"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 16 ottobre 2025

CosedalMondo. 68 Martin Heidegger (1966): «Non c’è bisogno della bomba atomica per sradicare l’uomo dalla Terra. Lo sradicamento dell’uomo è già fatto. Tutto ciò che resta è una situazione puramente tecnica. Non è più la Terra quella su cui l’uomo oggi vive».

A proposito  dell'intelligenza  artificiale  io  mi  chiedo  se  sia  possibile  affidare  la  vita  degli  individui,  che  interagiscono in modo imprevedibile in una società complessa, alla valutazione delle macchine algoritmiche che, attraverso la raccolta di una gran quantità di informazioni (big data) che gli algoritmi si incaricano di elaborare, ritiene di poter pervenire a una condizione che consente di prevedere con sufficiente certezza i comportamenti umani, e di conseguenza di poter procedere con maggior sicurezza alle decisioni e alle azioni. All'accettazione di questo sistema collaboriamo tutti, spinti dal desiderio di ottenere subito soluzioni e risposte ai nostri problemi e, invece di attivare la conoscenza necessaria della situazione in cui ci troviamo onde poter deliberare e agire, assumiamo un'attitudine passiva, accettando che la nostra vita sia gestita da un algoritmo, ossia da qualcosa a noi esterno. E tutto ciò senza una vera consapevolezza, anzi con la persuasione che la decisione sia ancora nelle nostre mani, perché in fondo siamo noi ad aver deciso di farci guidare dalle macchine, la cui logica lineare, non consente di riflettere la complessità dell'esistenza, che a questo punto appare semplice, non perché lo è, ma perché gli algoritmi non sono in grado di rappresentarla, dal momento che all'algoritmo non interessa sapere "chi" è un uomo, ma semplicemente "come funziona". Ma che cosa significa "funzionare"? Acquisire le competenze utili alla vita adulta che, essendo per noi occidentali regolata dall'economia, che oggi detta le leggi persino alla politica, funzionare significa rispondere all'efficienza economica anche con le "risorse umane", dove già nella definizione dell'uomo come "risorsa" si vede a cosa l'algoritmo riduce l'uomo. E allora perché meravigliarsi di fronte alla domanda (…) che chiede a cosa serve studiare greco, latino o filosofia? Questa domanda segnala che la logica algoritmica è già diventata mentalità diffusa. E per effetto di questa mentalità, la scuola, invece di essere una scuola di "formazione", che ha in sé stessa il proprio fine come realizzazione ed emancipazione della condizione umana, diventa una scuola di "apprendimento di competenze". Avvertire la distanza che esiste tra il mondo della vita e il mondo digitale non significa delegittimare l'intelligenza artificiale, ma non smarrire la singolarità e la specificità che caratterizza ogni vita umana e in generale tutto ciò che di lei non è traducibile in un algoritmo, e così negare che esista una realtà ben più complessa al di fuori del modello digitale che ritiene di averla semplificata. In questo caso, infatti, non di semplificazione si tratterebbe, ma di negazione della complessità della società e della vita umana, perché solo una smodata pigrizia intellettuale può pensare che l'intelligenza umana sia riducibile ai responsi di quella che oggi chiamiamo, forse con un po' di esagerazione, "intelligenza" artificiale. (Tratto da “L’intelligenza artificiale” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” dell’8 di luglio dell’anno 2023).

“È l’età della tecnica che ha cancellato storia e memoria”, testo di Umberto Galimberti pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di martedì 14 di ottobre 2025: (…). Io penso che la novità del nuovo secolo porti alla sua massima espressione quello che era stato preparato nella seconda metà del Novecento dopo la fine della guerra mondiale. Questa novità si chiama “Spaesamento”, e consiste nell’assoluta impossibilità di reperire un senso del tempo, di un’epoca e perfino della propria vita. Una condizione che l’umanità occidentale, a quanto ne sappiamo, non ha mai vissuto. I Greci, infatti, avevano come orizzonte di senso la “Natura” che al dire di Eraclito è quello «sfondo immutabile che nessun uomo e nessun dio fece. Sempre è stata, è, e sarà». Contemplando la natura l’uomo può trarre le leggi per governarla e per costruire una città secondo natura e una conduzione della vita secondo natura. La tradizione giudaico-cristiana, seconda radice dell’Occidente, ha come orizzonte di senso la “Parola di Dio” che iscrive il tempo in un disegno di salvezza. E quando il tempo è iscritto in un disegno nasce la “storia” che prevede il passato come male (peccato originale), il presente come redenzione e il futuro come salvezza. La scienza pensa allo stesso modo: il passato è ignoranza, il presente è ricerca, il futuro è progresso. Cristianesimo laicizzato. Anche Marx può essere considerato un cristiano dal momento che pensa che il passato sia ingiustizia sociale, il presente chiede di far esplodere le contraddizioni del capitalismo e il futuro giustizia sulla terra. Anche Freud, che scrive un libro contro la religione (L’avvenire di un’illusione) pensa che traumi, nevrosi e psicosi abbiano la loro origine nel passato (l’infanzia), nel presente terapia e nel futuro guarigione. Tutto è cristiano in Occidente, perché il cristianesimo non è solo una religione, ma una cultura, un modo di pensare proiettato nel futuro, capace di portare rimedi ai mali del presente. Nel Seicento con la nascita del metodo scientifico si inaugura l’età moderna che pone come orizzonte di senso la “Ragione” che si deve emancipare dalle superstizioni, dalla religione, dalle opinioni diffuse ma non fondate, fino all’invito di Kant, in epoca illuminista: “sapere aude”: abbi il coraggio di pervenire al sapere con gli strumenti della ragione. Il motto dell’età moderna è «chi pensa bene fa il bene», ma come ci ricorda Miguel Benasayag, «il nazismo ha dimostrato che si può pensare in maniera eccellente anche il male». Fine dell’età moderna e nascita dell’età post-moderna che io chiamo “età della tecnica”, perché è proprio nella seconda metà del Novecento che la tecnica conferma quel teorema di Hegel secondo il quale quando un fenomeno aumenta quantitativamente non abbiamo solo un aumento quantitativo di quel fenomeno, ma anche un radicale mutamento qualitativo del paesaggio. Un terremoto di due gradi della scala Mercalli forse neppure lo avvertiamo, mentre un aumento quantitativo dell’intensità del terremoto trasforma qualitativamente il paesaggio in un cumulo di macerie. Oggi la tecnica, per effetto del suo aumento quantitativo, non è più un “mezzo” a disposizione dell’uomo come comunemente si crede, ma è un “mondo”, e il concetto di “mezzo” è radicalmente diverso dal concetto di “mondo”. Quando la tecnica era modesta, l’uomo si poneva dei fini e andava alla ricerca dei mezzi tecnici per realizzarli. Oggi, per effetto del suo aumento quantitativo, la tecnica non è più un “mezzo”, ma è il primo “fine” da raggiungere e perfezionare, perché tutti gli scopi che gli uomini possono proporsi non sono raggiungibili se non attraverso la mediazione tecnica. In questo modo la tecnica si sostituisce all’uomo perché l’uomo può scegliere i suoi fini solo all’interno delle possibilità che la tecnica rende disponibili. Parlo di “spaesamento” generato dall’età della tecnica perché la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità: la tecnica “funziona”, e siccome il suo funzionamento è diventato planetario, occorre rivedere alla radice i concetti umanistici di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età pre-tecnologica e che ora dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati dalle radici. La tecnica non visualizza la natura come nostra dimora, ma come materia prima da usare, come dice Heidegger, fino all’usura. O come diceva un secolo fa Max Weber: questo consumo incontrollato continuerà «finché non avremo consumato l’ultimo quintale di carbon fossile». Nell’età della tecnica l’etica diventa pat-etica, perché come fa a impedire alla tecnica che può, di non fare ciò che può? Può invocare o ritardare di qualche tempo l’applicazione delle scoperte tecniche, ma in nessun modo impedirle. La politica che Platone chiamava “tecnica regia” perché, mentre le tecniche sanno come si fanno le cose, la politica decide se e perché si devono fare, nell’età della tecnica non è più il luogo della decisione. La politica per decidere guarda l’economia, la quale a sua volta non è l’ultima istanza della decisione, perché per i suoi investimenti guarda le novità tecnologiche, per cui l’istanza decisionale passa alla tecnica, la quale, (…), non ha scopi. Della tecnica si potrebbe dire quello che Nietzsche diceva della volontà di potenza: «Cosa vuole la volontà di potenza? Vuole sé stessa». Cosa vuole la tecnica? Vuole unicamente il suo auto-potenziamento. La tecnica ha reso, e sempre di più renderà, l’uomo “a-storico”, perché la storia è una narrazione dove gli accadimenti sono iscritti in una trama di senso, mentre, rispetto alla memoria storica, la memoria tecnica è solo “procedurale” e quindi traduce il passato nell’insignificanza del “superato” e accorda al futuro il semplice significato di perfezionamento delle sue procedure. I Greci, che avevano inaugurato l’etica del limite («chi conosce il suo limite non teme il Destino») avevano incatenato Prometeo che aveva portato la tecnica agli uomini rendendoli, come scrive Eschilo, «da indifesi e muti in padroni delle loro menti». Noi invece, come dice giustamente Gadamer, l’abbiamo “scatenato”. E se per gli antichi l’imprevedibile che metteva angoscia era imputabile a un difetto di conoscenze, oggi per noi dipende dall’eccesso delle nostre capacità di fare enormemente superiore alle nostre capacità di prevedere gli effetti del nostro fare. E così ci muoviamo come a mosca cieca. Questa condizione di spaesamento è stata preparata nella seconda metà del Novecento se è vero che Günther Anders, un allievo ebreo di Heidegger che, per sfuggire alle persecuzioni naziste si era trasferito in America, dove andò a lavorare alla Ford per guadagnarsi il pane, negli anni Quaranta scriveva al suo maestro: «Lei mi ha insegnato che l’uomo è il pastore dell’essere. Io qui alla Ford sono il pastore delle macchine, e le posso assicurare che nel rapporto uomo-macchina, la guida è già passata alla macchina». Questa è la ragione per cui, coerentemente, Günther Anders nel 1956 pubblicherà su questo tema il primo volume intitolato L’uomo è antiquato a cui seguirà il secondo volume nel 1963, mentre il suo maestro Heidegger nel 1966, nell’intervista rilasciata allo Spiegel dirà: «Non c’è bisogno della bomba atomica per sradicare l’uomo dalla Terra. Lo sradicamento dell’uomo è già fatto. Tutto ciò che resta è una situazione puramente tecnica. Non è più la Terra quella su cui l’uomo oggi vive». Queste date che abbiamo riportato ci dicono che il primo secolo del nuovo millennio non ha fatto altro che portare alla massima espressione quello che era stato preparato nella seconda metà del Novecento.

Nessun commento:

Posta un commento