"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 25 aprile 2024

Lamemoriadeigiornipassati. 72 Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano impiccato dai nazisti nel 1945: «Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Gli uomini vengono resi stupidi, si lasciano rendere tali».


“Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di giugno del 1924. Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania. In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 - proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente- un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana”.(“Il 25 Aprile e lo spettro fascista”), il monologo di Antonio Scurati del quale ne è stata impedita la lettura in una trasmissione della terza rete Rai).

“Cosa ricordo della Resistenza”, testo di Enzo Bianchi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 22 di aprile 2024: Inequivocabili segnali d’allarme non sono mancati in questi decenni: abbiamo denunciato la barbarie incalzante, vera minaccia alla convivenza democratica, l’involgarimento dei modi e del gusto e il dilagare della mediocrità e della rozzezza che secondo Robert Musil inducono a una prassi della stupidità. Queste situazioni non sono malesseri delle persone, sono patologie della vita sociale che rappresentano un attentato alla democrazia e all’esercizio della libertà. Domina una cultura della forza, dell’autoritarismo, l’ostentazione della prepotenza, l’autorizzazione all’odio. Di fatto “il popolo” viene usato e degradato a “massa di manovra” e la volontà popolare può propendere per un regime che fa sognare architetture politiche di forza in cui le prime ad essere offese sono le libertà. Appartengo all’ultima generazione vivente nata durante la Resistenza e della Resistenza abbiamo solo sbiaditi ricordi, ma è viva in noi la memoria che durante la nostra crescita ci veniva ripetuto: «Prima della caduta del Fascismo non potevamo parlare, avevamo paura. Eravamo testimoni di una violenza legalizzata. C’era la censura e ora invece abbiamo la libertà». Non erano i racconti delle battaglie che venivano tramandati, ma la coscienza della decisiva importanza della libertà. E come un lascito ho ricevuto l’affermazione: «La libertà non devi mai mendicarla, ma esercitarla e basta». Ma ora ci domandiamo perché è avvenuta la perdita di questa memoria morale, perché non c’è stata la trasmissione del messaggio della libertà, perché nella società compaiono forze che contrastano la libertà? La libertà richiede responsabilità da parte degli uomini e delle donne che la sentono come il primo riconoscimento della propria dignità: responsabilità del soggetto che sa affermare l’“io” per poter affermare il “noi”, contro ogni appiattimento e tentativo di manovrare le masse; responsabilità della propria unicità che rifugge il conformismo e non si lascia abbagliare dal fascismo che sotto diverse forme pretende che il potere sia imposto e non riceva critiche. Fuori di questa responsabilità, che non è altro che assunzione dell’umanità e della storia come “nostro compito”, c’è la demissione di fatto che o apre al regime autoritario o lascia spazio alla stupidità del populismo. Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano impiccato dai nazisti nel 1945, aveva scritto: “Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Gli uomini vengono resi stupidi, si lasciano rendere tali. Sì, qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di gran parte degli uomini. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri”. All’orizzonte della nostra polis il cielo è oscuro soprattutto in Europa e non solo per le guerre in territorio europeo e attorno al Mediterraneo, ma per gli orientamenti delle masse, talmente accecate da promesse di potenza e di forza da non saper più discernere la democrazia che si nutre di libertà.

mercoledì 24 aprile 2024

Lamemoriadeigiornipassati. 71 Donne&Libertà.


“Anna Maria Reale, giovane orlandina che dalla natia Sicilia fu partigiana combattente nella Resistenza romana”, testo di Franca Sinagra Brisca - di seguito in estratto per cortese concessione dell’Autrice - pubblicato su il “nuovoSoldo.com” del 3 di aprile 2024: (…). “Nella mente li vedo / con tremore confuso, / diverso ad uno ad uno /nella storia di vita /questi rifondatori del convivere /uomini e donne, ma ugualmente vivi nello sguardo / perché orizzonti assaporano intensi / di una vita che è grande oltre la loro, / una vita che ha senso / che prescinde da fine, contributo / aperto a contributi. / Né il fanatismo /contamina costoro / se essenziali a funzioni si raccordano / ripetute e variate lungo i giorni / senza mercede; / se rinunciano al coro inebriato / delle voci che fanno fama umana. / Al silenzio sono pronti”. Franca Bellucci. La giostra stravolta. Modulazioni e trittici. Ed Manni 2012

Anna Maria Reale (Capo d’Orlando - ME 1922 – Roma 2003), appartenne ad una famiglia di solido spirito democratico e di militanza politica. Figlia di Erminia Di Lena, di una famiglia di Naso nota per l’adesione ai principi di progresso socialista nel periodo degli inizi del Novecento e al seguito dell’attività organizzata dall’avvocato e poi onorevole Francesco Lo Sardo. Il padre, Giuseppe Reale di Capo d’Orlando, commerciante di legname, si trasferì a Messina già nel 1923, dove accolse ospiti i cognati Di Lena. Rimasta orfana della madre a sedici anni ed emigrato il padre in Colombia, da Messina la ragazza si trasferisce a Roma presso gli zii materni, che saranno la sua nuova famiglia. Personalità di spicco nella storia locale e nazionale, degli zii Di Lena si ricordano Carmelo, che nel dopoguerra rivestì il ruolo di sindaco democratico a Naso, e Ignazio che militò nell’orbita clandestina di Lo Sardo dagli inizi del fascismo in Sicilia e poi  nella Resistenza romana, fino ad occupare ruoli apicali nell’organizzazione del P. C. I. siciliano e nazionale del dopoguerra, infatti dal dicembre 44, mentre lo zio Cono entrò nel Partito d’Azione, lo zio Ignazio Di Lena fu a capo del P.C.I. per organizzare il Direttivo regionale in Sicilia e dopo la Liberazione dirigerà a Roma dal ‘47 l’Ufficio quadri e la scuola di partito.

domenica 24 marzo 2024

Uominiedio. 45 Lettere a Michele Serra.

                        Sopra. Bruegel: "La parabola dei ciechi". 

Quando penso a qualcosa che mi trascende penso all’umanità. Rifletto sulla storia dell’umanità. Una storia a cui io stesso appartengo. Una storia che ha un senso tragico che cerco di capire nonostante la sua complessità. Tutto è per me tanto umano al punto che io ritengo che la stessa religione sia un prodotto dell’uomo. La fede nell’uomo è tutto. Noi siamo uomini in mezzo agli uomini. Dobbiamo trovare lì il bene e il male. La lotta per la vita, che poi si trasferisce nella storia dell’uomo è una storia di violenza. (…). L’uomo di fede conserva la sua fede anche di fronte all’evidenza contraria. Per questo diffido degli uomini di fede. La fede acceca. È una luce talmente potente che acceca. Quando sei accecato non vedi più nulla. Quando invece lasci da parte la fede e cominci ad usare la ragione, vedi l’insopprimibile male del mondo. (Tratto da “Dialogo intorno alla Repubblica” di Norberto Bobbio).

mercoledì 28 febbraio 2024

Lamemoriadeigiornipassati. 65 Massimo Colaiacono: «È la democrazia che si vergogna di se stessa la più grande minaccia alla democrazia».

Nella foto. 1933: parata militare della gioventù hitleriana a Norimberga davanti a Baldur von Schirach che fa il saluto nazista, pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 26 di febbraio 2024.


martedì 27 febbraio 2024

ItalianGothic. 99 All’art. 17 della Costituzione Italiana: «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica».

(…). Non per fare i pierini, o i pedanti, o i babbioni, ma nella Costituzione la Patria è menzionata con grande misura, solo due volte. La prima all'articolo 52, là dove è scritto che "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino", e non sfugge a nessuno la potenza lessicale di quel "sacro". La seconda volta la si incontra all'interno dell'articolo 59, nel quale è detto che "il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno dato lustro alla Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario", e anche in quest'altro caso le parole usate segnalano un senso profondo, "altissimi" meriti che danno "lustro", quindi luce, onore, distinzione.

venerdì 23 febbraio 2024

martedì 20 febbraio 2024

ItalianGothic. 98 Massimo Fini: «Un’Italia ormai inguaribilmente corrotta, nelle classi dirigenti come nel comune cittadino, intimamente, profondamente mafiosa, come sempre anarchica ma senza più essere divertente, priva di regole condivise, di principi, di valori, di interiorità, di dignità, di identità. Un’Italia senz’anima».


L’intransigenza non appartiene al carattere degli italiani. Gli intransigenti sono rari, un’élite. (…). Gli intransigenti sono quelle persone che sono disposte a sacrificare il proprio particolare per l’idea in cui credono. Da questo punto di vista Gobetti è stato un bell’esempio. Lo Stato italiano non lo è. (…). Intransigenza vuol dire anche non perdonare, non dimenticare con troppa leggerezza. La mancanza di intransigenza crea bambini viziati, non liberi cittadini. (…). …abbiamo dimenticato il vero significato di carità. (…). l’intransigenza è perfettamente coerente con la carità (…). La vera carità è una forza interiore che ti spinge a punire (e a premiare) secondo giustizia per il bene pubblico: né vendetta, né favore. (…). Noi dovremmo educare (…) all’idea che essere cittadino richiede anche una forza interiore che ti spinge ad esigere che la repubblica sia intransigente. (Tratto da “Dialogo intorno alla Repubblica” di Norberto Bobbio e Maurizio Viroli).