L’intransigenza non appartiene al carattere
degli italiani. Gli intransigenti sono rari, un’élite. (…). Gli intransigenti
sono quelle persone che sono disposte a sacrificare il proprio particolare per
l’idea in cui credono. Da questo punto di vista Gobetti è stato un
bell’esempio. Lo Stato italiano non lo è. (…). Intransigenza vuol dire anche
non perdonare, non dimenticare con troppa leggerezza. La mancanza di
intransigenza crea bambini viziati, non liberi cittadini. (…). …abbiamo
dimenticato il vero significato di carità. (…). l’intransigenza è perfettamente
coerente con la carità (…). La vera carità è una forza interiore che ti spinge
a punire (e a premiare) secondo giustizia per il bene pubblico: né vendetta, né
favore. (…). Noi dovremmo educare (…) all’idea che essere cittadino richiede
anche una forza interiore che ti spinge ad esigere che la repubblica sia
intransigente. (Tratto da “Dialogo
intorno alla Repubblica” di Norberto Bobbio e Maurizio Viroli).
“Il nostro
Bel Paese è sparito. L’hanno spolpato gli italiani” di Massimo Fini
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 14 di febbraio 2024: (…).
L’Italia rimarrebbe un “Bel Paese” se non fosse abitata dagli italiani di oggi.
Colpisce il suo cinismo da mercato. Si dirà che questo cinismo ormai riguarda
tutti nel mondo globalizzato a eccezione di poche enclave, ridotte al margine,
dove gli autoctoni hanno conservato la propria dignità. Ma un padre che specula
sulla morte della propria figlia è un unicum, questa volta negativo, di noi
italiani. (…). Fa impressione anche la sciatteria degli italiani di oggi, che
coinvolge artigiani, giornalisti e quasi ogni altra categoria (giornalismo: ma
è mai possibile trovare certi strafalcioni sul Corriere della Sera, il più
importante quotidiano italiano?). Un tempo l’artigiano aveva l’orgoglio del suo
manufatto, il “capolavoro”, tanto che, ancora oggi, a Milano puoi vedere certi
tombini sui quali l’artigiano aveva messo in sigla il proprio nome. Adesso
l’artigiano fa il suo lavoro alla bell’e meglio, contando sull’ignoranza del
committente. Tu chiami, e qui comincio a parlare di esperienze personali, un
fabbro. L’appuntamento è per le 2 del pomeriggio e quello alle 5 non si è
ancora fatto vedere. Ho un garage dove, non potendo più guidare la macchina,
tengo una vecchia bicicletta, una Rossignoli con cinque cambi che mi è
emotivamente cara perché mi ricorda un’altra stagione della mia vita. Che fanno
gli operai della commendevole ditta Di Falco che in Milano hanno ottenuto tutti
gli appalti dell’Ecobonus (e anche questo meriterebbe un’indagine della
magistratura, perché così siamo in un regime che viola la concorrenza)? Entrano
nel garage, probabilmente rubano la bici, a meno che non ci abbia pensato prima
qualcun altro, e vi mettono i loro arnesi e le loro masserizie, dimenticandosi,
anzi sfottendolo, il proprietario. C’è un furto e una violazione di domicilio.
Potrei, naturalmente, rivolgermi alla magistratura, ma con i tempi delle nostre
procedure penali e civili otterrei soddisfazione tra una mezza dozzina d’anni e
forse più. Anche perché in Italia s’è venuto creando un doppio diritto, uno per
“lorsignori”, fra cui oltre ai politici ci sono anche gli imprenditori, e
l’altro per i comuni mortali. È vero che gli artigiani sono tartassati dal
fisco, si fa per dire, perché lavorano quasi sempre in nero (ed è anche per questo
che possono non presentarsi a un appuntamento già fissato). Ma prova tu,
lettore, a fare un’infrazione stradale e il fisco ti è subito addosso con
gabelle, tasse e sovrattasse (ricordo una bella vignetta di Giovanni Mosca,
l’umorista: si vede un tasso, inteso come animale, con in groppa un tasso più
piccolo. “Che cos’è?”, chiede, nella vignetta, l’omino al compagno: “È il tasso
col sovratasso, è un animale che esiste solo in Italia”). Del resto se sei
ricco e famoso le cose si svolgono molto diversamente. Ricordo i casi di
Valentino Rossi e di Luciano Pavarotti che patteggiarono col fisco ottenendo
una riduzione della metà, milioni di euro o miliardi di lire. Io sono un
“fragile”, sia per età che per la menomazione della mia vista. Mi è capitato di
essermi perso in un quartiere a me poco noto. Chiedevo indicazioni ai passanti
e quelli tiravano dritto. Siccome ho ancora buoni riflessi, sono caduto solo
una volta, inciampando in un gradino in piazza Cavour, finendo lungo disteso
sul marciapiede. Nessuno che si sia fatto avanti per darmi una mano.
L’individualismo e l’avidità di denaro sembrano la cifra soprattutto nella
media borghesia. Io abito in un palazzo abitato da questo tipo di individui.
Non si sono accontentati dei vantaggi dell’Ecobonus, supposto che esistano (…)
ma hanno voluto anche un telo pubblicitario che per due anni ci ha tolto la
vista, il sole, l’aria. Credo, (…), che se tu proponessi a un bangla: ti do del
denaro ma tu per due anni rinunci all’aria, al sole, alla vista, quello ti
manderebbe a dar via il culo. Non abbiamo più valori né ideali. (…). Siamo il
Paese record con quattro mafie: la mafia propriamente detta, la ’ndrangheta, la
camorra, la Sacra Corona Unita. Ma al di sopra di queste si eleva una
supermafia, più occulta, che si chiama partitocrazia. È quello che oggi si
chiama “amichettismo”, che ha gli stessi metodi della mafia: offre protezione
in cambio di sudditanza. Anzi oggi che la mafia ha rinunciato,
intelligentemente, a spargere sangue, la similitudine è perfetta. In peggio,
perché la mafia conserva un codice d’onore (…) quella dei colletti bianchi no.
Basta pungerli con uno spillo e spifferano tutto, tanto sanno che, in un caso o
nell’altro, la galera è solo un’idea platonica, al peggio andranno ai
“domiciliari” evidenziando anche qui una sperequazione fra i reati dei ceti
sociali alti, per così dire, e quelli da strada, commessi in genere dai
poveracci, per i quali vale il brocardo di madama Santanchè: “In galera subito
e buttare via le chiavi”. Scrivevo in un libro pubblicato nel 2010 da
Chiarelettere: “Un’Italia ormai inguaribilmente corrotta, nelle classi
dirigenti come nel comune cittadino, intimamente, profondamente mafiosa, come
sempre anarchica ma senza più essere divertente, priva di regole condivise, di
principi, di valori, di interiorità, di dignità, di identità. Un’Italia
senz’anima”. Il Bel Paese? Una fogna a cielo aperto.
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