“Ridateci un Remo Gaspari” di Massimo Giannini, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 15 di marzo 2024: Che nostalgia, il caro vecchio clientelismo della Prima Repubblica. Quello che raccontavano Piero Ottone o Giorgio Bocca. Quello dei vecchi notabili democristiani del Mezzogiorno, che ogni fine settimana, nei rispettivi collegi di provenienza, ricevevano a casa in vestaglia e pantofole i famigli e i manutengoli in fila per la questua. Non c’erano urgenze, non c’erano scadenze, c’era solo l’ovvia normalità dello scambio politico: tu ti iscrivi al partito e/o lo voti, io in cambio faccio assumere tuo figlio o tua figlia al Comune, faccio promuovere tuo nipote o tua nuora alla Usl, faccio rilasciare la licenza per il negozio di tuo cognato, faccio chiudere l’accertamento fiscale a tua zia. Tutti i giorni erano buoni per bussare alla porta del ministro, dell’onorevole, del sindaco, del presidente di Regione o di Provincia. Un do ut des, certamente, ma era una cosa alla buona, molto casareccia, dove contava e resisteva persino una parvenza di rapporto tra le persone. Il potente, sua eccellenza, e il cittadino-suddito, ossequioso e devoto. Ripensavo con un filo di tenerezza a questo passato un po’ pulcioso, guardando alle forme del clientelismo moderno, quello della Terza o Quarta Repubblica (ho perso il conto). L’Abruzzo è un paradigma agghiacciante. La Regione l’ha guidata per cinque anni, praticamente in smart working, un romano de’ Roma e camerata di Colle Oppio di Giorgia Meloni. Prima del voto, in un territorio dove nessuno dalla Capitale si era mai fatto vedere, sono piovuti tredici ministri, a turno, ognuno dei quali ha portato un dono farlocco agli abruzzesi, che neanche i Re Magi. Uno ha portato i 720 milioni per l’alta velocità Roma-Pescara, che ormai pare la Salerno-Reggio Calabria. Un altro ha portato i 50 milioni per il polo spaziale del Fucino. Un altro ancora i 31 milioni ex Pnrr per comprare 89 apparecchiature sanitarie. Un bendidio che i conterranei di Ignazio Silone non hanno mai visto, e probabilmente non vedranno mai. Pazienza: conta la promessa faraonica, che cade dall’alto come il meteorite sulla Luna. In un’illuminante chiacchierata all’Huffington Post, il mio amico Marco Follini ha spiegato con la consueta classe cos’erano le “vere clientele” della Balena Bianca. Gava in Campania, Misasi in Calabria, Colombo in Basilicata. Non era la parte migliore di noi, ammette Follini: ma quello era comunque un investimento proiettato su una lunga quotidianità, mentre quello di oggi è solo un baratto per richiamare elettori prima del voto. Remo Gaspari – che assunse metà Abruzzo alle Poste – una volta spiegò che in fondo il clientelismo era «una forma di carità cristiana». Poi, certo, a Napoli c’era stato anche Achille Lauro, che nei comizi a Forcella regalava una scarpa prima delle elezioni, e consegnava la seconda solo dopo aver avuto la prova che i napoletani l’avevano votato. Oggi in giro vediamo solo i Lauro, e quasi quasi rimpiangiamo i Gaspari.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
domenica 17 marzo 2024
MadeinItaly. 04 L’immarcescibile “sostanza” della politica “made in Italy”.
«Padri
e madri di famiglia... e vedremo, se qualcuno
sapeva, ordinava e ne approfittava. Differenza di stare al mondo!». Ho paura a
pensare a quanti comizi di Salvini ho sentito negli anni. Parte del mio lavoro
consiste nel sentire e ricordare i comizi dei leader politici di un Paese
talmente smemorato da sembrare privo di archivi. E invece a casa, solo io,
accatastati in precari scatoloni, ho decine di hard-disk di varia foggia,
colore e tecnologia, pieni di discorsi, battute, gesti, promesse, inni cantati
male, con la mano sul cuore, a squarciagola, col caldo e con la pioggia, da Sud
a Nord, isole comprese, soprattutto se in campagna elettorale. Ci penso mentre
riguardo il breve comizio, causa pioggia e povertà di argomenti, di Salvini a
Pescara. Per chi svolge il mestiere di comiziante esistono tecniche oratorie
precise, escamotage efficaci e repertori rodati da anni di palcoscenico cui
attingere per creare consenso, affascinare e abbindolare anche senza avere
nulla da dire. Politica e intrattenimento sono una cosa sola, e come avviene
per le star della tv, spesso la gente sembra contenta anche solo di vederlo dal
vivo il politico arrivato fin sotto casa a comiziare, nella speranza di
riascoltarne i grandi successi, sempre e a prescindere. Alla continua ricerca
di nuove tendenze da cavalcare, spesso negando se stesso, Salvini spera sempre
nei tormentoni dei bei tempi. Solo che piove, il tempo stringe, e lui di
Abruzzo non sa cosa dire. Il piatto forte di giornata sono i dossier sui conti
di politici e vip tra cui molti leghisti, e Salvini vuole vederci chiaro, anche
perché, e qui arriva il capolavoro, sono stati spiati «padri e madri di
famiglia». Mentre la folla s'indigna per magistrati e giornalisti di sinistra
spioni, Salvini è già pronto a brandire le due parole magiche pretestuosamente
enunciate: «Padri e madri». Con ardito e improvviso salto logico, il leader leghista
compie pertanto il virtuosismo necessario a mettere sul piatto abruzzese il
tormentone che non ti aspetti: «Ringrazio la regione Abruzzo che più di tante
altre regioni italiane da questo punto di vista si è distinto». Tralasciando la
fluidità di genere nella declinazione, ecco che Salvini affonda il colpo: «Per
me la mamma si chiama mamma e il papà si chiama papà, i bambini vengono al
mondo se ci sono una mamma e un papà, l'utero in affitto è una schifezza
universale, genitore 1 e genitore 2 sono una presa in giro». Il pubblico
presente erutta di giubilo, sapeva le parole a memoria, perché ognuno ricorda
quello che vuole. Fortuna che ci sono gli hard-disk, oggi più pesanti di ieri. (Tratto
da “Padri, madri e hard-disk” di
Diego Bianchi, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 15 di
marzo 2024).
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