“Noi, gli israeliani con la sindrome post traumatica e l’ultimo
soldato”, testo di Manuela Dviri, israeliana: Finalmente ho dormito
un po' meglio. Soprattutto perché per la prima volta ho dormito nel silenzio.
Nessun caccia che ti passa sopra la testa in direzione. Gaza. Zero elicotteri.
Gli elicotteri sono sempre stati portatori di pessime notizie per noi israeliani.
Portano feriti di guerra gravi al vicino ospedale, l’Ichilov, uno degli
ospedali in cui verranno accolti nei prossimi giorni gli ostaggi liberati. Non
si pensa che a loro. Le ore passano lente. Torneranno già lunedì o martedì? E
quando arriverà Trump? Senza premio Nobel, ahimè. In piazza si festeggia. Ma è
sukkot ed è morto anche l'ultimo soldato della guerra che non ha un nome, a
differenza di - quella dei Sei giorni, del Kippur o del Libano. Si chiamava
Michael. È morto a Gaza, ucciso da un cecchino, minuti prima del cessate il
fuoco. Qualche ora prima, in un palazzo di Gaza, erano stati uccisi dall'Idf
due militanti di Hamas. L'ultimo soldato morto mi guarda ora dalla bellissima
foto pubblicata nei media. E mi immagino l'annuncio alla famiglia, quando
bussano alla porta e capisci cosa ti aspetta. Li vedo cercare nei cellulari e
nei cassetti una foto davvero bella, che si veda che pezzo di ragazzo era.
Penso a loro e non riesco più a gioire fino infondo. Credo di essere anch'io
una post traumatica. Ho vissuto in questi due anni ogni emozione possibile, da
paura esistenziale a impotenza, da rabbia a delusione, a grande disperazione. E
finalmente anche speranza. Avevo spesso cercato di sfuggire alle notizie più
cruente, di chiudere il giornale Haaretz che ricevo ogni mattina senza neanche
leggerlo, per non soffrire. Per non sapere. Per salvaguardare la mia salute
mentale. Per non pensare troppo. I risultati, pubblicati da un importante
giornale scientifico di salute mentale descrivono con esattezza le
caratteristiche fisiologiche ed emotive del trauma israeliano. Dopo il 7
ottobre, tutti i parametri peggiorano in modo significativo e l'uso di antidepressivi
è aumentato in maniera esponenziale. A Gaza i soldati
di leva israeliani della brigata Golani ballano e cantano felici. La guerra è
finita.
“I fiumi umani per ritornare alle pietre di case distrutte”,
testo di Aya Ashour – palestinese, rifugiata in Italia -: Dopo l'annuncio
dell'entrata in vigore del cessate il fuoco, gli abitanti di Gaza hanno
iniziato a tornare verso le macerie delle loro case nelle zone del nord
"riaperte" ai civili da Israele. Hanno fatto subito il giro del mondo
le immagini del nuovo fiume umano, 200 mila persone, del contro-esodo dei
palestinesi. Allo stesso tempo, Israele continua a mantenere il controllo sul
55% della superficie totale della Striscia. Mentre alle persone è consentito il
ritorno attraverso Al- Rashid Street e Salah Al-Din Street: vie distrutte e
pericolose. Non è la prima volta che gli abitanti di Gaza tornano a Nord
dall'inizio dell'inferno scatenato da Israele dopo il 7 ottobre 2023. Ricordo
ancora vividamente il primo ritorno dopo il cessate il fuoco di febbraio:
quella scena inquietante di persone che si ricongiungevano con i propri cari
dopo un anno e mezzo di separazione, camminando tra le macerie delle loro case.
Ricordo le mie emozioni quando sono tornata al Nord della Striscia e ho rivisto
mia nonna dopo tanto tempo. Oggi ho chiamato mia madre per chiederle come
stavano e quali decisioni avessero preso. Mi ha detto: "Tuo padre si è
procurato una bottiglia d'acqua ed è andato a vedere Al-Mughraqa, le macerie
della casa e della nostra terra. Ho replicato di non andare, perché potrebbero
esserci ancora bombe e razzi inesplosi. Ma ora insiste per tornare a vivere lì,
anche se non c'è acqua. È sull'orlo della follia e continua a chiedermi di
prepararmi a tornare e a montare le tende sulla nostra terra, tra le macerie di
casa". Mia madre ha continuato: "Ho paura che torneremo e Israele
romperà di nuovo il cessate il fuoco, o che i veicoli dell'esercito avanzeranno
improvvisamente verso la nostra zona, che è proprio vicino al confine. Anche lì
non c'è acqua. Non voglio tornare solo per essere sfollata di nuovo sotto il
fuoco nemico. La mia famiglia, come tutte le famiglie della Striscia di Gaza,
ha provato molte volte questa sensazione del ritorno a casa, ma tornare su
pietre e fiori, dove non ci sono più le mura domestiche lascia un senso di
incompletezza. Ghassan Kanafani una volta scrisse Ritorno ad Haifa, catturando
le emozioni del ritorno alla propria città e alla propria patria dopo la Nakba.
Ora, gli abitanti della Striscia stanno scrivendo una nuova storia, Ritorno a
Gaza, ma questa versione è incompleta, piena di distruzione e perdita. In tutto
questo, molte domande affollano le teste degli abitanti di Gaza sul
"giorno dopo" la guerra. I media parlano di allegati segreti
all'accordo di cessate il fuoco, dettagli che Hamas non rivela al pubblico.
Allo stesso tempo, le tensioni tra i principali clan di Gaza e i membri di
Hamas stanno aumentando. Mentre Hamas accusa questi clan di fomentare il caos,
loro sostengono che Hamas stia prendendo di mira e uccidendo i loro figli. Una
domanda urgente preoccupa ora gli abitanti di Gaza: chi governerà la Striscia?
Hamas tornerà al potere? Le forze internazionali prenderanno il controllo?
Finora Hamas non ha rilasciato alcuna dichiarazione pubblica chiara che spieghi
i termini dell'accordo o la fase successiva - solo ieri ha detto di esser
pronto a tirarsi indietro dal governo ma restando a Gaza - dopo aver trascinato
civili in una guerra che non potevano sopportare. Ancora una volta, la
popolazione di Gaza si ritrova ad affrontare da sola Israele, uno Stato che
molti palestinesi temono possa poi affermare che Hamas ha violato il cessate il
fuoco, usando queste come pretesto per riprendere a uccidere, distruggere e
portare a compimento il suo piano di rioccupazione e sfollamento della
popolazione.
N.d.r. I testi sopra riportati sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” di oggi, sabato 11 di ottobre 2025.
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