimento delle capacità di lettura profonda segue un vero e proprio decadimento delle capacità intellettive fondamentali: i ragazzi nativi di ambienti saturi di informazioni immediatamente digitalizzate, o gli adulti analfabeti funzionali di ritorno, non soltanto non comprendono più ciò che leggono ma perdono le capacità cognitive di analizzare e selezionare le informazioni, di riflettere sui livelli di significato, di produrre inferenze, di concentrarsi, sintetizzare e ricordare, di esercitare il senso critico. Non sono nemmeno più in grado di empatizzare con personaggi e autori di narrazioni complesse, vale a dire che non sono più in grado di immedesimarsi in una vita straniera. Insomma, masse crescenti di nostri contemporanei non solo non sono più atti alle pratiche di lettura che hanno favorito negli ultimi cinque secoli lo sviluppo della democrazia liberale in Occidente ma perdono perfino le facoltà mentali che negli ultimi cinquemila anni hanno scandito lo sviluppo intellettuale della specie umana. Intrappolati in camere dell’eco nelle quali gli algoritmi dei motori di ricerca forniscono solo frammenti di informazioni a rinforzo di opinioni precedenti, in balia di paranoiche paure, di credenze irrazionali, di emozioni vanenti che li isolano da prospettive alternative, dalla conoscenza, dalla memoria del passato, dalla speranza nell’avvenire e, in definitiva, dal mondo, gli “analfabeti digitali” vegetano, dimentichi e creduli, aggressivi e ignoranti, oppressi e opprimenti, come idioti del cosmo. E no, questa non è una fantasia proveniente da un futuro distopico. È la realtà del nostro distopico presente. I risultati di una recente ricerca condotta dalla Florida University e dallo University College di Londra sulle abitudini di lettura ci dicono, infatti, che negli Usa gli individui che dedicano una parte, anche minima, della loro giornata alla lettura, purché per libera scelta e non per necessità di studio o lavoro, sono diminuiti del 40 per cento in vent’anni. Sarà, dunque, un caso che proprio gli Stati Uniti d’America della seconda presidenza Trump rappresentino la punta avanzata del vasto moto occidentale di demolizione della democrazia liberale? Questa sì che è una domanda retorica. La risposta è implicita e implica un giudizio: no, non è un caso. Non è un caso perché c’è un legame, causale e storico, tra sviluppo della letteratura (nella più vasta accezione possibile) e sviluppo della democrazia. E c’è un legame anche tra la decadenza di entrambe. Per la prima volta da cinque secoli a questa parte, la base della piramide di lettori non si allarga ma si restringe. Indubbiamente, la capacità di lettura profonda ha accompagnato, lungo tutta l’età moderna e contemporanea, l’avvento di una società aperta e di ordinamenti democratici. Altrettanto indubbiamente, la perdita di quelle capacità ne accompagna e favorisce, oggi, il tramonto. Del resto, cento anni fa, l’avvento del fascismo, in Italia e poi in Europa, fu preparato da una sapiente, potente e sciagurata operazione linguistica di brutale semplificazione ideologica della complessità della realtà moderna. Benito Mussolini, prima che capobanda e dittatore, fu giornalista brillante e dirompente. Rivoluzionò il linguaggio della comunicazione politica dell’epoca, imponendovi una semplificazione brutale ma terribilmente efficace. Frasi brevi – soggetto, verbo, complemento oggetto – sempre precedute dal pronome “Io” che introduceva la sedicente identificazione totale di leader e popolo, prive di qualsiasi preoccupazione di coerenza ontologica con la realtà o cronologica con ciò che si era detto ieri o che si sarebbe detto domani. Ogni frase uno slogan, ogni slogan una stilla d’odio. Era una lingua al servizio di una politica della paura, veicolo di una propaganda rozza quanto efficace: tutti i problemi del mondo ridotti a uno solo, quel problema a un nemico, quel nemico a uno straniero, quello straniero a una minaccia esistenziale e, dunque, uccidibile. Cent’anni dopo, il populismo sovranista gli fa eco ai quattro angoli del pianeta. E, allora, in calce e di fronte a tutto questo, per riprendere le parole di Camus, in cosa consiste oggi “la missione dello scrittore”? Consiste ancora nel servire la verità e la libertà, nel resistere all’oppressione e nel disperdere la menzogna. E nel farlo sapendo – malinconica consapevolezza – che il secolo lo condanna a rivolgersi a una minoranza. Una minoranza certo numerosa, composta dai milioni non dalle migliaia, eppure una minoranza. E, per di più, decrescente. Senza speranza di divenire maggioranza. In principio dell’età moderna, poi per lungo tratto di essa, i lettori furono una minoranza di privilegiati. Alla fine di essa, sono diventati una minoranza di derelitti, di abbandonati dalle correnti impietose – politiche e tecnologiche – della nuova era. Sto suggerendo una aristocrazia di lettori? Niente affatto. Spero e credo, piuttosto, in una democrazia dei lettori. Intravedo un presente, e futuro prossimo, nei quali i cittadini ancora capaci di leggere in modo profondo, e dunque di analizzare, discernere, criticare, pensare, perfino di empatizzare con l’altro da sé, con quell’umanità straniera alla quale sempre ogni autore dedica e destina il proprio libro, sebbene minoritari, riescano con la memoria del passato, l’intelligenza delle cose e il fervore della lotta a salvaguardare la democrazia. Può e deve la democrazia essere salvata da una minoranza? Non lo so ma me lo auguro. Mi pare un auspicio consono al dovere sentito da Camus quando affermava che lo scrittore, per definizione, non può mettersi al servizio di coloro che fanno la storia perché è al servizio di quelli che la subiscono. Siano essi gli ultimi lettori d’Occidente o anche i nuovi analfabeti digitali che s’illudono di dominarla.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
mercoledì 8 ottobre 2025
Doveravatetutti. 33 Albert Camus: «Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga».
(…). Un albero ad alto fusto. Così siamo abituati a pensare la
democrazia. La immaginiamo come una quercia, un pino, un pioppo. Per questo
motivo siamo anche indotti a pensare che possa solo essere abbattuta,
dall'ascia o dal fulmine. La democrazia è, invece, più simile alla pianta della
vite e come la vite richiede cura costante, sapiente, richiede amore e
devozione. La vite deve essere innestata, potata, innaffiata, protetta dai
parassiti e legata ai supporti da mani gentili e forti. È un lavoro quotidiano,
questo: il lavoro di una vita. Soltanto allora quella pianta fragile e
meravigliosa darà il dolce, inebriante vino della democrazia. (Tratto
da “Fascismo e populismo. Mussolini oggi” – 2023 - di Antonio Scurati).
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