“Sangiuliano
pirotecnico”, testo-fiume – in considerazione di cotanto personaggio - di
Nicola Mirenzi pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 5 di
aprile 2024: (…). Da quando Gennaro Sangiuliano è entrato nel governo, il ministero
della Cultura si è trasformato nel dicastero della guerra culturale. (…). Indimenticabile
il primo bombardamento. Ad appena tre mesi dall'insediamento del governo,
Sangiuliano enunciò la sua teoria più roboante: «Dante? È il padre della
destra». Boom. Discussioni e polemiche. Ironie e risate. Ma l'operazione
speciale anti egemonia-culturale-della -sinistra era stata lanciata, boots on
the ground, con le truppe al fronte. I Futuristi? Subito ricacciati
nell'italianità. Mostre e restauri «per creare un nuovo immaginario». dopo che
sono stati celebrati patrimonio universale anche al Guggenheim di New York.
Come lo scrittore J. R. Tolkien, autore del Signore degli Anelli, di cui
Sangiuliano ha un ritratto davanti alla porta dell'ufficio al ministero: pure
Hollywood gli ha eretto un monumento con una trilogia cinematografica
insuperabile, ma in patria lo brandiscono come un fratello britannico d'Italia.
Dunque: un'altra mostra, prima a Roma, oggi a Napoli. Boom. Boom. Con meno
discussioni, certo. Ma solo per preparare meglio l’altro colpaccio: Antonio
Gramsci. «È un attore fondamentale dell'ideologia italiana», ha scritto il
ministro, inserendo il padre del comunismo italiano nel filone di pensiero che
Marcello Veneziani aveva delineato nel suo libro, La rivoluzione conservatrice
italiana, in compagnia di Prezzolini, Papini, Pareto, D'Annunzio, Malaparte,
Berto Ricci, Rensi, Gentile, Evola e Del Noce. Insomma: tutto un altro Gramsci.
Boom. Boom. Boom. Sangiuliano è il ministro più pirotecnico del governo Meloni.
Non è visibile come Salvini. Ma sovrasta tutti in inventiva e capacità
d'iniziativa. Se l'è presa, «da liberale», con le piattaforme streaming come Netflix,
in quanto vittime «dell'algoritmo del politicamente corretto» e di «un'assuefazione
al pensiero unico», benché tutte le piattaforme si finanzino con i soldi degli
abbonati in regime di libero mercato. Ha giurato guerra ai militanti ambientalisti
di Ultima generazione, colpevoli di aver proclamato anche i musei luogo di
lotta: «Sono degli ecovandali e pagheranno di tasca loro». Il suo predecessore
alla cultura, Dario Franceschini, aveva reso il ministero un luogo impolitico,
tenendolo per lo più fuori dalle zuffe. Sangiuliano invece lo scaglia
nell'agone partitico. Alle ultime elezioni regionali, in Abruzzo, è salito sul
palco del comizio finale, all'Aquila, e ha raccontato che in qualità di
ministro viene spesso invitato nelle «terrazze romane» frequentate dai «radical
chic». Ma, ogni volta, sprezzantemente, rifiuta di andarci: «Quelli del Pd io
li chiamo ancora con nome e cognome: sono comunisti, radicati in un'ideologia
nefasta e anti liberale». Dopo averlo ascoltato l'ex segretario del Pd, Pierluigi
Bersani, è rimasto un attimo in silenzio, Poi ha detto: «Questo qui c'ha dei
complessi». Napoletano, classe 1962, Sangiuliano è cresciuto nel Fronte della
Gioventù, costola giovanile del Movimento sociale italiano. Cantava: «Nelle
scuole, nelle fabbriche, nelle università: il comunismo non passerà». Erano in
larga parte di sinistra, gli studenti che frequentavano il suo liceo, il
Pansini, al Vomero, tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta. Come
il preside, Ettore Gentile, assessore del Pci. «Il gentil preside
comunista"» lo canzonavano nei volantini e nei cortei, racconta un amico
d'allora, compagno di partito di Sangiuliano. Dividevano «i rossi» in due
categorie: «i comunisti», per i quali i fascisti non avevano diritto di parola,
e «gli extraparlamentari», per i quali «uccidere un fascista non è reato». Poi c'erano
loro, «animati da una visione spirituale della vita, ostili all'idea marxista
della pura materialità dell'esistenza». Via Nolana 7 era il loro quartier
generale, nell'ufficio del senatore Francesco Pontone, molto amico della madre
di Sangiuliano. Di qui il nome: «I Pontonero's». Nello spirito del tempo erano
botte. Le prendevano e le davano. Ma Sangiuliano aveva una caratteristica: già
uomo di lettere - sempre in mezzo a giornali, riviste, libri - pare che una
volta il segretario del partito, Giorgio Almirante (…) li passò fisicamente in
rassegna, durante una visita a Napoli, per giudicarne la capacità di lotta. E,
giunto davanti al futuro ministro, e a un suo gracile amico, disse all'orecchio
di un dirigente: «Ma dove andiamo co' 'sti figli di Maria?». Lacrime per Tatarella.
Cresciuto senza padre - morto poco dopo la sua nascita - il 9 febbraio scorso
Sangiuliano è scoppiato a piangere al Senato, durante il convegno in ricordo di
Pinuccio Tatarella, nel venticinquesimo anno della morte di quest'uomo mitico
della destra italiana. Fu Tatarella a volere Sangiuliano alla direzione del
quotidiano Roma, dopo averlo riportato in edicola, iniziandolo alla carriera
giornalistica. Al termine del suo discorso, il ministro ha preso l'iPhone in mano
e ha detto di aver cambiato tante volte telefono, in questi anni, ma di aver
conservato in ognuno di essi il numero di Pinuccio. «Quasi lo dovessi chiamare
per chiedere consiglio». È un documento speciale, il pianto che segue questa
confessione. Perché, quando parla e scrive, Sangiuliano raramente si rivela:
piuttosto, si nasconde dietro una selva di riferimenti, una muraglia di
citazioni che sembra eretta per tenerlo più possibile al sicuro. In un articolo
in cui racconta perché è anticomunista, cita: Camus, Pasternak, Chiaromonte,
Silane, André Gide, André Marlaux, lo storico Stéphane Courtois, Solzenicyn,
Roberto Conquest, Benedetto Croce, Elena Aga Rossi, Italo Calvino, Renzo De
Felice, Antonio Giolitti, George Orwell. Realizzando il prodigio di non fare
alcun riferimento all'anticomunismo inscritto nella storia politica in cui è
cresciuto, quella del Movimento sociale italiano. Sgarbi superstar. Lui meno. In
un'intervista in cui deplorava «l'abuso dei termini anglofoni», sostenne che si
trattava di un «vizio molto radical chic», innalzandosi così a difesa della
lingua italiana minacciata dagli anglicismi con un'espressione inglese coniata
da uno scrittore americano. Così come è divertente osservare che il ministro
che elogia l'italocomunista Gramsci al mattino, nel pomeriggio chiede patenti
di anticomunismo ai cronisti che lo intervistano. All'ultimo premio Strega ha
involontariamente confessato di non aver letto i libri che pure aveva votato. Come
fan tutti, del resto, o in molti. Solo che lui è ministro. Ma la storia che più
rivela le sue ambizioni, e forse le sue fragilità, è il duello con Vittorio
Sgarbi, con quest'ultimo costretto alle dimissioni. Inizia così. Arriva al
ministero una lettera anonima che accusa Sgarbi, sottosegretario alla Cultura,
di svolgere attività - conferenze, convegni, mostre - sfruttando la sua
funzione di governo. Il ministro la invia all'Antitrust. Sgarbi s'infuria.
L'Antitrust dice che c'è un conflitto d'interessi tra il ruolo che svolge
Sgarbi e le sue attività private. Sgarbi si dimette, accusando San Giuliano di
essere un «uomo senza dignità», di averlo fatto fuori senza sporcarsi le mani.
Roba da pop corn. Ma il conflitto tra i due era cominciato immediatamente,
appena arrivati al governo. Sia perché sono due uomini completamente diversi -
tanto ingovernabile Sgarbi, quanto governatissimo Sangiuliano - sia perché c'è
una sproporzione tra la considerazione che entrambi hanno del proprio ego e il
riconoscimento che lo stesso ego riceve in pubblico. Per fare un esempio.
Cerimonia pubblica a Isernia. Dove il ministro ha dei lontani parenti e si
sente a casa. Sangiuliano e Sgarbi arrivano insieme. Il pubblico li accoglie
entrambi affettuosamente, ma la star è Sgarbi: stringe mani, si fa scattare
selfie, firma autografi. A un certo punto, Sgarbi elargisce la propria popolarità,
dicendo: «Ecco, le presento il ministro». Complimenti da Napolitano. Veramente
Sangiuliano soffre di ciò? Nessun cronista può sondare le profondità psichiche,
nonostante siano un ingrediente rilevante del potere e, soprattutto, del
desiderio di possederlo. Ma è anche questo che fa nascere in noi, a un certo
punto dell'indagine, il bisogno di una conoscenza diretta dell'uomo. Gli chiediamo
un incontro tramite il suo ufficio stampa. Dieci minuti dopo, riceviamo una
telefonata. «Sono Gennaro Sangiuliano». Il ministro in persona ci chiama per
accettare la nostra proposta, a condizione che non gli si facciano domande del
tipo: «Ha mai fatto il saluto romano?». Gli spieghiamo che non era proprio in
cima ai nostri pensieri. Così al telefono ci racconta della sua fascinazione
per il pensiero politico della sinistra. E che ha un'ampia sezione della sua
libreria dedicata a questi autori. «Ha presente gli Einaudi anni Settanta, con
le copertine bianche?». Racconta anche che una volta scrisse un reportage sugli
operai dell'Italsider di Bagnoli: «Costruivano valori, oltre che merci» dice.
Mentre lo sfarinamento della fabbrica – sostiene - ha polverizzato anche la
società. «Sa chi mi chiamò?». No. «Giorgio Napolitano». Non era ancora
presidente. «Mi disse: è sorprendente che queste cose le scriva uno con la tua
formazione politica e culturale». Dico al ministro che è vero che gli operai
creavano anche valori, ma è anche vero che quei valori erano frutto di
un'organizzazione politica. «Certo». Sottintendendo che a organizzarli era
soprattutto il Partito comunista, proprio quei "comunisti" contro cui
il ministro si dichiara fieramente "anti". Così penso: non è strano
che li ammiri e poi li attacchi - i comunisti, la sinistra. Che scriva un bel
libro sui due anni di Lenin a Capri - Scacco allo Zar - e poi si scagli contro
tutto quello che odora di rosso? Che li studi in privato e li caricaturizzi in
pubblico? Quasi voglia sfregiarli. Chissà. Forse perché non si sente da loro
riconosciuto? Il ministro però ora deve andare. Dice che al più presto ci
chiamerà un collaboratore per fissare un appuntamento. Riposizionarsi. Da Fini
a Putin. Nel frattempo, parlo con Vittorio Feltri. È lui che gli offre di
lasciare la direzione del Roma per andare a fare il caporedattore al giornale
che ha fondato, Libero. «Mi piaceva la sua scrittura e la sua sensibilità ai
fatti politici». Come l'ha convinto? «Con un po' di soldi». (…). «È molto
pignolo come scrittore». Si è sentito tradito quando se n'è andato alla Rai?
«Ma si figuri». Alla televisione pubblica, Sangiuliano comincia al Tg
Regionale. Arriva alla vicedirezione del Tg1 sponsorizzato da Gianfranco Fini.
Ed è malto abile a riposizionarsi quando l'ex capo di Alleanza Nazionale cade
in disgrazia. In Rai diventa l'eminenza grigia del primo sindacato dei
giornalisti di destra. Michele Anzaldi, parlamentare renziano, lo definisce a
un certo punto: «Vicedirettore leghista del Tg1». Nell'autunno del 2015 aveva
pubblicato una biografia del presidente russo, Putin. Vita di uno Zar. La
presenta con gran clamore insieme a Matteo Salvini a Palazzo Castigliani, a
Milano. Ai tempi, Sangiuliano considerava Putin «un conservatore nel senso
prezzoliniano del termine», cioè «il custode dei valori di una comunità». Dopo
la morte in carcere di Navalny invece ha scritto: «Bisogna aprire gli occhi sulla
violenza di Putin». Ma anche prima del suo libro il regime russo aveva ucciso
Anna Politkovskaja e altri dissidenti. «Sangiuliano è bravo. L'ha capito? Nessuno
gli ha regalato niente. Ma se uno di destra è bravo» ci dice Maurizio Gasparri
«ci mette il triplo del tempo, rispetto a un mediocre di sinistra». Senatore di
Forza Italia, ma soprattutto amico e testimone di nozze di Sangiuliano (…),
Gasparri racconta che una sera si trovava a una festa a casa di Sangiuliano a
conversare con un avvocato. Il giorno in cui i grillini trovarono un accordo
sul nome di Giuseppe Conte come premier del governo Cinque Stelle-Lega -
primavera del 2019 - riceve una telefonata da Gennaro. «Ma te lo ricordi
Giuseppe?». No, risponde. «Te l'ho presentato alla festa». Risultò che l'allora
Avvocato del popolo era stato professore di Sangiuliano al master in Diritto
Privato Europeo. «Era l'unico in Italia a conoscerlo». Laurea in
Giurisprudenza, dottorato in Diritto ed Economia, Sangiuliano è stato candidato
in parlamento nel 2001, con la Casa delle Libertà, senza essere eletto. Nel
1983, era stato consigliere circoscrizionale nel quartiere di Napoli Seccavo,
con l'Msi. Pur senza incarichi ufficiali, è sempre stato vicino alla corrente
di Alleanza Nazionale in cui militava, oltre che Gasparri, anche Ignazio La
Russa, partecipando alla stesura delle tesi di Fiuggi, il documento alla base
della svolta finiana. Per chi suona la Campania. Dice Gasparri: «Gennaro
guadagnava più da direttore del Tg2 che da ministro». Ma la politica sembra
gratificarlo. «Fare il ministro della Cultura gli piace da morire» confessa una
fonte che preferisce rimare anonima. Il ministro scrive libri (…). Prepara il
G7 della cultura. È impegnato anima e corpo a sovvertire l'egemonia-culturale-della-sinistra.
Ma la sua ambizione pare sia quella di candidarsi alla presidenza della
Campania, la propria Regione, contro il governatore uscente Vincenzo De Luca,
che ha già espresso nei suoi confronti tutta la tenerezza di cui è capace:
«Ditegli che io non parlo con i parcheggiatori abusivi». Peccato che alla fine
l'appuntamento che il ministro ci aveva dato per un venerdì mattina alle 11 sia
stato annullato per "impegni improrogabili", e un secondo cancellato
per ragioni non specificate. Aveva accennato, promettendo l'incontro al
telefono, che ci avrebbe parlato anche di Enrico Berlinguer. Dopo Dante e dopo
Gramsci. Boom. Boom. Boom.
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