"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 3 ottobre 2025

CosedalMondo. 63 Pino Corrias: «Nel suo primo discorso alle Camere, 6 luglio 1983, disse: “Credo nel socialismo che è insieme razionale e morale. Credo nell’uguaglianza, nell’amicizia, nella giustizia”. Erano tutti buoni ideali. Col tempo se li è venduti per il fatturato».


È l'ultimo round, aperto da grida febbrili e volti rigati di lacrime che rivelano ogni sfumatura della paura, con la stessa angosciante domanda che riecheggia tra i seggiolini: «Chi arriverà in finale?». Ogni parte calcia la palla nel campo dell'altra mentre noi restiamo intrappolati nelle tribune dell'attesa. I nostri respiri pesano la fragile equazione della sopravvivenza contro la macchina della morte. Ci aggrappiamo alla vita in mezzo a infinite fosse comuni, intrappolati da tranelli di annientamento accuratamente progettati, predisposti per sradicarci del tutto. Per 679 giorni del nostro genocidio, sancito da coloro che predicano i diritti umani mentre ci negano il più semplice diritto di vivere, spesso ho desiderato di essere un cane, con tutele e privilegi ben oltre la mia stessa umanità. Ho desiderato che fossimo pecore, il cui sacrificio a Eid potrebbe almeno suscitare indignazione, multe o punizioni contro i loro macellai. Invece, la nostra esistenza è stata ridotta a un gregge condotto beffardamente al macello, inscenato come una parodia della giustizia ammantata di legge, che concede agli animali ciò che sottrae al popolo di Gaza. Nella precisione dei linguisti e nella filosofia dei grammatici, ho temuto di rimanere intrappolata tra il rigonfiarsi di una lettera e il silenzio di un'altra, tra l'eccesso e il vuoto, tra il respiro e il nulla. La guerra ha mietuto le nostre vite in frammenti di giorni aggrappati alle preghiere sussurrate delle madri, e al fragile riso dei bambini che scivola tra le rovine. Alla fine, ogni frase è crollata nell'immobilità della perdita. La mia rabbia si accende come il carburante della complicità globale che alimenta i jet che ci colpiscono, jet fabbricati e forniti dall'Occidente. Ogni attacco squarcia corpi fragili ed espone un palcoscenico in rovina di falsa solidarietà, dove condanne e aiuti arrivano come semplici scenografie. Oggi non servono biglietti per uno spettacolo avvincente. Lo show è dal vivo, i suoi schermi saturi del nostro sangue, mentre il pubblico divora la tragedia come fosse popcorn in una sala cinematografica. La mia confusione aumenta davanti alla gerarchia degli "aiuti", dove la fame ci spinge a inseguire aerei cargo che rilasciano briciole di cibo, quasi a deriderci con nuove umiliazioni dagli stessi cieli che ci bombardano. Come può sopravvivere il nazionalismo quando l'occupazione brandisce persino il pane come arma, barattando la nostra fame con la nostra libertà? Nelle finali mondiali si sventolano bandiere, i cori esplodono e le tribune tremano di voci in attesa del fischio dell'arbitro. A Gaza, attendiamo l'ultimo fischio di un missile, il cui colpo disperde i nostri corpi sul campo. Sventoliamo panni bianchi intrisi di paura, cuciti con nomi noti e ignoti, correndo contro il tempo prima che svaniscano nell'abisso. Al termine di questa finale, il nostro unico trofeo è la sopravvivenza stessa. Nessuna squadra qui può reclamare vittoria. Nel torneo di Gaza, l'unico campione è la volontà di restare vivi. (“Come un gregge condotto al macello” di Engy Abdelal - corrispondente da Gaza per il settimanale “L’Espresso” - testo pubblicato il 26 di settembre 2025)

“Dr. Blair e Mr. Tony: il venditore di ideali appollaiato su Trump”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, giovedì 2 di ottobre 2025: “Chiamatemi Tony”, diceva tanto tempo fa ai suoi ministri e al mondo. Aveva 43 anni, era il 1997. Ma il sorriso che lo ha reso famoso all’alba dell’Era intitolata a suo nome – una primavera liberal dopo gli inverni a labbra stretta della signora Thatcher – ha incorporato troppi danni, menzogne e milioni per non risultare danneggiato nello smalto e nella reputazione. Il ghiaccio dei suoi proverbiali gin tonic si è sciolto da gran tempo per colpa del suo cinismo e dei suoi scandali anche sotto il sole del Medio Oriente, dove per otto anni non ha concluso un costosissimo bel nulla, salvo stringere contatti diretti con le banche e le monarchie del Golfo per i suoi affari, e dove ora minaccia di tornare, questa volta agli ordini della peggiore Casa Bianca di sempre e addirittura di Israele che non ha mai smesso di radere al suolo Gaza, inondandola di sangue. Il suo nome di “ex primo ministro Tony Blair”, compare per esteso al punto 9 del Piano assemblato dagli sherpa americani e israeliani, membro anche lui di questo fantomatico “Consiglio di pace” chiamato a definire e poi a gestire “i piani di finanziamento” per la ricostruzione di Gaza con il contributo di “gruppi internazionali ben intenzionati” (letterale) al fine di “attrarre e facilitare” i progetti sull’esempio di alcune “fiorenti città moderne del Medio Oriente”. Sembrano i propositi di una zelante agenzia immobiliare che progetta una Disneyland sull’acqua, al diavolo le cataste di cadaveri. Anche se contiene vistose tracce di ultimatum a partire dalle “72 ore concesse per rispondere” intimato a Hamas, estromesso da ogni trattativa da quell’ora in poi, e all’Autorità palestinese, osservata speciale. Il punto di non ritorno della sua storia – la storia di Sir Anthony Charles Lynton Blair detto Tony – ha una data e l’ora, le 5:34 del 20 marzo 2003, quando i jet della “Coalizione dei volenterosi” guidata da George W. Bush, seguito trotterellando da Tony Blair, da allora soprannominato “il barboncino di Bush”, illuminano i cieli di Baghdad, dando inizio alla Seconda guerra del Golfo. Bilancio dei primi quattro anni, da 150 a 200 mila morti, 3,5 milioni di sfollati, striscia di sangue ininterrotta fino a oggi. In quell’anno si stava ancora posando la polvere delle Torri Gemelli, 11 settembre 2001, 2977 vittime, l’America e la Gran Bretagna di Tony Blair avevano già raso al suolo l’Afghanistan per allestire una vedetta commestibile alle mascelle dell’opinione pubblica occidentale. Cercavano un secondo strike. Lo allestì l’Mi6 il servizio segreto inglese, scovando fantomatiche tracce di una compravendita di uranio da parte di Saddam Hussein in Niger. La Cia confermò. Il vicepresidente Dick Cheney lanciò l’allarme: “L’Iraq sta preparando l’atomica”. Il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld dettò la strategia: “Dobbiamo fare le cose in grande. Spazzare via tutto. Quello che c’entra e quello che non c’entra”. E il Segretario di Stato Colin Powell si presentò all’Onu con una fialetta di polvere bianca da mostrare in diretta tv, ripetendo per 17 volte, che quella era la prova “delle armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Era tutto falso. Non esisteva l’uranio. Non esistevano le armi di distruzione di massa. Lo sapevano Bush, Cheney, Rumsfeld, Powell. E naturalmente lo sapeva il regista dell’operazione, Tony Blair, come accerteranno tutte le indagini e le confessioni a seguire. Era vera la guerra di aggressione rinominata “guerra umanitaria”. Era vero il nuovo “imperialismo postmoderno” cavalcato da Blair, così simile a quello vecchio, ma moltiplicato dal potere assoluto delle armi e dalla completa manipolazione della verità. Basta regole, trattati, controlli. Tornano in campo la forza e persino i mercenari e i contractor spariti all’alba degli Stati nazione a garantire superpoteri e ricchezza per questa parte del mondo, al diavolo i popoli e gli Stati che vanno in rovina nell’altra. Era cominciata nel modo opposto e con opposti propositi la sua storia. Tony nasce a Edimburgo il 6 maggio 1953. Famiglia piccolo borghese, studi in Giurisprudenza. Diventa avvocato e insieme militante del Partito laburista. Scala la professione e il partito. Viene eletto deputato nel 1983. Passato il boom economico, il Labour va in crisi. La società si riorganizza intorno al pensiero conservatore-individualista-aggressivo di Margaret Thatcher in Inghilterra e a quello di Ronald Reagan in America: riduzione dello Stato e delle sue burocrazie, libera iniziativa, meno tutele per tutti, più soldi per i capaci e i volenterosi. La stagione della Reaganomics in Gran Bretagna dura quasi un ventennio. Si spegne. E mentre declina la stella della Signora di ferro, sorge quella di Tony Blair, l’ammorbidente, prima segretario del Labour Party, poi primo ministro. Da Downing Street apre il cantiere della “Terza via” che sarebbe un centrismo ben temperato da incrementi sociali, diritti civili, salario minimo, virtuose politiche del clima, ma tutto dentro all’indiscutibile modello unico del capitalismo. Bravo in propaganda ha un formidabile feeling con l’opinione pubblica. Quando muore Lady Diana, sembra lui il vedovo. Quando firma la pace con l’Irlanda del Nord, sembra lui l’irlandese. Protegge la libertà di stampa, anche se va a cena con Rupert Murdoch, il gran Moghul dei media. Quando la Bbc svela le sue “macchinazioni criminali” contro l’Iraq e i suoi elettori lo bollano come “sabotatore della sinistra”, lui nega, resiste e intanto prepara la sua exit strategy. Nel 2007, appena dismesso il suo terzo mandato, inaugura quello di inviato permanente per la pace in Medio Oriente su mandato planetario di Onu, Unione europea, Usa e Russia. Scoppiano scandali sulle sue permanenze negli hotel più costosi negli Emirati. Sugli staff principeschi. Sulle sue pagatissime conferenze. Sulle sue consulenze per JP Morgan e Zurich Financial. Sui suoi stretti legami con Israele. Sulle sue amicizie con i peggiori autocrati, compresi il saudita Bin Salman e l’egiziano Al Sisi. Quando presenta la sua autobiografia Un viaggio, anno 2010, deve darsi alla fuga: a Dublino gli lanciano una scarpa e le uova. A Londra i pomodori. Alla Tate Modern subisce la contestazione di artisti come Tracy Emin, Vivienne Westwood, Brian Eno. I cartelli dei contestatori dicono: “Criminale di guerra”. Ma gli insulti fanno curriculum: 40 governi chiedono le sue consulenze e il Global Change Institute, intitolato a suo nome, 800 dipendenti nel mondo, scala i 150 milioni di dollari l’anno. Con la moglie Cherie compare nei Panama Papers in società off-shore proprietari esentasse di un palazzo a Londra. Ora siede, spalla a spalla, con Donald Trump. Nel suo primo discorso alle Camere, 6 luglio 1983, disse: “Credo nel socialismo che è insieme razionale e morale. Credo nell’uguaglianza, nell’amicizia, nella giustizia”. Erano tutti buoni ideali. Col tempo se li è venduti per il fatturato.

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