Ma non può essere solo Netanyahu l'orco, il potente ingiurioso, l'unico cattivo che si ribella alla fraterna amicizia degli Stati Uniti in un governo di innocenti, di anime belle e in un Parlamento di pacifisti. “Ha avuto tanti complici, è vero quel che dice. Senza la complicità di ministri e altri potenti, il cui orizzonte è sporcato dal sangue della vendetta, dalla sete assoluta di reagire in una dimensione infinita di colpi contro ciò di orribile che ha fatto Hamas. Ma è altrettanto vero che tanta gente è scesa in strada, che ormai siamo alle tende davanti alla Knesset, che la protesta, non solo dei familiari degli ostaggi, sta assumendo proporzioni enormi, straordinarie”.
Purtroppo sembra che non basti. Ma il popolo può esercitare il proprio diritto al dissenso solo attraverso le armi della parola, le uniche legittime e le uniche disponibili”.
Chi protesta rappresenta la maggioranza di Israele? “Io credo di sì”.
Se fosse la maggioranza il governo sarebbe dovuto cadere. “Penso che il governo non esprima la volontà del popolo. Non più, non adesso.
La mattanza del 7 ottobre - la scelta di Hamas di parlare con la lingua della crudeltà, della disumanità- ha cambiato l'orizzonte di una convivenza possibile? “Il progrom del 7 ottobre ha purtroppo radicato in tanti la convinzione che le armi sono le uniche proposte lecite”.
Anche lei contesta che si usi per Gaza la parola genocidio? “Il genocidio è un'altra cosa. Quella di Gaza è l'esito di una terribile, abnorme risposta militare”.
Trentaduemila morti, migliaia di bambini innocenti. Vivo l'angoscia di queste esistenze che si spengono”.
La guerra non finirà mai più, ha detto. “Quando mi prende la disperazione e la candela della speranza scivola tra le mani penso che, oddio, questa è una disgrazia senza fine. Poi risistemo i pensieri e mi dico che qualcosa dovrà pur accadere, dobbiamo immaginare due Stati, dobbiamo credere a una convivenza”.
Gli israeliani dovrebbero. liberare le terre occupate. “Lo so. E i palestinesi asciugare la fronte della vendetta perpetua”.
È un massacro infinito. Io ho visto rotolare a terra la testa di un bambino, ho visto giocarci a palla. Era Auschwitz, sa? Quindi come posso guardare, con questa ferita sanguinante nel petto, bimbi che muoiono, siano ebrei o palestinesi?”.
Lei ha vissuto in Israele. “Due anni. Facevo la cameriera e avevo poco o nulla per sfamarmi. Con me altri tre ragazzi della mia stessa età, quindicenni quindi, ma palestinesi. Loro erano trattati ancora peggio. Un giorno accettai che venissero nella mia piccola stanza per stare un po' insieme e dividere ciò che avevo. Quando vennero mi dissero: «Abbiamo portato una birra anche noi». La aprii, ne bevvi un sorso e mi dissero: "È piscio". Questa è la storia tragica della nostra condizione. Malgrado tutto io devo sperare che la vita sopravanzi la morte e la pace riprenda ad aver posto nei nostri discorsi”. (Intervista di Antonello Caporale a Edith Bruch pubblicata su “il Fatto Quotidiano” di oggi, lunedì 8 di aprile 2024, con il titolo: “I disastri di Netanyahu attizzano l’odio antisemita”).
“Interroghiamoci sulla guerra”, testo dello scrittore Massimo Ammaniti pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi: Perché la guerra? Non è solo un interrogativo che in questo periodo sfiora la nostra mente di fronte allo scenario mondiale con focolai di guerra e la minaccia che si estendano fino a scatenare la Terza Guerra Mondiale. Era lo stesso interrogativo che motivava nel 1932 lo scambio di lettere fra Einstein e Freud sollecitato dalla Società delle Nazioni, dopo che Einstein chiedeva a sé stesso e al suo interlocutore: «C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?». Questione decisiva per la sopravvivenza della civiltà umana. Forse la spinta a scatenare le guerre con i propri simili è un retaggio ancestrale che ci viene dalla parentela con il mondo animale, evenienza inverosimile perché richiederebbe capacità esecutive e di coordinazione proprie dell’homo sapiens. È vero che bande di scimpanzé a volte si scatenano in modo violento verso i consimili che abitano un territorio confinante. In campo animale la difesa del territorio può scatenare reazioni offensive o difensive ma mai una guerra, mentre nell’uomo può provocare guerre perché non si vuole soccombere agli invasori. Altro motivo di contesa in campo animale è la dominanza, come ha mostrato l’etologo Konrad Lorenz, si vuole avere un rango di supremazia nel proprio gruppo e si lotta per l’affermazione, che in campo umano si estende allo scontro fra popoli con guerre sanguinose. Per tornare alla domanda di Einstein, Freud risponde con una lettera mettendo in luce come l’uomo sia sospinto, potremmo dire geneticamente, da due pulsioni, ossia spinte innate che si collocano fra la dimensione biologica e quella mentale. Si tratta da una parte della pulsione della vita e dell’amore che favorisce la crescita di rapporti e condivisione sociale e dall’altra la pulsione aggressiva che può divenire distruttiva. Quando questa pulsione prende il sopravvento l’odio acceca la mente e l’altro si trasforma in un nemico, che perde ogni sembianza umana e diviene una minaccia alla sopravvivenza. E se un capo di Stato alimenta la paura del nemico, si crea un legame di sottomissione che amplifica nei cittadini l’ostilità, soprattutto se giustificata da motivazioni ideali e patriottiche. Freud si rende conto che la sua visione dell’uomo è pessimistica e che agli occhi di Einstein possa apparire «una specie di mitologia, neppure lieta in verità. Ma non approda forse ogni scienza naturale a una sorta di mitologia?». Colpisce che questo dialogo, avvenuto nel 1932, era profetico perché l’anno successivo il nazismo si sarebbe impossessato del potere in Germania imboccando una strada di violenze e sopraffazioni che avrebbero condotto alla Seconda Guerra Mondiale. Ma le pulsioni che ci accomunano alle altre specie animali non sono sufficienti a spiegare le violenze della guerra che hanno insanguinato il mondo nei secoli, dovremmo ricercare quello che rende l’uomo capace di scatenarle. Il cervello umano, pur avendo molte condivisioni con i primati non umani, si caratterizza per la neocortex, ossia la corteccia cerebrale sviluppata più recentemente in grado di pianificare i comportamenti prevedendone le conseguenze e favorire la riflessione su sé stessi e sugli altri, facendo ipotesi su quello che gli altri possono pensare. È questo che spinge gli esseri umani a interrogarsi sulle motivazioni e sulle intenzioni degli altri che li spingono a comportarsi. E siccome non è sempre possibile trovare spiegazioni si fanno supposizioni, spesso ingiustificate, e insinuazioni. È qui che originano elucubrazioni sospettose e paranoiche che portano ad attribuire agli altri, o per esempio al potere, ai migranti, agli oppositori intenzionalità ostili e pericolose. In un interessante articolo di Nichola Raihani su Nature viene fatta un’importante distinzione fra la paranoia ben nota in campo psichiatrico e il pensiero paranoico diffuso nella popolazione che assume gradi diversi, dalla diffidenza fino al sentirsi vittime di una cospirazione ai propri danni. È un modo di pensare inconfutabile che non richiede prove per cui difficilmente si accettano altri punti di vista. Questi pensieri paranoidei, che alimentano gli scontri fra gruppi e coalizioni, sono la molla che spesso spinge i popoli a coinvolgersi nelle guerre rischiando la morte e la distruzione del proprio Paese. Nella storia umana molti leader politici hanno fatto leva sulle attitudini paranoidi del popolo per ottenerne la sottomissione, soprattutto per entrare in guerra. Se rileggiamo in questa chiave la dichiarazione di guerra di Mussolini vediamo l’effetto delle sue frasi roboanti scandite da pause che le rafforzavano sulle masse: «Entriamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente che in ogni tempo hanno ostacolato la marcia e insidiato l’esistenza del popolo italiano». Infiammava in questo modo l’odio e la totale adesione degli italiani alla guerra, purtroppo non valutando le conseguenze drammatiche che si sarebbero abbattute sul Paese.
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