"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 31 agosto 2016

Paginatre. 48 “Fenomenologia del webete”.



Tanto per richiamare alla corta memoria di noi che apparteniamo al genere ultimo dell’“homo videns” quanto ebbe a scrivere – imperitura iscrizione a pie’ di pagina di questo blog - il giornalista-scrittore Gianni Mura sul Venerdì di Repubblica del 21 di dicembre dell’anno 2012: “Mettiamola così: secondo me non tutti quelli che vanno sul web sono dei dementi. Ma tutti i dementi vanno sul web”. Tratto da “Censori, vergognisti e altri webeti*” (*copyright di Enrico Mentana) di Andrea Scanzi, su “il Fatto Quotidiano” del 30 di agosto 2016: La verità è che il web, forse, non ce lo possiamo permettere. I social network sono sempre più invasi da coloro che Enrico Mentana ha definito “webeti”. C’erano anche ieri, solo che sproloquiavano al bar o scrivevano perle di vita vissuta sui muri dei cessi: evitarli era facile. Oggi, purtroppo, tocca leggerli. Anche e soprattutto se non vuoi. Già notati da Michele Serra e Umberto Eco, i social dement hanno portato Il Time a sparare in copertina: “I troll hanno trasformato il web in una fogna di ostilità e violenza”. E così la Rete, che continua a essere popolata da persone meravigliose che senza il web non avresti mai conosciuto e ad avere pregi enormi, è appesantita da “avvelenatori di pozzi” di professione. Qualcuno fa tenerezza, qualcuno fa pena. Qualcun altro fa solo schifo. Fenomenologia breve del webete. Talebano. È sempre convinto che la verità stia solo da una parte e coincida con Renzi, Grillo o Salvini. Se gli dai ragione sei un eroe, se osi fare distinguo sei una merda. Il dubbio non li ha mai intaccati. (…). Pretoriani. Passano la vita a insultare chi non la pensa come loro, creando profili fake a profusione per aumentare il loro fuoco (fatuo) di fila. Hanno fatto sesso l’ultima volta nel ’77 e si masturbano se un loro hashtag finisce nei Trending Topics. Poveracci. Haters. Webeti anonimi che ti attaccano anche se dici cose ovvie, tipo “Rondolino è brutto come un singolo di Antonacci”. Se ti incontrano per strada, ti chiedono l’autografo: non perché in realtà ti stimino, ma perché del tutto sprovvisti di zebedei. Se la fanno sotto di default.

martedì 30 agosto 2016

Scriptamanent. 38 “Quando mia figlia ha scoperto che c'è la povertà”.



Da “Quando mia figlia a 5 anni ha scoperto che c'è la povertà” di Arianna Huffington, sul settimanale “D” del 30 di agosto dell’anno 2014: Sogno il giorno in cui fare il volontario sarà naturale come fare shopping. Perché aspettare che un leader ci salvi non basta, bisogna iniziare a fare da sé. Dare, amare, prendersi cura delle persone, praticare l'empatia e la compassione, superare i propri limiti e abbandonare le proprie sicurezze per contribuire ad aiutare gli altri: ecco qual è l'unica risposta possibile alla moltitudine di problemi che il mondo si trova ad affrontare. Se il benessere, la saggezza e la capacità di stupirsi sono la nostra risposta alla chiamata che sentiamo da dentro, ne consegue che mettersi al servizio degli altri è la risposta naturale alla chiamata proveniente dall'umanità. Ci troviamo immersi in molteplici crisi, economiche, ambientali e sociali. E non possiamo aspettare che un leader sul cavallo bianco venga a salvarci. Quel leader dobbiamo trovarlo tutti noi, guardandoci allo specchio e compiendo i passi necessari per cambiare le cose, nelle nostre comunità come dall'altra parte del pianeta. Ciò che fa del mettersi al servizio degli altri qualcosa di così potente è che a giovarsene sono entrambe le parti. Quando mia figlia minore Isabella aveva 5 anni, abitavamo a Washington. Un giorno stavamo facendo volontariato al Children of Mine, un centro per bambini in difficoltà nel quartiere disagiato di Anacostia. Il giorno prima avevamo festeggiato il compleanno di Isabella con una torta a forma di sirenetta, regali, palloncini e festa. Il caso ha voluto che l'indomani, al centro per l'infanzia, anche un'altra bambina compisse i 5 anni. E la sua festa di compleanno consisteva in nient'altro che un biscotto al cioccolato con una candelina sopra: quel biscotto era la torta e al tempo stesso il suo unico regalo. Da un lato all'altro della stanza, ricordo, vidi che a mia figlia si riempivano gli occhi di lacrime. In quel momento, dentro di lei scattò qualcosa, qualcosa che io non avrei mai potuto insegnarle. Quando tornammo a casa, Isabella corse in camera sua, prese tutti i regali che aveva ricevuto e mi disse che voleva portarli a quella bambina. Non è che all'improvviso si fosse trasformata in Madre Teresa: in seguito, Isabella i suoi episodi di egoismo li ha avuti eccome. Ma fu comunque un momento profondo, il cui effetto la accompagnerà per sempre. Ecco perché mi piacciono tanto quelle famiglie in cui si trova regolarmente il tempo di fare volontariato tutti insieme. Il mio sogno è che un giorno tutte le famiglie, quando si tratterà di decidere come impegnare il fine settimana, si domandino: «Questo weekend cosa facciamo? Andiamo per negozi, al cinema, oppure a fare volontariato?». Sogno il giorno in cui fare volontariato risulterà naturale, e non una cosa eccezionale, o che ci fa sentire particolarmente nobili. Soltanto una delle cose che facciamo, e che ci mette in contatto gli uni con gli altri. È l'unico modo in cui, come individui, potremo realmente cambiare la vita di milioni di bambini che non hanno un tetto, o che hanno fame, o che vivono in zone urbane dove la violenza è un fatto quotidiano. Quella bambina di Anacostia che festeggiava il compleanno con un biscotto è una degli oltre sedici milioni di bambini che solo in America vivono nell'indigenza, in condizioni che mettono a rischio la loro salute, il loro rendimento scolastico e la possibilità di avere un futuro. Ed è un problema che va peggiorando. La percentuale di bambini che negli Stati Uniti vivono in famiglie a basso reddito è passata dal 37 per cento del 2000 al 45 per cento del 2011. Fino a quando la compassione e la generosità non diventeranno parte integrante della nostra vita quotidiana, continueremo a liquidare questi dati statistici con una scrollatina di spalle nervosa e qualche disillusa spiegazione che tuttavia non offre risposte: «È il sistema che è guasto», oppure «i politici litigano troppo per realizzare le riforme importanti». È vero, quello che la politica deve fare è molto, ma noi non possiamo limitarci a delegare la nostra compassione allo Stato e starcene a bordo campo, lamentandoci perché non fa abbastanza. Una compassione davvero profonda può liberarci da tutto ciò che pone limiti alla nostra mente quando si tratta di immaginare il possibile. Solo così potremo contrastare l'eccesso di avidità e narcisismo che ci circonda.

lunedì 29 agosto 2016

Scriptamanent. 37 "I migranti risvegliano le nostre paure”.



Da "I migranti risvegliano le nostre paure. La politica non può rimanere cieca", intervista al sociologo Zygmunt Bauman di Antonello  Guerrera pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 29 di agosto dell’anno 2015: "Un giorno Lampedusa, un altro Calais, l'altro ancora la Macedonia. Ieri l'Austria, oggi la Libia. Che notizie ci attendono domani? Ogni giorno incombe una nuova tragedia di rara insensibilità e cecità morale. Sono tutti segnali: stiamo precipitando, in maniera graduale ma inarrestabile, in una sorta di stanchezza della catastrofe". (…).
Signor Bauman, duecento morti al largo della Libia. Due giorni fa altri cento cadaveri ritrovati ammassati in un camion in Austria. Il dramma scava sempre più il cuore del Vecchio continente. E noi? Cosa facciamo? "E chissà quanti altri ce ne saranno nelle prossime ore. Oramai sono milioni i profughi che cercano la salvezza da atroci guerre, massacri interreligiosi, fame... La guerra civile in Siria ha innescato un esodo biblico. Scappano gli afgani, gli eritrei. Mentre nel 2014, riporta l'Onu, erano circa 219mila i rifugiati e migranti che hanno attraversato il Mar Mediterraneo, e di questi 3.500 sono morti. Un anno prima questa cifra era molto più bassa: circa 60mila. Qui in Inghilterra ho letto molte reazioni di personaggi pubblici di fronte a una simile emergenza. Tutte a favore di "quote migratorie" più rigide, in ogni caso. Mentre chi come Stephen Hale dell'associazione British Refugee Action invoca una riforma del sistema di asilo basata sugli esseri umani, e non sulle statistiche, è rimasto solo una voce solitaria".
Ma l'Europa cosa può fare per risolvere questo disastro umanitario? "L'antropologo Michel Agier ha stimato circa un miliardo di sfollati nei prossimi quarant'anni: - Dopo la globalizzazione di capitali, beni e immagini, ora è arrivato il tempo della globalizzazione dell'umanità -. Ma i profughi non hanno un loro luogo nel mondo comune. Il loro unico posto diventa un non luogo, che può essere la stazione di Roma e Milano o i parchi di Belgrado. Ritrovarsi nel proprio quartiere simili non luoghi, e non solo guardarli in tv, può rappresentare uno shock. E così oggi la globalizzazione irrompe materialmente nelle nostre strade, con tutti i suoi effetti collaterali. Ma cercare di allontanare una catastrofe globale con una recinzione è come cercare di schivare la bomba atomica in cantina".

domenica 28 agosto 2016

Doveravatetutti. 17 “Lo statuto della menzogna”.



Alla caduta dell’uomo venuto da Arcore l’amico carissimo mi dice: - Non mi sembra che tu ne sia rallegrato di questa caduta -. Resto perplesso per l’osservazione. È tutta vera. Non ne sono rallegrato e la “cosa” mi sorprende assai. Si era sperato nel miracolo, nell’incanto che ne sarebbe sopraggiunto. È forse così: ne siamo come incantati, storditi. Stupiti. Troppo presto, tutto è avvenuto troppo presto; troppa grazia, signore. Ci rifletto sopra ed un istante dopo mi pare di avere trovato la risposta: - C’è poco da rallegrarsi. Quella falsa moneta che oggi spaccia come “segno” di responsabilità – a seguito della lettera europea - nei confronti del paese è tanto falsa che non riusciremmo a pagarci un nulla a fronte delle iniquità, delle macerie che ci ha costretto ad ammucchiare nel corso della sua occupazione del potere. Con la sua moneta falsa tenta di salvare la faccia sua e basta, assieme alle sue sostanze certamente -. Lo si va ripetendo da anni il ritornello: ci saranno montagne di macerie materiali e morali da rimuovere che non ci sarà consentito rallegrarci per gli accadimenti che avevamo sperato che si inverassero. È un’amara verità. È la crudeltà della Storia. Scrivevo su questo blog in tempi oramai lontani, arcaici, il 29 di settembre dell’anno 2003: Andando lungo la sottile ed incerta linea d’ombra che separa la cronaca dei nostri giorni dalla Storia. Scriveva Alexis de Tocqueville al caro amico De Beaumont il 5 Ottobre dell’anno 1828 : “(…). Meditate bene su questo, niente offre più ampia materia di riflessione: supponiamo che un despota s’impadronisca della sovranità, il suo potere, qualunque esso sia, avrà dei limiti, se non altro quelli dettati dalla paura; ma un sovrano investito del potere di fare ogni cosa in nome della legge è molto più temibile, e lui non teme nulla. (…)”. Pare proprio essere un severo monito  per le cronache di questi nostri giorni, allorquando le vicissitudini politiche sembrano non destare quegli allarmi che una sana e robusta democrazia dovrebbe attivare rapidamente per arginare le mostruosità legislative già realizzare ed impedire ulteriori stravolgimenti che renderebbero questo Paese impresentabile a sé stesso ed al consesso delle nazioni più progredite. Termine all’auto-citazione.

Scriptamanent. 36 “L’antiberlusconismo spiegato al premier”.

Da “L’antiberlusconismo spiegato al premier” di Guido Crainz, sul quotidiano la Repubblica del 28 di agosto dell’anno 2015: Ha avuto uno sguardo un po’ distratto negli ultimi vent’anni, Matteo Renzi, se dell’antiberlusconismo ha colto solo qualche settarismo e qualche semplificazione. Ed è grave se si è fermato ad essi senza riflettere realmente su quel che è stata la “stagione di Berlusconi”: con il prepotente emergere di deformazioni culturali, sociali e politiche già riconoscibili negli anni Ottanta. Con una  irresponsabilità di governo che nel 2011 ci ha portati sull’orlo del crollo, con uno stravolgimento delle istituzioni che ha inciso in profondità sul loro concreto funzionamento ed è stato fermato appena in tempo. Prima che riuscisse ad intaccare quell’equilibrio fra i tre poteri dello stato che è il fondamento della democrazia. Non si liquida con una battuta quella fase: «Questa settimana - scriveva appunto nel 2011 un commentatore del New York Times - mi sono trovato a pensare che anche il valore della mia pensione potrebbe dipendere da Silvio Berlusconi». Non vi può essere una vera rifondazione del Paese (un “cambiar verso”) senza fare realmente i conti con l’Italia che è confluita nella stagione berlusconiana e che in essa si è consolidata. Raccoglieva molti umori fermentati negli anni ottanta il Berlusconi della “discesa in campo”, e lo segnalarono via via - inascoltati - non pochi commentatori. Dietro la predicazione di “un nuovo, grande, straordinario miracolo italiano” vi era la rimozione del macigno economico ed etico che pesava sul Paese: un debito pubblico che ne aveva minato l’economia e lo stesso modo di essere, abituandolo a vivere a credito; abituandolo a dissipare ricchezza e a lasciare il conto alle generazioni future. Rimarrà questa fino all’ultimo la cifra del berlusconismo, dalla “finanza creativa” di Tremonti sino agli ultimi scampoli del suo governo, con la ostinata negazione della crisi che incombeva. E con un atteggiamento di fondo «che guardava con indulgenza sottaciuta alla indole degli italiani. Alla loro diffidenza verso la dimensione pubblica, ai loro egoismi di corporazione, alle elusioni fiscali, all’irritazione provocata dalle norme» (…). E ampi settori sociali percepirono e condivisero il suo “liberalismo” per quel che era, profonda insofferenza alle regole.

venerdì 26 agosto 2016

Scriptamanent. 35 “#staiserenorenzièdareality”.



Da “Anche Renzi è da reality ma meglio coatti che col loden” intervista ad Enrico Vanzina di Malcom Pagani, su “il Fatto Quotidiano” del 26 di agosto dell’anno 2014: (…). “Questo paese è diventato la landa del cazzeggio continuo senza mai un istante in cui ci si fermi a riflettere. Ridono tutti, non si capisce bene per che cosa. In radio trionfano, senza un’unghia del suo talento, imitatori di Fiorello a vario titolo. In giro si sentono storiacce di guerra e decapitazioni, ma noi perdiamo la testa solo per la battuta. Fino all’autunno che immagino un po’ meno allegro del presente ci attaccheremo a Flaiano e considereremo la situazione grave, ma non seria. Dopo, si vedrà”. (…).
A proposito di avventure, in estate, vestendo fogge improbabili, hanno imperversato i politici. “Si sono adattati al nuovo linguaggio seriale. Tutti vogliono il loro reality e i politici non fanno eccezione. Vanno a farsi prendere in giro a Striscia o a Le Iene, diventano attori comici a loro volta. Il problema è che la politica non può essere soltanto avanspettacolo. Poi c’è il tema dell’autoreferenzialità”.
Affrontiamolo. “Prenda Renzi che, ci tengo a dirlo, per me è un bravo ragazzo ed è tutt’altro che un cafone”.
Renzi, preso. “Ecco, Renzi si è dovuto adattare ai social network e ineluttabilmente, visto che l’unico imperativo contemporaneo sembra essere rimandare in continuazione la propria immagine impegnata in una, dieci, cento esistenze, ha creato a sua volta la propria serialità. Renzi allo stadio, Renzi Scout, Renzi in Iraq. A volte va bene, a volte meno. Non importa. L’unica cosa che conti è esserci e riaffermare un’identità. Sotto Renzi, poi, gli italiani si comportano esattamente nello stesso modo. E in una realtà parallela, che nulla ha a che vedere con il reale, nuotano felici senza alcuna evoluzione”.
Perché? “Perché nell’autonarrazione non c’è mai un passo in avanti nello stile del racconto. Descriviamo noi stessi, ma lo facciamo sempre nello stesso modo. Bisognerebbe uscire dall’ossessione, ma a dire il vero non so come”.
Siamo passati dal doppiopetto di Silvio B. al giubbotto Fonzie di Matteo R. ? “Una nuova stagione, con un altro protagonista vestito diversamente. Berlusconi è un laico travestito da democristiano, Renzi invece è proprio un democristiano impegnato a parlare con una sinistra più perbenista di lui. Entrambi sanno comunicare, e bene, con la gente normale. In qualche modo si somigliano e Berlusconi, per uno costretto a far convivere tante anime come Renzi, è insieme spettro e modello”.
I cafoni del 2014 somigliano a quelli di ieri? “Neanche un po’. Il cafone di ieri, osservato con orrore da chi nel nuovo ricco vedeva l’usurpatore, era ignaro della propria cafoneria. La sventolava semplicemente , senza curarsi del contesto”.
Il cafone contemporaneo? “È compiaciuto, tronfio, perfettamente consapevole di esportare un piccolo modello di successo. Se lo tiene stretto, non dubita mai. È terribile? Sì, lo è. Ma ormai il Cafonal è stato sdoganato, difficile invertire la tendenza”.
Colpe? Responsabilità? “Posso osare un paradosso? ”.
Prego. “Credo che il punto di non ritorno si sia verificato con il declino di Berlusconi. Il paese si è visto proporre i bocconiani e ha detto no. Non conta che Mario Monti sia stato bravo o pessimo e io sicuramente non ce l’ho con lui, ma quell’epoca è stata il manifesto della noia”.
E come ha reagito l’italiano al manifesto della noia? “Sapete che c’è?” si è detto un vastissimo pezzo di Paese: “Meglio il cafonal della tristezza, meglio morire coatti che vivere nell’autoflagellazione, meglio l’allegria. Non abbiamo più niente e forse moriremo affogati nei debiti, ma almeno lo faremo ridendo”.

domenica 21 agosto 2016

Oltrelenews. 98 “Costituzione&Mercati”.



Da “La Costituzione è nostra non dei mercati” di Maurizio Viroli, su “il Fatto Quotidiano” del 20 di agosto 2016: (…). …cari mercanti internazionali, (…) dei vostri ammonimenti non ce importa un fico secco. Siete pregati di farvi gli affari vostri anziché ficcare il naso in una questione che non vi compete,quale la Costituzione di uno Stato sovrano, e di cui non capite una mazza. Siete abituati a trattare con investitori, azionisti, dipendenti e fare i conti con i profitti e coi vostri interessi. Vi sfugge il particolare che esistono anche dei cittadini di libere repubbliche che pensano in termini di bene comune, che non intendono prendere ordini da chicchessia e vogliono decidere con la loro testa sotto quale Costituzione vivere. Se Renzi fosse un vero capo di governo, e se il Presidente Mattarella intendesse come intendo io il dovere di rappresentare l’unità nazionale, avrebbero risposto più o meno in questi termini al concerto di pressioni dei non meglio identificati mercati internazionali (…). Ma il primo, immagino, si starà sfregando le mani soddisfatto per l’aiuto alla sua campagna referendaria; il secondo, che io sappia, tace. Qui non si tratta del diritto delle istituzioni finanziarie internazionali di operare secondo le regole del mercato, ma della loro arrogante pretesa di influenzare con aperte minacce il voto del referendum. Non sta scritto da alcuna parte che i capi dei governi di paesi democratici a economia di mercato non possano e non debbano sottrarsi ai loro comandi. Nel 1936, in piena campagna elettorale, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt disse di essere consapevole che i monopoli della finanza lo odiavano, e aggiunse: “I welcome their hatred” (“ben venga il loro odio”) e tirò dritto con le sue politiche del New Deal che permisero agli Stati Uniti di uscire dalla tremenda crisi economica del 1929. Da queste parti di leader politici del calibro di Roosevelt non se ne vedono. E francamente dispiace leggere che un uomo e un politico della tempra di Romano Prodi, che potrebbe fare la differenza, è orientato a votare no ma non intende dichiararlo pubblicamente per una sorta di “spirito nazionale” e di timore delle speculazioni finanziarie. Ma proprio lo spirito nazionale bene inteso impone di prendere posizione netta e operare con tutte le proprie forze per il no, se si crede in coscienza che la vittoria del sì devasti la Costituzione. C’è forse un bene comune più alto della Costituzione? Se i capi non sanno tenere la schiena dritta davanti alle oligarchie finanziarie possiamo farlo noi cittadini, con un bel no che nasce dalla volontà di dire a lorsignori che non prendiamo ordini da nessuno. Se la maggioranza degli italiani voterà sì perché impaurita dalle minacce dei mercanti vorrà dire che è felice di essere serva. Che differenza c’è fra obbedire a un padrone domestico e obbedire ai padroni della finanza internazionale? Ma allora tanto vale andare fino in fondo e chiedere a JP Morgan o a Bloomberg di scrivere loro la nostra Costituzione e toglierci l’inutile fardello della libertà. Affermare il diritto e dovere dei popoli di scegliere la propria Carta contro i potenti stranieri non è nazionalismo, ma quel sano amor di patria di cittadini che pretendono rispetto e non tollerano di essere trattati come bambini da potenti che traggono la loro potenza dal denaro. E lasciamo stare la fandonia che la vittoria del no danneggerebbe l’Europa. Sono i politici da barzelletta sempre pronti a fare quello che vogliono i mercati che stanno distruggendo l’ideale europeo. Quell’ideale, vale la pena ricordarlo, era di un’Europa di popoli. Ma veri popoli sono soltanto quelli che vogliono e sanno essere arbitri del loro destino. Nella nostra storia, noi italiani raramente siamo stati in grado di affermare la nostra dignità di popolo e di riscattarci dai padroni stranieri. Ma qualche volta ci siamo riusciti. Proviamo, almeno proviamo.

sabato 20 agosto 2016

Scriptamanent. 34 “La settimana enigmistica”



Da “La settimana enigmistica” di Giacomo Papi, sul settimanale “D” del 20 di agosto dell’anno 2011: Quando sono stanco di macellai norvegesi e imbecilli padani, quando Scilopoti non mi fa più sorridere, quando non capisco come la mia vita possa dipendere dal default Usa o dai bund tedeschi, quando la cronaca mi appare dolorosamente ridicola e la storia un fiume insensato di tragedie e idiozie, vado a comprare La Settimana Enigmistica, me la rigiro tra le mani e mi tranquillizzo come se mi facessi di ansiolitici. E finalmente comprendo le ragioni politiche della maggioranza silenziosa. (…). Controllo il numero in alto a sinistra sul primo cruciverba. Indica l'esorbitante quantità totale di giochi pubblicati nei 4143 numeri usciti dal 1932 a oggi (circa 497.760, se i miei calcoli sono giusti). Alzo gli occhi e mi domando: chi avrà inventato i meravigliosi caratteri fasciosumerici della testata che dal 1995 si alterna senza sgarrare in blu, rosso e verde? Corro all'ultima pagina. In corpo 10, a metà della quarta colonna, è scritto in corsivo: Periodico fondato e diretto per 41 anni dal Cavaliere del Lavoro Gr. Uff. Dott. Ing. Giorgio Sisini Conte di Sant'Andrea. Era un sardo figlio del fondatore del Rotary Club dell'isola, che si trasferì a Milano, sposò un'austriaca ed ebbe l'idea di importare in Italia i giochi di enigmistica di derivazione Usa che a Vienna spopolavano. Il primo numero uscì il 23 gennaio 1932. Costava 50 centesimi. Da allora non si è mai fermata. Soltanto il n. 694 del 14 luglio '45 è uscito in ritardo a causa della guerra. Da allora quasi tutto è rimasto immutato. Perché questa è la regola segreta della La Settimana Enigmistica, il suo enigma nascosto: nulla deve mai cambiare. Quando morì Piero Bartezzaghi, il più grande inventore di parole crociate della storia italiana, non ho visto necrologi e non listarono a lutto il suo cruciverba. I suoi schemi continuarono a uscire per mesi e mesi, fino a quando furono sostituiti da quelli del figlio Alessandro. Una A. al posto della P. Nulla di più. Ma basta elencare i titoli delle rubriche per tornare respirare il secolo scorso e le sue polveri: L'edipéo enciclopedico, La pagina della Sfinge, Forse non tutti sanno che..., Strano, ma vero!, Il piacere di saperlo!, Spigolature, Risate a denti stretti (non le pagano più), l'Antologia del buon umore, Per rinfrancar lo spirito... tra un enigma e l'altro. Espressioni di un gusto che sopravvive solo in questo habitat. (…). La Settimana Enigmistica è un fossile che il tempo non può più cambiare e la sua impermeabilità alla storia è la ragione del suo successo. Per questo, agisce come ansiolitico. È un antidoto ai tempi che corrono, un rifugio dalle intemperie della cronaca, una sospensione della storia. Per questo è il vero giornale dei conservatori italiani. Esprime il cuore del conservatorismo: la storia umana è insensata e pericolosa, il progresso non esiste, è meglio trovare un nascondiglio per sé e per ciò che si possiede. Un'illusione che ha potenza, consola e ripara. La nostalgia mi assale alla gola. (…).