È sgarbato, teatrale, si fa fotografare sorridente con Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti, si infervora di fronte alla polizia urlando «ci dovete uccidere» ed è esponente del Pd, malvisto dal Pd, di cui più si parla. Nel bene (poco), nel male (molto di più}, ma intanto se ne parla; l'unico forse di cui anche l'ultimo degli uomini comuni nell'ultimo bar d'Italia conosce il nome e il volto. Facile da indovinare, Vincenzo De Luca è trending topic di una sinistra senza combattenti, là dove per combattenti si intende figuri disposti a scendere nell'arena del dibattito che non sia solo un teorizzare in politichese. Tutti con le mani nei capelli perché in un fuori onda ha definito «stronza» la premier, tutti a fargli no no col ditino come si farebbe con un bambino che dice una parolaccia, ma De Luca va dritto come un treno. Per dove non si sa. Che voglia la leadership del Pd pare improbabile, magari sta solo creando un tesoretto di consenso per avere il terzo mandato, magari sta facendo salire le sue quotazioni alle stelle, ma di sicuro sta prendendosi la scena. Elly Schlein (che De Luca chiama con perfidia «Elena» dopo che lo ha commissariato con Susanna Camusso su Caserta e Antonio Misiani sulla Regione) ha detto sì a un confronto in tv con Giorgia Meloni e a sinistra si vocifera al riguardo. La paura è che Meloni, forte di uno stile di combattimento ormai riconosciuto come unico e quasi sempre vincente, possa mettere in scacco la dogmatica Elly, un po' per esperienza e un po' perché nell'arte del duello verbale non ha paura di mollare qualche colpo sotto la cinta. Potendo scegliere chi inviare al confronto televisivo tra De Luca e Schlein, chi vi farebbe stare tranquilli quantomeno di un pareggio? Di solito quelli che si contraddistinguono in politica o si prendono tutto da soli a scapito degli altri (ricordiamoci sempre Renzi Matteo da Rignano sull'Arno) o vengono universalmente riconosciuti come gli unici in grado di sostenere un determinato periodo storico (Enrico Berlinguer? Massimo D'Alema?). Ci si avvicina a un periodo di elezioni e i sondaggi dicono che la destra metterà sul pallottoliere un'altra vittoria. Qui conta la filosofia dell'allenatore della Juventus Massimiliano Allegri: il «corto muso». Non importa come o con quanto scarto, conta solo vincere. Ci basterebbe non prenderne troppe visto che la sinistra si avvia a capitolare ancora e tra un po' manco un Che Guevara redivivo potrà restaurarne l'immagine nel cuore degli elettori che rimpiangono tutto del passato (persino Romano Prodi e Fausto Bertinotti) e che tengono il Pd a circa il 19% nei sondaggi, sotto di dieci punti rispetto al centrodestra e ancora troppo vicino al MSS che si aggira sul 15%. De Luca non è perfetto, De Luca ha mille difetti, per De Luca vale ciò che si diceva di Silvio Berlusconi, ci ricorda il De Luca in noi, ma di sicuro è uno in grado di trascinare la folla. È il caso di fare gli schizzinosi? Lo hanno soprannominato «Faraone», «Fidel», «Sceriffo», «Governatore del mondo», tutti nomignoli che invece di scalfirlo lo rafforzano. Lui irrompe sulla scena con battute tipo: «Ho appreso che Elena (Schlein) si avvale della consulenza di un'arrnocromista, che si fa pagare 300 euro l'ora, si chiama Enrica Chicchio... Cacchio, mi verrebbe da dire». E niente, piace alla gente proprio per questo. E la gente è l'elettorato, ha bisogno di qualcuno che parli la sua lingua, ogni tanto. (Tratto da “Fenomenologia di De Luca il dem populista” di Ray Banhoff pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 23 di febbraio 2024).
“La polidiga muore d’agosto”, testo di Filippo Ceccarelli pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 23 di febbraio ultimo: (…). …appena un dubbio: che cosa è più, ormai, la politica? A tale dilemma, nei giorni di buonumore, l'osservatore scettico e attempato non può fare a meno di pensare a Ciriaco De Mita che, intercettando lo sguardo di quei quattro o cinque giornalisti che nel Transatlantico di Montecitorio facevano capannello attorno a lui come al glorioso Caffè Lanzara di Avellino, rispondeva come un vero intellettuale della Magna Grecia e, alzando al cielo quei suoi occhietti a capocchia di spillo, scolpiva con il suo inconfondibile accento: «La polidiga - pausa solenne, poi tutto d'un fiato -è-la-po-li-diga!».E la cosa finiva lì, più o meno, lasciando nell'aria un vago e buffo sentore di mistero e un po' anche di truffa. Antropologia di una nazione. Quando c'erano ideali e progetti, e quindi interessi, ma anche passioni, appartenenze, radicamenti e perfino maiuscoli affidamenti per l'aldilà (Paradiso, Patria, Socialismo) per i viventi non c'era nemmeno bisogno di chiedersi che cosa era la politica (lapolidiga). C'era e tanto bastava, talvolta pure «soverchiava», come ammetteva con una punta di malizia un altro dc, Giulio Andreotti. Ma oggi, nei giorni tristi? Ecco, oggi il dubbio, il sospetto e la pena, pure, è che la politica non sia sopravvissuta. La politica, quella che regnava ai tempi di Berlinguer, De Mita, Andreotti (…) ecco, non c'è più. Al suo posto c'è un'altra cosa, difficile da definire, (…). Era il 1996 e da allora quell'evoluzione che sapeva di ritorno non s'è più fermata, una degradazione tribale, a tratti un camuffamento carnevalesco, comunque qualcosa di molto complicato, che già a saperlo designare si risolverebbero un sacco di problemi. Ma intanto la scomparsa della politica, e ancor più l'enigmatica sostanza che l'ha rimpiazzata, ci permette da un lato di capire meglio quale formidabile documento storico sia anche stato Ferie d'agosto (film di Paolo Virzì dell’anno 1996 n.d.r.) dall'altro con quale stato d'animo supplementare converrà vedere Un altro Ferragosto (dello stesso Virzì nelle sale dal prossimo 7 di marzo n.d.r.), il seguito di una storia, ma anche della storia che tutti un po' ci riguarda. Dal primo film è passato il tempo di una generazione. Ma lì venne fuori per la prima volta la spaccatura antropologica che avrebbe dominato la società italiana fino ai nostri giorni. Pare qui riduttivo buttarla sull'Italia divenuta bipolare o sull'ideologia del maggioritario. Con molti scrupoli e altrettanta approssimazione si tira in ballo la nozione di antropologia, a lungo la più negletta fra le scienze sociali in un Paese per tanto tempo intriso di cultura fascista, cattolica e marxista. Ma quegli opposti villeggianti confinati in un'isola (Ventotene, luogo d’esilio degli antifascisti n.d.r.) a suo modo simbolica nella storia di questo Paese, rispondevano ormai alle logiche del clan. Non solo, ma più che vicendevolmente e politicamente ostili, erano divenuti incompatibili, in sintomatica e sospetta simmetria. Prima che per le loro opinioni o per i partiti che avevano votato, erano i pensieri, i linguaggi, i gusti, i desideri, i consumi, il cibo addirittura, insomma la vita stessa li aveva resi così alieni da oscurare qualsiasi possibile mediazione. L'inizio della ripugnanza reciproca. Poi sì, certo, tra loro e anche all'interno delle due tribù, accadevano tante sorprese, c'erano avventure e sviluppi sentimentali. Ma a ripensarci, è nell'agosto cinematografi di Ventotene che può fissarsi l'inizio della totale e reciproca ripugnanza; lì ci si rese conto del collasso della parola, il progressivo assottigliarsi di uno spazio intermedio che consentiva l'incontro, il confronto, lo scontro, comunque la comunicazione. Questo il senso ultimo e in fondo anche ultimativo che la commedia, il nostro più alto e fedele genere artistico, trasmetteva della mutazione in atto, l'inizio dell'eterno presente. La semplificazione aveva semplificato troppo. (…). Sarebbe comodo adesso dare la colpa a qualcuno di questo vuoto. Delle sceneggiate, del cicaleccio, delle sconcezze, del perenne sobollire di una pentola di fagioli che non si cuociono mai e che ciascuno mangerà in solitaria, o troppo crudi o spappolati, ma con un bel post su Instagram. Di chi la colpa? Ma già la parola "colpa" ci precipita dentro le reciproche prigionie esistenziali di Ferie d'agosto. Non è colpa di nessuno. Troppo facile dire: Berlusconi. Se non altro sul piano della cronologia, il Cavaliere arriva cinque anni dopo la catastrofe del comunismo. Anche dentro il Pci, nel vivo delle persone e dei loro rapporti, fin dentro i tinelli e le camere da letto, era accaduto qualcosa di straordinario, profondo e terribile. Berlusconi avrà pure preparato il terreno a se stesso quale messia dell'individualismo, degli spettacoli, delle merci e di tutte le scemenze, ma anche, dall'altra parte, tra horror vacui e cupio dissolvi, lo sconvolgimento aveva messo in causa la psiche e l'anima di milioni di persone oscurando un riscatto che si trasmetteva persino nei funerali, con le bandiere rosse che aspettavano sul sagrato fuori delle chiese. Di nuovo la vita, di nuovo la politica che si accartocciava su se stessa abbandonando l'umanità. Gloriose comunità in decadenza si erano arrese quasi subito a Mani Pulite. Al loro posto un brusìo, un formico lì o, rabbiosi sarcasmi, disprezzo in sovrabbondanza, solitudine. Così vale forse la pena di alzare la testa e allargare le braccia in segno di sconcertata rassegnazione. Non è colpa di nessuno. Quando le stesse maschere vacanziere di Ventotene saranno invecchiate senza capirci più niente, ecco, è la storia che scrive soggetti e sceneggiature. Spiace qui abbandonarsi a una prosa risoluta, ridicolmente oracolare. Ma dopo trent'anni di incomunicabilità, la politica ha fatto a tempo a diventare pienamente la scimmietta di quella che c'era prima. Sembra tutta una recita, "la democrazia recitativa" non a caso l'ha designata lo storico Emilio Gentile. Il tifo, il divano, i complotti, l'ignoranza, le fregnacce, gli strilli dei talk show, le minacce social, il saluto romano, l'armocromia, l'orgoglio italiano, te lo raccomando! Ancora la vita, sempre più lontana, ancora la storia. "Le cose passate fanno luce alle future perché el mondo fu sempre di una medesima sorte e ciò che è e sarà è stato in altro tempo". Con il dovuto ringraziamento che si deve a Francesco Guicciardini, e anche a Paolo Virzì, non sai mai bene se bisogna essere lieti o preoccuparsi prima di andare al cinema, forse l'una cosa non esclude l'altra.
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