“Anche a Gaza esiste un Dio e chi crede non può tacere” di Tomaso Montanari pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 25 di agosto 2025: Mi sono chiesto a lungo perché papa Francesco ogni giorno chiamasse Gaza. Certo: per essere lì, per confortare, per condividere la prova, per portare nel modo più visibile la presenza della Chiesa. Ma nel vecchio papa che, in punto di morte, parla ogni giorno con questo enorme campo di sterminio dove è in corso un genocidio – un genocidio perpetrato anche dagli stati occidentali che si dicono cristiani, anche dall’Italia – c’è qualcosa di più. E io credo che fosse questo: Francesco sentiva che Dio è a Gaza. Non solo nella parrocchia di Gaza: in tutto quel popolo. Mentre l’Occidente ricco e potente attraversa una lunga notte di Dio, mentre Dio sembra non farsi trovare nemmeno nelle nostre chiese, a Gaza con ogni evidenza Dio c’è. Nella passione e morte di Gaza, c’è il Dio dei vivi. Il Dio giusto giudice. Il principe della pace. Le parole di Giovanna, monaca della Piccola famiglia dell’Annunziata del Monastero di Ma’ in, in Giordania, risuonano in questa direzione: “Mi addolora profondamente vedere una Chiesa quasi silente. …Ma non può esserci neutralità davanti a un genocidio. O si è complici, o si sceglie la verità. E oggi, la verità urla dalle macerie di Gaza. Decine di migliaia di morti, bambini mutilati nel corpo e nell’anima, ospedali distrutti, famiglie cancellate. Tutto questo accade nel silenzio – o nella complicità – di molti poteri, anche religiosi. Non basta più dirsi ‘in preghiera’. Non basta condannare ‘la violenza in generale’. Dove siamo noi, mentre un popolo viene annientato? Dove sono le nostre comunità, le nostre diocesi? Dove sono le parole profetiche? Dove sono i gesti concreti? … E ancora vi ripropongo quello che da mesi mi sembra l’unico gesto possibile: radunare un centinaio tra religiose e religiosi, e andare a Roma, davanti al Quirinale, a pregare giorno e notte, a leggere i Salmi e il Vangelo. A chiedere con la forza mite della preghiera che il governo italiano interrompa ogni vendita di armi ad Israele, che si rompano i legami economici con chi porta avanti un’opera di annientamento. E poi, andiamo anche in piazza San Pietro, con cartelli semplici, diretti, che chiedano al Papa di muoversi: – di andare a Gaza; - di condannare pubblicamente Israele; - di lanciare appelli incessanti perché i Paesi occidentali si mobilitino per fermare il genocidio”. Sono parole che hanno due chiavi di lettura. Quella, urgente, di una mobilitazione piena della Chiesa nel mondo. Una mobilitazione che non c’è. Ma ne hanno anche un’altra, per così dire anagogica. Una chiave che porta in altro lo sguardo. Il senso spirituale di queste parole è: dobbiamo convertirci. Lo sguardo verso Gaza è uno sguardo di conversione. Uno sguardo di metanoia: di capovolgimento totale delle nostre convinzioni profonde, delle nostre priorità, del nostro modo di sentire e vedere. Gaza è il margine, la pietra scartata dal costruttore, la pietra d’inciampo. Cristo è a Gaza. Scrive Gustavo Gutiérrez in Teologia della liberazione: “Convertirsi è sapere ed esperimentare che, contrariamente alle leggi della fisica, si sta in piedi, secondo l’evangelo, solo quando il nostro baricentro cade fuori di noi”. Ecco, il nostro baricentro non è a Roma: è a Gaza. Ecco perché papa Francesco, guidato dallo Spirito di profezia, chiamava Gaza; voleva andare a Gaza; non essere separato da Gaza. Trovare Dio ad Auschwitz sembrò impossibile. Eppure, c’era. Fare teologia ad Ayacucho (dove la povertà assoluta è solo morte), pareva impossibile. Eppure, si è fatta. Oggi, una Chiesa che voglia riuscire ad annunciare la speranza a un mondo disperato, deve farlo da Gaza. Il teologo della speranza, il protestante Jürgen Moltmann, ha scritto che “se Paolo chiama la morte «l’ultimo nemico», bisogna d’altra parte proclamare che il Cristo risorto, e con lui la speranza della risurrezione, sono i nemici della morte e di un mondo che vi si adatta. Pace con Dio significa discordia con il mondo, poiché il pungolo del futuro promesso incide inesorabilmente nella carne di ogni incompiuta realtà presente… Questa speranza fa della comunità cristiana un elemento di perenne disturbo nelle comunità umane. Essa fa della comunità la fonte di impulsi sempre rinnovati tendenti a realizzare il diritto, la libertà e l’umanità quaggiù, alla luce del futuro che è stato annunciato e che deve venire”. Non parlare di Gaza, in tempo opportuno e in tempo non opportuno (per usare le parole di Paolo); non essere a Gaza continuamente con il cuore; non desiderare andare a Gaza: questo significa peccare contro la speranza, cioè adattarsi al mondo com’è. Se abbiamo speranza, allora dobbiamo predicare che il Risorto è nemico del genocidio di Gaza: è irriducibile a questo scandalo di una morte violenta inflitta dai potenti sugli inermi, di questa strage di massa, di questo satanico trionfo del male. “Non è tanto il peccato che ci conduce alla perdizione – diceva Giovanni Crisostomo – quanto piuttosto la mancanza di speranza”. Ecco perché Francesco chiamava Gaza, ogni giorno.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
mercoledì 27 agosto 2025
La storiasiamonoi. 92 Tomaso Montanari: «Gaza è il margine, la pietra scartata dal costruttore, la pietra d’inciampo. Cristo è a Gaza».
«Bisogna ritornare alla cosa più semplice,
raccontare la verità». (…). «Lo dice anche il Vangelo: la verità vi renderà
liberi. Che significa anche che le menzogne rendono schiavi». (…). «Oggi
viviamo in un tempo in cui i giornalisti, almeno quelli bravi, lottano contro
le bugie. È una battaglia enorme, difficile, ma riguarda tutti i cittadini. Si
può fare? Non lo so, ma si deve fare». (…). «Il problema non è la tecnologia in
sé, ma l’uso che se ne fa. La tecnologia – (…) - all’inizio viene sempre
guardata con sospetto. Pensiamo a Platone, che nel Fedro si scaglia contro
l’invenzione diabolica della scrittura, perché la gente secondo lui non avrà
più bisogno di utilizzare la memoria, quindi la cultura morirà. Oppure, quando
Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili, tutte le classi colte si
stracciarono le vesti profetizzando un involgarimento della cultura, diventata
improvvisamente accessibile a tutti. Ci fa ridere oggi, ma guardate che lo
stesso è accaduto con la tv e sta succedendo ora con i social. Io tuttavia non
credo che i social siano il diavolo, così come non lo è l’intelligenza
artificiale. Bisogna solo imparare a usarli per il bene e non per il male».
(…). . «La Chiesa odierna ha un problema molto evidente: deve cambiare il suo
linguaggio, manca di vitalità, è vecchio, mentre il cristianesimo comunicato da
Gesù è un messaggio rivoluzionario». Cristo era «un sovversivo che diceva cose
pericolose, non a caso è stato crocefisso come un criminale. Ma la sua
rivoluzione Cristo l’ha fatta con parole attraenti, nuove». (…). (Tratto
da “Cercas e la verità al tempo dei
social”, incontro di Francesco Bei con Javier Cercas pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” del 25 di agosto 2025).
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