“Proprietà privata e crisi climatica”, testo di Gael Giraud – gesuita francese, teologo, economista, matematico – pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, giovedì 11 di settembre 2025: (…). La catastrofe ecologica è già cominciata. E già hanno avuto luogo estinzioni di massa del vivente, umani compresi. Nel 1890, per esempio, un El Nino particolarmente intenso devastò Brasile, Africa, India e Cina. Pervia dell'incuria delle amministrazioni coloniali, le siccità da un lato e le inondazioni dall'altro causarono circa 50 milioni di morti. Un fenomeno grave almeno quanto la Prima guerra mondiale, e la cui memoria è stata quasi totalmente occultata dagli occidenti. In tempi più vicini a noi, nel 1975, un altro fenomeno climatico, La Nina, ha provocato la morte di circa 170 mila persone in Cina. In Germania, tra il 1990 e il 2010 si è estinto il 75% della popolazione di insetti. Gli esseri umani e il loro bestiame rappresentano il 97% della biomassa dei vertebrati terrestri (gli altri sono già stati decimati), e i grandi pesci pelagici potrebbero scomparire dai nostri oceani già durante i prossimi anni Quaranta, se non mettiamo subito fine alla pesca industriale in acque profonde, all'inquinamento da plastica e all'acidificazione degli oceani dovuta all'assorbimento dell'eccesso di Co2. Sono fenomeni che reintroducono dimensioni apocalittiche e sapienziali in grado di riaprire uno spazio alla ricerca teologico-politica che l'apparente perdita di slancio delle "nuove teologie politiche" (Ernst Kàsemann, Johann Baptist Metz, Jiirgen Moltmann) e delle teologie della liberazione sembrava avere chiuso. Essi mettono in crisi anche l'antropo-euro-centrismo della maggior parte delle tradizioni teologiche occidentali: non sono forse falliti certi modi di concepire il mondo e il posto in esso occupato dall'umanità, nella misura in cui questi hanno autorizzato, pensato, accolto e persino incoraggiato l'apparente onnipotenza della privatizzazione assoluta della realtà, che è in gran parte responsabile delle catastrofi incorso? Molti di noi pensavano, e con noi il nostro retaggio biblico, che l'uomo fosse nella natura un'eccezione assoluta, quasi al di fuori di essa, finalmente emancipato da ogni soggezione agli altri viventi, da Dio destinati a essere "dominati" (Gen 1, 26-28). Il disastro ecologico a cui assistiamo evidenzia invece quanto sia intima la nostra relazione con gli altri viventi, e con l'acqua, l'energia, i minerali. Lo sbiancamento in corso della Grande barriera corallina al largo delle coste australiane (e la sua è una morte annunciata, al termine di un processo ormai irreversibile indotto dall'acidificazione e dal riscaldamento dell'oceano), lo sconvolgimento delle rotte degli uccelli migratori, la distruzione delle foreste dei bacini dell'Amazzonia e del Congo che ci priva di pozzi naturali di carbonio, lo scioglimento della calotta glaciale occidentale dell'Antartico e dei ghiacciai dell'Himalaya sono altrettante minacce alla nostra capacità di continuare a vivere una vita dignitosa su questa Terra. Non solo l'universo in cui siamo immersi non è sordo; ma i diversi "mondi" alla cui intersezione noi viviamo - l'atmosfera, l'idro-, la crio-, la lito- e la biosfera - si parlano tra loro e ci rispondono. Il moltiplicarsi dei cicloni tropicali che devastano i Caraibi con frequenza crescente, e con violenza e intensità sempre maggiori, fa parte di questa "risposta". La loro intensificazione è dovuta all'aumento della temperatura, al di sopra dei 26 °C, della parte superficiale (i primi 50 metri d'acqua) del golfo di Guinea. Eccoci entrati in uno strano "dialogo" a più voci, per certi versi mostruoso, con l'insieme dell'ecosistema terrestre. Gaia è il nome che è stato dato a questo "dialogo" dalla grammatica ancora tutta da inventare. C'è un legame fra i toni assunti da questa discussione iniziata, nella violenza, in seno a Gaia, e l'estendersi della proprietà privata? La domanda può essere illustrata, a questo stadio, con un semplice esempio. Negli Stati Uniti, la proprietà della superficie di un terreno comporta quella del sottosuolo; se quindi una famiglia texana scopre che sotto il suo giardino c'è una falda di petrolio, può estrarlo e diventare proprietaria dell'oro nero ivi sepolto da milioni di anni. Una volta bruciato, il petrolio estratto provocherà l'aumento della Co2 accumulata nell'atmosfera... Una simile "esternalità negativa" (per usare il linguaggio degli economisti) non viene presa in considerazione nella definizione del diritto di proprietà privata. Quest'ultima è infatti costruita sulla metafisica di un soggetto solitario sulla scena disertata del mondo, e di una relazione ben specifica che unisce un proprietario a ciò di cui egli detiene la proprietà, e questa esclude chiunque altro: umano e non umano. Ciò di cui stiamo lentamente prendendo coscienza è che esclude Gaia, realtà viva di un complesso di strutture dissipative che parla agli umani, geme, e forse potrebbe ben presto portarci alla fine di un mondo: quello in cui la maggior parte di noi avrebbe potuto sperare di vivere, un giorno, in dignità.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
giovedì 11 settembre 2025
MadreTerra. 55 Gael Giraud: «Eccoci entrati in uno strano "dialogo" a più voci, per certi versi mostruoso, con l'insieme dell'ecosistema terrestre. Gaia è il nome che è stato dato a questo "dialogo" dalla grammatica ancora tutta da inventare».
«La difesa del clima e dell'ambiente è una
premessa indispensabile per garantire un futuro sostenibile per tutti e
un'autentica giustizia sociale». Mentre l'amministrazione Trump continua a smantellare
le politiche green adottate dal governo precedente, abbandona l'Accordo di
Parigi e rilancia la scommessa sui combustibili fossili, una voce si leva con
forza fra i giovani attivisti del clima in America. È quella di Aru
Shiney-Ajay, direttrice esecutiva del Sunrise Movement, in prima linea nella
difesa della giustizia ambientale. «Vogliamo provocare un'onda di dissenso tale
da mandare via Trump dalla Casa Bianca». Unica strada praticabile per riuscire
a far passare il più in fretta possibile il Green New Deal, il programma al
cuore della loro azione, che punta a centrare cinque obiettivi fondamentali:
arrivare al 2030 con un'economia che si basa al 100% sull'energia pulita,
creare milioni di posti di lavoro ben retribuiti e tutelati dai sindacati, investire
in giustizia economica e in quella razziale, avere un governo che lavori per la
gente comune, non per i miliardari. Troppo ambiziosi? «Seguiamo la tabella di
marcia indicata dalla scienza, che non può essere messa in discussione. I
politici, invece, sì. Questo è il nostro punto di partenza per costruire un
mondo migliore. Il Green New Deal è pensato per favorire la giustizia sociale.
Tutti i cittadini, e non solo alcuni, devono avere accesso ad acqua e aria
pulite, città vivibili, indipendentemente dall'origine etnica o dall'estrazione
sociale». È dal 2017 che il Sunrise Movement si impegna a sensibilizzare
l'opinione pubblica sulla grave crisi climatica in corso, organizzando
iniziative e percorsi formativi nelle comunità, e coinvolgendo gli studenti per
aumentare la pressione sui vari governi affinché adottino misure efficaci per
fermare il climate change. «In questi anni abbiamo cambiato il modo in cui la
gente, i sindacati, i politici pensano. I Democratici hanno vinto le elezioni
del 2020 anche grazie al nostro sostegno. Purtroppo però, sotto Donald Trump
stiamo assistendo a una pericolosa regressione e molte conquiste sono state
cancellate». Parte del lavoro del Sunrise Movement, infatti, consiste nel
sostegno di candidati che condividano e promuovano il loro messaggio per
ribaltare in termini di popolarità l'esito delle elezioni del 2024. «Moltissime
persone, stanche dell'influenza eccessiva delle multinazionali sulla politica
americana, hanno creduto alle false promesse di Trump di voler eliminare la
corruzione radicata nel nostro sistema, con conseguenze drammatiche. Adesso,
per evitare di scivolare verso l'autoritarismo è necessario avere elettori
informati e consapevoli. C'è un desiderio diffuso di un cambio generazionale, e
candidati come Zohran Mamdani a New York e Omar Fateh a Minneapolis ne sono
l'esempio. Puntiamo ad arrivare alle primarie di metà mandato nel 2026 con
candidati in grado di farci raggiungere la maggioranza al Congresso per
invertire la rotta». Tra le iniziative chiave, c'è la campagna End the
Oligarchy. People against Billionaires Campaign. «L'attuale amministrazione non
fa altro che trasferire ricchezza dalle mani della gente comune a quelle dei
miliardari». L'altra campagna è Make Polluters Pay: «Vogliamo che la gente comprenda
chi sono i veri responsabili. Chiediamo che a pagare gli effetti del disastro
climatico siano coloro che investono nei combustibili fossili. Misure già in
vigore negli Stati di New York e Vermont, in cui i maggiori inquinatori versano
contributi a un fondo statale destinato a coprire i costi dei danni climatici.
Vogliamo che diventi una legge nazionale». È fiduciosa? «Mi dà speranza vedere
quante persone stiano reagendo e si stiano opponendo all'operato di Trump,
persino molti che lo hanno votato. Se ci uniamo tutti insieme possiamo
scardinare questo sistema». (Tratto da “Ma la lotta continua. Giovani attiviste per nuove battaglie”,
testo del colloquio di Mariangela Mistretta con Aru Shiney-Ajay pubblicato sul
settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 30 di agosto 2025).
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