"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 8 settembre 2025

Lastoriasiamonoi. 96 Giovanna, monaca della “Piccola famiglia dell’Annunziata” di Montesole: «Io non ce la faccio più a restare ferma. La mia coscienza mi tormenta, perché questo restare inerti - questo non fare nulla - ci rende complici. Complici di un genocidio... Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente... La Chiesa non è una un'organizzazione fra le altre, né un'istituzione neutrale: è il Corpo di Cristo...».


Le chiese in rovina di Montesole, a Marzabotto - distrutte dalle bombe alleate dopo essere state mute testimoni delle più efferate stragi naziste - sono ormai un'unica cosa con il carisma della Piccola famiglia dell'Annunziata, comunità monastica fondata da Giuseppe Dossetti. In ciò che resta della chiesa di Casaglia, a pochi passi dalla tomba di Dossetti, il cardinale Matteo Zuppi ha letto i nomi dei bambini e delle bambine israeliane (16) e palestinesi (oltre 12.000) assassinati dal 7 ottobre 2023. Il barocco moderato di quell'altare - dolce di una letizia agreste - non si sarebbe sposato con quella sequenza abissalmente tragica, se i mitra nazisti e le bombe alleate non lo avessero sfigurato. Invece, così, sembrava fatto apposta. È quello che ho pensato leggendo le parole, profetiche, di Giovanna, monaca della Piccola famiglia, della comunità di Ma'in, in Giordania: dove Dossetti volle che una parte della comunità vivesse, per condividere «la situazione particolare che ormai da secoli pone qui la comunità cristiana in... vicinanza con i fedeli dell'Islam, conoscenza e rispetto della loro fede e della loro tradizione religiosa, mite e fiduciosa testimonianza evangelica». Giovanna ha scritto, tra l'altro: «Io non ce la faccio più a restare ferma. La mia coscienza mi tormenta, perché questo restare inerti - questo non fare nulla - ci rende complici. Complici di un genocidio... Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente... La Chiesa non è una un'organizzazione fra le altre, né un'istituzione neutrale: è il Corpo di Cristo... E ancora vi ripropongo quello che da mesi mi sembra l'unico gesto possibile: radunare un centinaio tra religiose e religiosi, e andare a Roma, davanti al Quirinale, a pregare giorno e notte, a leggere i Salmi e il Vangelo. A chiedere con la forza mite della preghiera che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi a Israele, che si rompano i legami economici con chi porta avanti un'opera di annientamento. E poi, andiamo anche in piazza San Pietro, con cartelli semplici, diretti, che chiedano al Papa di muoversi: di andare a Gaza, di condannare pubblicamente Israele, di lanciare appelli incessanti perché i Paesi occidentali si mobilitino per fermare il genocidio. Stiamo lì, giorno e notte, a leggere i salmi e il Vangelo...». Chiudo gli occhi, e vedo l'altare di Montesole. Devastato: come Gaza, e come la nostra coscienza. (Tratto da “In nome dei bambini” di Tomaso Montanari, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 29 di agosto 2025).

“Architettura di morte contro Gaza: ecco le mappe che lo dimostrano”, testo della intervista di Lucie Delaporte all’architetto israeliano Eyal Weizman – fondatore di “Forensic Architecture” – pubblicata sul giornale on-line “Mediapart” e riportata su “il Fatto Quotidiano” di oggi, lunedì 8 di settembre 2025: (…). Come state procedendo a Gaza? «Raccogliamo prima informazioni su decine di migliaia di casi isolati e poi 1 cerchiamo se tra loro si possono stabilire delle correlazioni. Nel caso di crimini di guerra, cerchiamo di stabilire se gli attacchi israeliani sono proporzionati alla minaccia e se sono rimasti uccisi anche civili oltre che miliziani. Nel caso del genocidio, cerchiamo di capire se c'è un disegno. L'intenzionalità è al centro del concetto di genocidio, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio».

Concretamente come operate? «Qualunque sia il caso su cui indaghiamo - per esempio il bombardamento di un centro per la distribuzione del cibo o la distruzione di un terreno agricolo - salviamo i video e le immagini che riceviamo, li autentichiamo e analizziamo l'incidente" nel suo complesso. Abbiamo diversi modelli matematici che ci permettono di individuare gli elementi che creano connessioni tra i diversi fatti, in modo da stabilire se esiste un piano per distruggere il popolo palestinese, tutto o in parte. Se constatiamo che Israele sistematicamente distrugge i terreni agricoli, impedisce agli aiuti alimentari di entrare a Gaza e prende di mira i centri di distribuzione del cibo, allora un piano c'è, che è quello di ridurre la popolazione alla fame. L'articolo II, comma c, della Convenzione delle Nazioni Unite lega la "sottomissione intenzionale" di una popolazione a "condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica totale o parziale". Le persone cioè non si uccidono direttamente, ma indirettamente, distruggendo le infrastrutture, gli ospedali, le scuole, le case, impedendo loro l'accesso al cibo. La chiamo "violenza architettonica": un po' alla volta le condizioni di vita vengono distrutte e la morte arriva lentamente».

Nell'ultimo rapporto, che copre il periodo dal 18 marzo al 1° agosto, mostrate come la carestia corrisponda ad un obiettivo di annientamento metodicamente perseguito. «Gaza è una striscia di terra lunga e sottile che presenta due tipi di terreno: uno sabbioso a ovest e uno argilloso a est. Quasi tutta l'agricoltura di Gaza si trova a est della strada Salah al-Din, l'arteria principale della Striscia di Gaza. Ed è proprio quest'area che è stata presa di mira per spingere la popolazione verso le terre più difficili da coltivare. Dall'inizio del genocidio abbiamo assistito a una campagna sistematica per distruggere la sovranità alimentare dei palestinesi. Sono stati distrutti i campi, i frutteti e gli strumenti per la pesca, in particolare tutte le barche. I palestinesi non possono più permettersi di nutrirsi. Dipendono interamente dagli aiuti umanitari che passano attraverso i checkpoint controllati da Israele. È tutta la società palestinese che si vuole cancellare. Bisogna pensare a Gaza come a una zona di demolizione e di costruzione: i bul-ldozer israeliani distruggono gli edifici palestinesi, ma con le macerie costruiscono altro. Per esempio, centri di distribuzione di cibo in aeree ristrette che si trasformano in "trappole mortali", secondo quella che io chiamo "un'architettura di morte". Le macerie delle case vengono utilizzate anche per costruire moli in mare e piccole colline che permettono all'esercito di sorvegliare Gaza».

E questo lavoro è alla base del vostro contributo alla denuncia sporta dal Sudafrica contro Israele davanti alla Corte internazionale ... «Esatto. Questo lavoro ci ha permesso di produrre un rapporto di 825 pagine. Ai legali del Sudafrica, abbiamo fornito prove sulla distruzione degli ospedali, dell'istruzione, dell'agricoltura, prove della pianificazione della carestia. La causa del Sudafrica, un Paese che ha subito l'apartheid e sa cosa è il colonialismo dei coloni, un Paese del Sud, contro Israele, difeso da tutti i Paesi occidentali, è un'opportunità per i diritti umani e il diritto internazionale».

Il clima in cui lavorate a Gaza è particolarmente difficile... «Venendo da una famiglia ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, è molto doloroso per me sentirmi dire di essere antisemita. In Germania il nostro ufficio ha dovuto chiudere perché lo Stato ha ritirato i finanziamenti. La mia università a Londra è sotto inchiesta per antisemitismo e so che questo è in parte dovuto al lavoro di Forensic Architecture. Voglio essere molto chiaro: l'antisemitismo esiste, anche in Francia, ed è mortale. La sicurezza degli ebrei nel luogo in cui vivono deve essere garantita. Ma Israele, spacciando per antisemitismo la difesa dei diritti umani e del diritto internazionale, alimenta altro antisemitismo».

Nel suo libro (…), parla di quello che lei chiama "genocidio coloniale". Che cosa intende? «Quando pensiamo al genocidio, pensiamo all'Olocausto. Un crimine perpetrato in un breve lasso di tempo. Ma il genocidio può assumere forme diverse e quello dei palestinesi non è iniziato il 7 ottobre: Ha una lunga storia. Lavorando con le mappe, è possibile ripercorrere la storia della creazione della Striscia di Gaza, l'espulsione dei palestinesi dal sud della Palestina e il modo in cui i villaggi palestinesi sono stati letteralmente cancellati dalle carte geografiche. Dobbiamo capire come sono localizzati gli insediamenti israeliani sul territorio, in particolare i kibbutz, costruiti sulle rovine dei villaggi palestinesi. Gran parte degli abitanti di Gaza erano beduini, non nomadi, ma agricoltori che vivevano lungo il fiume Waadi Gaza. Lì hanno sviluppato tecniche agricole molto sofisticate. Sto lavorando in particolare sul villaggio di Al-Ma'in, da cui provengono lo storico Salman Abu Sitta e il famoso medico palestinese Ghassan Abu Sitta. Stiamo cercando di ricostruire esattamente come la colonizzazione ha trasformato il paesaggio e l'ambiente. Questo ci permette di collocare il genocidio successivo al 7 ottobre all'interno di un processo molto più lungo di colonizzazione degli insediamenti, che è una forma di genocidio. Dopo il 7 ottobre, Israele ha trasformato Gaza in un deserto. L'affermazione di Israele di aver "fatto fiorire il deserto" è ben nota. Ma Gaza non è mai stata un deserto. I beduini palestinesi coltivavano orzo per gli inglesi, che lo usavano per fare la birra. Fino al 1948, era un territorio rigoglioso».

Lavorate anche sulla cancellazione delle tracce... «Quando Israele distruggeva i villaggi palestinesi, non si limitava a demolire gli edifici, ma anche i cimiteri e le strade, e dissodava la terra. Se c'era un campo che era stato arato in una direzione, loro lo aravano nell'altra. E questo per cancellare ogni traccia di vita che era esistita fino a quel momento. Io lo chiamo "sradicamento" di Gaza».

È per questo che avete voluto concentrarvi sul suolo? «Sì, perché la pianificazione della desertificazione a Gaza è politica. Costruire dighe per deviare l'acqua verso Israele significa utilizzare l'ambiente per cacciare i palestinesi dalla loro terra. La creazione del deserto è una caratteristica continua del genocidio. Anche nel caso del genocidio armeno e del genocidio in Namibia da parte dei tedeschi, il deserto è stato uno "strumento" di distruzione. Le bombe israeliane, che esplodono a trenta metri di profondità, ufficialmente per distruggere i tunnel di Hamas, contengono enormi quantità di sostanze chimiche che contaminano il suolo per decenni. Penso che il "colonialismo di insediamento", come ha detto l'antropologo Patrick Wolfe, abbia una logica di eliminazione. Certo, ci sono i mas-sacri, mala maggior parte delle persone non muoiono in modo violento, ma per cause secondarie. Il genocidio coloniale è come un genocidio che si consuma nel tempo».

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