"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 2 ottobre 2025

MadreTerra. 57 “Wounda&Jane”


“Goodall che sussurrava ai fratelli scimpanzé”, testo di Marino Niola - professore di “Antropologia dei simboli, Antropologia delle arti e della performance, Miti e riti della gastronomia contemporanea” presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, divulgatore scientifico – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, giovedì 2 di ottobre 2025: Sembrava più un sergente dell’esercito della salvezza che una star dell’etologia, Jane Goodall, etologa e antropologa scomparsa (...) all’età di 91 anni. Eppure, dietro quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così tipica dei londinesi doc, c’era la donna che ha saputo dialogare con gli scimpanzé. Era nata il 3 aprile 1934 ad Hampstead, un quartiere chic di Londra. Ma lei amava vivere nella foresta. Da bambina era innamorata di Tarzan ed era gelosa perché lui aveva sposato la Jane sbagliata. Giovanissima, aveva cominciato le sue ricerche sulla vita familiare e sociale dei primati nel Parco Nazionale di Gombe Stream, in Tanzania. È stata la scienziata che più ha contribuito a farci capire che fra noi e i primati il passo è breve, anzi brevissimo. Le sue ricerche pionieristiche hanno fatto affiorare l’anello mancante dell’evoluzione, quella soglia impalpabile che ci fa amici e fratelli di quei quadrumani dallo sguardo dolce che sorprende e commuove. Perché ci mostra a noi stessi sotto un’altra luce, come in uno specchio un po’ deformante, ma non abbastanza da non fotografare la nostra stessa animalità. Le sue battaglie animaliste per difendere gli scimpanzé a rischio di estinzione si fondavano sull’importanza della conservazione di questa specie sorella della nostra. Negli anni Settanta aveva fondato l’Istituto Jane Goodall, che dal 1998 ha anche una sede italiana, attualmente diretta da Elisabetta Visalberghi, a sua volta grande specialista dei bonobo, le scimmie più simpatiche che esistono. Perché sono capaci perfino di costruire strumenti come le cannucce per risucchiare le formiche. O aprire una noce senza schiacciarla, per mangiare il frutto intero senza mandarlo in frantumi come facciamo spesso noi, nonostante lo schiaccianoci. La sua mission era lo studio del rapporto tra umani, animali e ambiente. Per questo le sono sempre interessati gli esemplari selvatici, nel loro habitat prima che il contatto con gli uomini li trasformasse. In un video del 2013 che ha fatto il giro del mondo, Dame Jane viene abbracciata teneramente da Wounda, una scimpanzé che lei con il suo staff aveva strappato al traffico illegale di animali esotici. Alla fine Wounda, dopo essere stata curata e guarita dai ricercatori, è stata rimessa in libertà nella riserva di Tchimpounga, un autentico santuario per scimpanzé creato nel 1992 attraverso un accordo tra il Jane Goodall Institute e il governo congolese. Tra le eredità di Jane c’è anche la scena indimenticabile del video che riprende il momento del commiato. Quando la scimmia si gira verso la donna e la abbraccia con un trasporto che ci strappa il cuore. Come per dirle “mi hai salvato la vita e io non lo dimentico”. Quella sequenza riflette con una immediatezza quasi poetica la coappartenenza della scienziata e del quadrumane allo stesso regno del creato. Stupiva tutti per la sua calma olimpica, tipica di chi osserva la natura e i suoi tempi lenti senza forzarla con la nostra fretta isterica. E la natura la ricambiava aprendosi a lei, senza nascondersi come diceva Eraclito, il filosofo greco passato alla storia per la frase “La natura ama nascondersi". In realtà Jane e la natura erano diventate una cosa sola andando al di là dell’opposizione tra cultura e natura. E d’altra parte lei aveva dimostrato che la personalità non è esclusiva della persona umana e che le scimmie antropomorfe intrattengono vere e proprie relazioni interpersonali, simili a quelle delle signore inglesi che chiacchierano bevendo il tè. Sosteneva, prove alla mano, che gli animali vivono emozioni e hanno una vera cultura. Infatti, amava concludere le sue conferenze parlando la lingua appresa dalle creature della foresta per mostrare che il linguaggio non è appannaggio esclusivo della specie umana. E che tutti gli animali comunicano anche senza parole, con i loro versi e suoni che qualche volta assomigliano più alla musica che alla grammatica. Il suo impegno per la difesa dell’ecosistema le era valso la nomina a messaggera di pace per le Nazioni Unite. Era una conferenziera instancabile e ha percorso il mondo in lungo e in largo in un never ending tour come quello di Bob Dylan. Senza fermarsi mai fino alla fine. Infatti è morta in California, mentre stava svolgendo un ciclo di conferenze per raccogliere i fondi per le 23 sedi del suo istituto sparse ai quattro angoli del pianeta. E, più in generale, per portare a tutti il suo messaggio ecologista. Come una missionaria dell’ambiente che al collo, al posto della croce, portava un ciondolo con il disegno dell’Africa. Nel 1991 aveva fondato Roots and Shoots, (Radici e germogli) che suona come un titolo dei Beatles, ma in realtà è un grande programma di educazione alla sostenibilità rivolto ai giovani di ogni età per formarli all’impegno civico nelle proprie comunità. Perché solo chi è di casa nel proprio villaggio può esserlo anche nella foresta. La inquietava molto il fatto che i nostri bambini passassero il loro tempo nell’astrazione senza corpo dei social, invece che a contatto con le piante e con gli animali. In fondo questa signora a suo agio nella giungla è stata l’equivalente di Konrad Lorenz, padre dell’etologia. Lui studiava le oche e lei le scimmie. Amava ripetere che il suo maestro non era stato un accademico, ma il suo cane Rusty. E in questa frase c’è la semplicità disarmante, ma potente, di Jane delle scimmie.

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