“La guerra di Venezia non metterà fine allo sterminio a Gaza”: Mentre Gaza sta per essere rasa al suolo per far posto a un resort, qui ci si scontra sul boicottaggio culturale. In gioco c'è un principio capitale, la libertà di opinione, ma anche la necessità, che molti avvertono, di mettere in atto qualunque azione possibile per fare pressione sul governo israeliano. Andiamo verso un'ulteriore escalation e mancano perfino le parole: ogni giorno, a ogni edizione, il tg snocciola una frase che nel suo ripetersi ha perso significato: "La situazione a Gaza si fa sempre più drammatica" e l'opinione pubblica si sente sempre più impotente. È giusto domandarsi quanto può interessare a Netanyahu che un attore o un'attrice vengano esclusi da un festival del cinema, se nemmeno 350 mila suoi cittadini che manifestano a Tel Aviv lo fanno retrocedere di un millimetro dalla sua furia genocida? Non è solo una questione di efficacia di questa o quella arma di pressione, perché anche i sentimenti dei singoli davanti a una catastrofe umanitaria che resta impunita - grazie ai governi del mondo che si limitano, e da poco tempo, a qualche frase di circostanza – hanno cittadinanza. Molti, tra cui chi scrive, sentono il peso di assistere ad atrocità commesse ai danni di civili inermi ed è giusto che i sentimenti di ingiustizia e indignazione si esprimano: è una libertà che va garantita e una necessità per tanti. Ma ha senso prendersela con i singoli, anche quando questi non hanno espresso posizioni su quello che oggi succede a Gaza, quando azioni come chiudere ogni relazione, politica, diplomatica e commerciale, con Israele non vengono nemmeno minacciate dai governi occidentali? Non intendiamo, ponendoci questa domanda, giustificare posizioni irricevibili, come l'accusa di antisemitismo scagliata contro i critici di Israele, solo non cadere nella trappola del parlare d'altro e in quella ancora più insidiosa della costruzione di un nemico altro. Il nemico è chi uccide, affama, viola le regole del diritto internazionale, spara sui medici e sui giornalisti. (…). Come possiamo pensare a una pace nella Striscia se qui, nel tepore della nostra sicurezza, abbiamo la bava alla bocca, semplicemente parlando? Nella resa del dialogo, i media giocano un ruolo fondamentale, amplificando a seconda delle convenienze, gesti stupidi come quello del professore che invita a cancellare gli ebrei dai contatti sui social, esasperando le posizioni, sempre più polarizzate, con il solo fine di occultare il genocidio. Non ci aiuta la classe politica, incapace di indirizzare il dibattito pubblico perché incapace di un pensiero critico e articolato. Lunedì, al Meeting di Rimini, il ministro dello Sport Abodi ha candidamente spiegato che gli atleti israeliani e quelli russi verranno trattati in modo diverso alle prossime Olimpiadi invernali. Ai primi verrà consentito di gareggiare regolarmente, ai secondi no: e questo, secondo il ministro, perché la guerra in Ucraina rispetto al conflitto in Medio Oriente "è stato un fatto molto più cruento". Cioè a Gaza, dove l'83 per cento (secondo fonti indipendenti riportate qualche giorno fa dal Guardian, non da Hamas) delle vittime sono civili, l'aggressione di Israele è meno" cruenta". Le persone si sentono prese in giro: stupidità e bugie non fanno che aumentare un già diffuso senso di frustrazione. Si dirà che di fronte alla complicità dei governi, ci restano le armi spuntate del boicottaggio culturale e dunque usiamole perché nulla resti intentato. (…). Invocare la messa al bando di ogni singolo (spesso su basi non solidissime) è pericoloso: dove inizia la censura finisce la democrazia.
“Senz’accorgersene, Netanyahu lavora a uno Stato per 2 popoli”: Quale lezione trarre dal bombardamento dell'ospedale Nasser di Khan Younis, ancor più doloroso per noi perché moltissimi che avevano accolto l'invito di domiciliarsi a Gaza avevano scelto di farne, proprio lì, il loro domicilio elettivo? (…). L'ospedale è stato colpito due volte, la seconda per uccidere quanti erano accorsi per soccorrere le vittime della prima. E sono stati deliberatamente uccisi cinque giornalisti palestinesi che lavoravano anche per la stampa internazionale. Alla strage si è aggiunto l'affronto della dichiarazione di Netanyahu sull’incidente". È la prima volta che il despota israeliano parla di incidente, dunque dobbiamo capire in che senso per lui si tratta di un incidente. Non lo è perché è stato attaccato un ospedale, perché ospedali, incubatrici, sale operatorie, ambulanze e medici sono stati finora colpiti senza che mai si parlasse di un incidente. Non lo è perché sono stati uccisi dei giornalisti, perché già ne erano stati uccisi a Gaza 240 prima di loro. Non lo è perché nell'attacco ci sono stati 20 morti, perché di morti dall'inizio dell'eccidio se ne sono contati 62.000, senza che venisse espresso alcun rammarico, mentre è in corso di esecuzione la condanna a morte per fame di una popolazione intera. Allora in che senso si è trattato di un incidente? Perché questa volta l'eccidio invece di cadere nell'indifferenza diffusa e di essere confortato dalla complicità di molti altri poteri, ha suscitato un'esecrazione generale e perfino Trump se ne è detto scontento, mentre Spagna, Francia, Germania, Santa Sede e molti altri nel mondo si sono detti indignati, "scioccati" e "allibiti". Questo sì, per Netanyahu, è un "incidente", perché non ci era abituato; ma non lo è solo per lui, bensì per tutto lo Stato di Israele che, essendo nella sua pretesa invincibilità una costruzione artificiale che si regge su una elezione e una fraterna solidarietà del mondo intero, se viene a perderle gioca sé stesso. Con la sua determinazione al male, Netanyahu è diventato in effetti alternativo al popolo ebraico, infrange tutte le Scritture, in cui non compare un ebreo crudele come lui, e getta in "un buco nero" (…), il suo Stato. La conseguenza è che egli sta costruendo proprio il contrario di ciò che vorrebbe e per cui sta combattendo, fino a giungere al genocidio. Con i suoi due dioscuri Smotrich e Ben-Gvir sta creando le condizioni per una mutazione genetica dello Stato di Israele. Con la costruzione di 3400 unità abitative del progetto East 1, che separeranno Gerusalemme dal resto della Cisgiordania occupata, con lo sradicamento degli ulivi e la costruzione di strade separate e muri, sta rendendo anche fisicamente impossibile la soluzione dei due Stati in Palestina. Dunque dovrà restare uno Stato solo. Ma una pulizia etnica che riesca ad azzerarvi la presenza di milioni di palestinesi non è possibile, perciò, per una singolare eterogenesi dei fini, non potrà che esserci uno Stato binazionale, di Ebrei e Palestinesi. Ma poiché, come dimostra il Sudafrica, uno Stato multietnico in cui un'etnia goda di diritti esclusivi e opprima l'altra non è indefinitamente possibile, né può continuare - senza una generale omertà violenta - l'illegittima occupazione militare dei territori palestinesi, è inevitabile che Israele diventi lo Stato dei due popoli con eguali diritti, attraverso un lungo e difficile processo di riconciliazione che peraltro in alcuni settori della società israeliana e palestinese è già iniziato. Questa vera soluzione della "questione palestinese" avrà il consenso di tuttala diaspora ebraica, che così potrà uscire dall'incubo di un nuovo e ancor più diffuso antisemitismo e godrà dell'appoggio e della simpatia dell'intera comunità internazionale.
N.d.r. Il secondo ed il terzo testo sopra riportati sono a firma, rispettivamente, di Silvia Truzzi e di Raniero La Valle e sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” di oggi.
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