"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 10 settembre 2025

MadeinItaly. 61 “Quello sgangherato fondo dell’italico stivale”.


Non capisco perché nel linguaggio dei politici e dei governanti con "grandi opere pubbliche" si intenda solo ed esclusivamente la costruzione di ponti, gallerie, autostrade. Che spesso e volentieri, sia detto tra parentesi, si rivelano essere né impellenti né necessarie, ma sicura fonte d'illeciti guadagni. Mi chiedo: mettere mano a Pompei, che se ne cade letteralmente a pezzi, non sarebbe una grande opera pubblica? E non lo sarebbe anche una vera riforma universitaria che adeguasse i nostri atenei alle richieste di lavoro del mondo d'oggi, dotandoli di attrezzati laboratori di ricerca? E come definire altrimenti la ristrutturazione e l'attenta manutenzione dei nostri archivi storici che sempre più s'approssimano allo sfacelo? (Tratto da “Segnali di fumo” di Andrea Camilleri, Utet editrice, 2019).

“La Calabria rotta: viaggio alla fine del Ponte chimera”: Con in mano la cartolina di Polifemo che dice al mondo: "Saluti dal Ponte dello Stretto!" saliamo sul Reventino, la catena che unisce i due mari della Calabria, lo Jonio e il Tirreno, e guarda al nuovo che verrà. "Col permesso di Polifemo avremmo però bisogno di riavere il trenino per andare a Catanzaro e a Cosenza, capire se la nostra vita dev'essere equiparata a un binario morto oppure siamo ancora degni di essere ascoltati, ricevuti, magari persino compresi. Passano gli anni, facciamo vecchi, spariscono i paesi e con loro la nostra vita fatta di elemosina perenne", dice Raffaella Perri, sindaca di Decollatura, il paese il cui nome ha un fascino noir, originato dalla decapitazione degli Epiroti a opera dei Mamertini (257 avanti Cristo). Scigliano-Rogliano. C'era una volta il treno. Decollatura è adagiata su un pianoro, come un vassoio in cima alla scala. Per uscire e per entrarvi, per arrivare o per lasciarlo, tocca farsi il segno della croce. Solo curve, sempre curve, dossi, frane. – Nulla che aiuti a dare il senso di una realizzazione contemporanea a noi, un'opera che aiuti a rendere possibile la permanenza. "Solo il treno connette le comunità. È un bruco che magari va piano ma non ha interruzioni. È un vettore popolare, economico e anche pulito", dice la sindaca. "Col treno si andava dal mio paese, che è Scigliano, alla scuola superiore e all'ospedale del paese confinante, cioè Rogliano. Hanno tolto prima il treno, l'ospedale è in ristrutturazione, dunque chiuso, e tra un po' la scuola, mancando gli alunni, andrà a " farsi benedire", spiega Raffaele Pane, il sindaco. "L'unica fortuna, l'unico piacere sa qual è?". Qual è? "Hanno rimesso coi fondi del Pnrr le traversine nel tratto, che da Scigliano va a Colosimi. Sono solo 11 chilometri ed è solo un decennio che aspettiamo. Però è qualcosa. Tra due anni forse ritornerà il treno". Strade. Acqua. Fogne la regione amputata. La Calabria oggi impegnata a fare grande la gloria dell'Italia, non ha più la testa per le piccole cose: per esempio, come abbiamo visto, le ferrovie regionali. Non che con le strade andiamo meglio, ma qui siamo al punto dell'ingiuria alla intelligenza: come far crescere una regione amputandone mani e piedi. Mancano le strade, ma anche l'acqua e pure le fogne e pure i depuratori. A volte tutte insieme, a volte uno alla volta: c'è la strada ma l'acqua è a singhiozzo, c'è il mare ma è sporco, c'è la montagna ma frana. Dodici anni fa incontrammo alla stazione di Cosenza Francesco Saccomanno, allora segretario di Rifondazione comunista. Lo rivediamo adesso: "Anno 2013, il treno avanzava da Cosenza per qualche chilometro, si fermava a Rogliano, appena superata la cintura urbana del capoluogo, riprendeva più in avanti, si rifermava tra i rovi. Tutto come allora, nulla è cambiato. La Calabria muore, ingoiata nel mito del Ponte".  Il Ponte in effetti si ripresenta ogni decennio e sempre con le migliori intenzioni. "È tecnicamente divenuto un mito dell'Antropocene un'ombra che ci insegue ma declina purtroppo, ogni anno di più, verso l'indifferenza". C'era una volta B. La posa della prima pietra. Anno 2025, siamo al testacoda salviniano che ha riaperto il grande fenomeno narrativo: "Avevo28 anni e iniziavo a fare la cronista quando fu proclamato da Silvio Berlusconi l'anno santo del Ponte, il Giubileo per Villa San Giovanni, la mia città. Era così convinto che spiegava per filo e per segno la magnificenza di questo ponte, i cavi d'acciaio, le grandissime strutture ingegneristiche, l'architettura mondiale in mezzo a una coltre di gambe e di chiome al vento". Signore; signorine, uomini d'altura, presidenti e governatori di qua e di là. Da Scilla fino a Cariddi un gran bel fracasso. Oggi che Giusy Caminiti - superati i 40 - è stata eletta sindaca di Villa, il Ponte le si è ripresentato prepotente sulla sua testa. "C'è da dire che quando avevo 35 anni fu messa la prima pietra, wow!". Oggi siamo al replay della prima, della seconda e della terza pietra. Acrobazie ingegneristiche 155 anni in storia. Matteo Salvini, per fare presto, ha dimenticato ciò che disse nove anni fa ("uno spreco, non serve a niente, prima i calabresi e i siciliani") preso ciò che era già sul tavolo per chiudere i conti con l'inazione, la stasi, la perturbazione dell'animo, il dubbio amletico. Reggerà la campata unica o i venti la solleveranno in aria? E madre natura terremota o sta buona? Avesse avuto un po' più di pazienza il nostro ministro delle Infrastrutture avrebbe trovato un bellissimo progetto del 1870, firmato da Carlo Navone, che illustrava nei dettagli l'acrobazia ingegneristica e indicava la soluzione: un tubo sottomarino tra Scilla e Cariddi, una soluzione ultra meravigliosa, dal costo definito pure nelle virgole: 10 milioni 576.450 lire. Nel 1950 l'ingegner David Steinmann avanzò nella prognosi: bastavano 567 mila metri cubi di cemento, 46 mila tonnellate di cavi, 74 mila tonnellate di acciaio e il più era fatto. "Il Ponte è un effetto ottico, un'illusione, un modo per parlar d'altro. Siamo al punto ora non di giudicare il merito dell'opera, serve oppure no, ma di indagare su quanto reggerà la finzione di saperla fatta mentre non è nemmeno progettata compiutamente, di vedere come la propaganda scannerà la Calabria, il cui corpo è ammalato mentre i miliardi si accumulano in un altrove inspiegabile: il Ponte che non c'è", annota Vito Teti, l'antropologo che vive tra le sue pietre, appena sopra Vibo Valentia. Polifemo e Paperino. Prima dei paesi di troppo. In effetti sia Polifemo che nel 1953 un annullo filatelico delle Poste italiane e poi un numero straordinario di Paperino (Io e il Ponte!), diedero per fatta l'opera. Bandito, anni addietro, un premio per il miglior progetto e assegnato al modo nostro: al primo posto sei progetti ex aequo, al secondo posto sei progetti ex aequo. Nel tempo sono corsi i milioni di lire, poi i milioni di euro. Guardando alle briciole 78 mila euro se ne sono già andati per le fotocopie, e, negli anni, attivata e forse inconclusa, una indagine dell'Istituto ornitologico svizzero sulle traiettorie migratorie dei volatili, sulle rotte nord-sud che col Ponte sarebbero saltate. "Vogliono fare il Ponte, ok. Ma a noi le traversine di cemento per andare col treno da Scigliano fino a Rogliano ce le danno? Perché la Calabria rimane stecchita sotto il Ponte se non difende quello che ha, la sua vita, il suo sistema nervoso", dice Raffaele Pane, da Scigliano. Uno dei paesi di troppo, che presto sparirà.

“La Sicilia del Ponte, dove tutte le strade portano a un buco”: In attesa del Ponte, che ancora non c'è, si arriva a Messina al solito modo: Caronte traghetta, e siamo al monopolio o quasi, tutto nella norma. Prendiamo il treno per Catania, che non c'è per via del doppio binario in costruzione. C'è invece l'autostrada. "In coda ogni giorno, anche un'ora e mezza", dice Gianni, 48 anni, trasportatore "di cui venti vissuti da fermo, in coda come sempre". Se in Calabria il binario è morto, qui in Sicilia tutte le strade portano a un buco, a un tunnel, a una voragine spesso attesa. E ogni questione semplice si fa complessa. Esempio? La Sicilia è assetata anche per via della più straordinaria costruzione di una diga che la storia contemporanea ricordi: quella di Blufi, sulle Madonie. Dovrebbe servire a far bere la porzione dell'isola, quella a sud tra Agrigento e Caltanissetta, sempre assetata. Ma per 60 anni opere, varianti, rescissioni contrattuali, indagini, intoppi: e dunque zero carbonella. Ideata nel 1964, annunciata alla metà degli anni Ottanta, poi alla fine del Novecento, poi agli inizi del nuovo secolo. Tutto in Sicilia funziona così, nel senso che non funziona e non si aggiusta. Esiste l'istinto inerziale alla statica come soluzione politica, disegno filosofico, modo di vivere. Se lavori nel pubblico fare male e nel tempo allungato dell'altrui disperazione. Col Ponte sullo Stretto, e la voglia salviniana di dare gloria all'Italia nel mondo, si giungerà rapidamente nell'apocalisse della direttissima Messina- Palermo: viadotti, bretelle, sensi unici alternati. Calce, cemento, lavori in corso. C'è l'Anas che non smette di avviare le opere senza però terminarle, e c'è il Cas, consorzio autostrade siciliane, che neanche ci prova a iniziarle. "Abbiamo perso 330 milioni di euro già stanziati per il tratto che da Modica porta a Scicli perché il Cas, questa incredibile agenzia regionale che ostruisce invece di accelerare, non aveva pronto il progetto esecutivo", denuncia Anthony Barbagallo, deputato del Pd. La specificità siciliana è che le incompiute non hanno colore: sia quando governa il centrodestra sia il centrosinistra tutto rallenta, migra altrove, diviene un problema. Mancano le strade ma nessuno se la sente di prendere il treno: "Da Siracusa a Trapani finisce che uno ci sta dentro ungiorno intero", dice Roberta, bottegaia di Gela, la città corrosa dalla mafia, infiltrata fin nelle ossa. Un esubero cementizio, un surplus di acciaio ossidato, di buche cittadine e ponti sbarrati. Sarebbero 48 mila le buche - secondo un conto di un movimento dei consumatori, sulla cui esattezza non ci sentiamo di giurare - in cui inciampano i siciliani ogni giorno. Poi ci sono i grandi vuoti. Gela, sud dell'isola, dovrebbe essere collegata al nord, a Tusa. Un filo che darebbe alla Sicilia interna mobilità, connessione, sviluppo. Enna, che ha i suoi problemi e vive in altura, distante dalla politica del palazzo dei Normanni ma anche dal mare che bagna in ogni suo lato questa terra bellissima, va dimagrendo anno per anno perché ha collegamenti precari e un corridoio nord-sud le servirebbe come l'aria. "Da Enna si scappa perché non c'è modo di resistere, non c'è connessione con il resto del mondo. Chiedo a Salvini: ci fa il Ponte e lo ringraziamo, ma poi ad Enna come ci si arriva?". Così il professor Nisticò, ottant'anni di ferro, "con me latino e greco a campanello, al liceo promossi o bocciati, con me non esisteva l'esame di riparazione. Qui adesso è un ingorgo di ignoranti". Enna sta svuotandosi per davvero e la conta degli abitanti, che l'anagrafe ufficiale stima in oltre ventottomila, invece regredisce rapidamente. È un albero che perde continuamente foglie: "È come essere senza futuro. Enna fa oggi 24 mila abitanti, e ne perderà ancora. Così come Nicosia, Mistretta, Leonforte", dice Barbagallo. La corsa per raggiungere Agrigento (la capitale della cultura, ricordate?) da Palermo è dentro l'esatto principio dell'odissea omerica. Dal bivio della Bolognetta in poi la percezione che i siciliani siano persone che mirano all'eternità. "Non è che non ci arrabbiamo, è che siamo disgustati, anzi sconfortati. Non ci facciamo più caso, non diciamo granché né di bene né di male, la politica così è", dice il nostro Caronte, si chiama Ottavio, cittadino di Siracusa ma con il cuore dall'altra parte della Sicilia: "Vuoi venire a vedere cos'è la stazione di Alcamo? Le rondini tra le mura, i binari ormai arrostiti? La Sicilia è un buco nero anche per colpa nostra, diciamocelo". Il sole sempiterno, il mare meraviglioso, la cultura araba, la civiltà normanna, l'archeologia monumentale, l'agricoltura di eccellenza, il sottosuolo gonfio di gas, anche petrolio. La Sicilia ha tutto, ma manca tutto. Catania, per dire, è l'unica città italiana decisamente metropolitana. L'area urbana conta un milione di abitanti e scivola lungo le pendici dell'Etna, comprendendo vari comuni. Metà di questa popolazione non gode di un servizio pubblico né su ferro né su strada. Aspettano l'Etnarail, la metropolitana leggera. Ma si farà? Intanto, e siamo sempre dal professor Nisticò: "Solo un pazzo può pensare che con 15 miliardi di euro si realizza il Ponte. Vedrà che quando faranno i conti, perché a me risulta che non esiste un progetto esecutivo, i miliardi raddoppieranno, e quando faranno gli studi troveranno il mare che sbuffa, la roccia che scuote". L'opera se verrà alla luce collegherà rapidamente la Calabria rotta alla Sicilia incompiuta. Magari da Polifemo in poi ciascuno ha sognato di raggiungere Cariddi senza l'aiuto dei remi. Ma l'isola dove ancora distribuisce carte Totò Cuffaro democristiano primordiale, deve accontentarsi della misura del passo di Renato Schifani, politico berlusconiano di seconda fila, giunto alla presidenza della Regione per volere di Ignazio La Russa, che gestisce da Palazzo Madama il traffico politico isolano, per un caso che Giorgio Mulè, compagno di partito di Schifani, destina alle curve diaboliche del potere: "La mia candidatura saltò per un cavillo anagrafico (la residenza in Sicilia ndr) e così si aprirono le porte per quello lì". L'imprevisto nell'isola dell'incompiuto. Ponte o meno, la Sicilia stagna sull'enorme fardello dei suoi stessi sprechi e sulla dimensione del suo tempo, ormai impunemente perduto.

N.d.r. I testi sopra riportati sono a firma di Antonello Caporale e sono stati pubblicati su “il Fatto Quotidiano” rispettivamente del 3 e del 4 di settembre 2025.

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