"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 23 febbraio 2024

Lamemoriadeigiornipassati. 62 Giuseppe Smorto: «Inevitabile che il Ponte diventi il simbolo di un conflitto fra sviluppo e conservazione, fra cemento e natura. Chi vincerà? Le laminarie stanno a guardare».

                     Sopra. Testa bronzea detta di "Porticello", Reggio Calabria.

Alla carissima memoria dell’indimenticabile amica Rosalba Villari, biologa “messinese”. Le sia lieve la terra.

“I pellisquadre, all’impiedi e come sull’attenti, per stare in nove dove sarebbero stati già stretti in quattro, incalcati, combacianti di petto, di spalle, di fianchi, l’uno pigliava e dava, invadeva o subiva parte della persona con l’altro; sembravano ficcati l’uno nell’altro, la faccia nella faccia, la faccia nel profilo, il profilo nel profilo, il profilo nella nuca, la nuca nella faccia: stavano insomma come incorporati, ognuno sembrava mezzo se stesso e mezzo un altro, uno erano tutti e tutti erano uno, uno solo, che masticava e cogitava coi denti, con la faccia, il profilo, la nuca di tutti, e doveva essere proprio quel masticamastica e ruminarumina di cicirella e di pensiero, che li faceva fra loro somiglianti, come specchiati l’uno dentro l’altro, che li faceva apparire una sola persona affollata, e solinga, sana e mutila, una persona formata coi pezzi della figura di tutti, di ognuno e di nessuno. Erano persone diverse e si figuravano una, però si figuravano muti, muti con la parola in bocca, e bisognava vedere se ce la facevano lo stesso a figurarsi una persona sola, d’un pensiero, non appena aprivano bocca e parlavano. Allora, non dipendeva più da loro, ma dalla parola, la parola avrebbe detto se si figuravano soltanto una persona sola, d’un pensiero, oppure effettivamente lo erano: perché, sinché uno se la tiene in bocca, è il padrone della parola, ma non appena la dice, a seconda del perché, percome la dice, e a seconda di chi la dice, è allora che rischia, rischia a volte che da padrone diventa servo suo e schiavo. Difatti, non appena questo o quello si pronunciò di bocca sua, la parola gli riportò in faccia a ognuno, persona per persona, i lineamenti di natura. Fu come fossero incantesimati e il suono della parola li sciogliesse dalla loro fissità di mente, da quel loro figurarsi sfigurati tutti tuttuno, e ripigliassero a vivere di vita propria, col sangue che gli ricircolava nelle vene e a ognuno gli ricoloriva i connotati coi colori della sua faccia e gli impulsi del suo animo”. (Tratto da “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo).

“Quello che c’è e va protetto sotto il ponte che non c’è” di Giuseppe Smorto pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 16 di febbraio 2024: Due mari, due città, due correnti, un ecosistema e (forse) un Ponte.  Dove soffia verso Sud il vento di canale; dove si formano i vortici dell'Odissea e d'inverno tornano a galla i pesci abissali; dove resiste la gorgonia giallo-rossa, corallo molle del Mediterraneo, che sembra un fiore ma è una colonia di animali; dove si gioca la partita economico-politica delle infrastrutture: ecco proprio qui, nei 3,15 chilometri che separano Sicilia e Calabria, c'è un altro tesoro da conservare. Ne parlano quasi sottovoce i sub che sono scesi fino a 56,7 metri per scoprire questa foresta di Laminaria ochroleuca, aquiloni del mare alti più di tre metri, isolati solo lungo le due sponde dello Stretto e nel mare di Alboran (tra Spagna e Marocco, ndr). Alghe che hanno due-tre milioni di anni, specie prioritarie da salvare secondo la Ue. Thalassia Giaccone, tecnologa presso il Sicily Marine Center, polo messinese della Stazione Zoologica Anton Dohrn, le descrive: «Le Laminarie non solo sono bellissime, ma anche molto utili: lamina, stipite e rizoide ovvero foglie, stelo e radici forniscono tre diverse tipologie di habitat per numerose specie di organismi marini. Per quelli che nuotano, per quelli che vengono trasportati dalla corrente, che vivono ancorati al fondale o nei suoi primi centimetri. La biodiversità ospitata in queste alghe è maggiore, in proporzione, di quanto avvenga per le foreste terrestri». Cristina Condemi è nel team della Nazionale di fotografia subacquea, ha appena gareggiato a Cuba. Aveva sentito parlare delle Laminarie da alcuni pescatori: «Loro conoscono le secche e i fondali metro per metro, ne hanno tirata su qualcuna. Eravamo in tre dello Scilla Diving Center, abbiamo cominciato l'esplorazione. Ci sono volute varie immersioni: nuotando verso Sud, alla profondità di 45 metri, abbiamo avvistato le prime: gigantesche e fitte, una specie di nursery dove vagavano ricciole, viole, perfino un banco di barracuda. Mi sono detta: allora esistono ancora posti così, nonostante l'uomo». Tutta questa bellezza sottomarina proprio nell'area in cui dovrebbe sorgere, secondo il progetto, la torre calabra del Ponte sospeso, alta 399 metri, fra la Chiesa della Madonna delle Grazie della frazione di Pezzo e la Madonna di Porto Salvo di Cannitello. Mimmo Pellegrino, comandante sui traghetti, vive qui e organizza ogni prima domenica d'agosto la traversata a nuoto, quest'anno si festeggia la sessantesima edizione: «Lo Stretto ha dieci stagioni l'anno e più di una nel corso della giornata. Davanti a noi si combattono le due correnti: la montante dallo Jonio che fa rotolare le pietre; l'ascendente dal Tirreno che è più liscia ma più intensa». Hanno cicli di sei ore e rendono difficile la navigazione, sono una delle ragioni di questa grande biodiversità. E rendono anche la traversata a nuoto imprevedibile, in certi anni fra Punta Faro e Villa San Giovanni si perde la metà degli atleti. «Io sono contrario al Ponte per tanti motivi, ma mi fa ancora più paura l'incompiuto». Come quel sarcofago che rovina il lungomare di Cannitello, costruito ai tempi della "prima pietra del Ponte" di Berlusconi. Nasconde la linea ferrata, doveva essere coperto da una collina verde, è rimasto invece solo il cemento in bella vista. «Se sono mancate le semplici opere compensative, difficile credere alla Grande Opera» chiude sconsolato Pellegrino. Terra di tempeste, terra di naufragi, di scirocco e maestrale. Nell'autunno del '69, il sub Peppino Mavilla, inseguendo due cernie a meno 38, nota uno strano biancore: non sono pietre, ma anfore: è una nave del terzo secolo a. C. Fra il 16 ottobre e 1'11 novembre Mavilla consegna alla Soprintendenza la celebre Testa del Filosofo, oggi vicino di stanza dei due Bronzi al Museo Archeologico di Reggio, e altri 1 7 reperti. Scrive nella relazione: «Testa ritratto in bronzo di grandezza naturale di uomo barbato, nel cavo oculare destro resta l'occhio di pasta vitrea...». Tutto il resto è stato depredato, la zona allora non fu interdetta alla navigazione. Un'altra testa in bronzo riappare al Museo di Basilea e viene recuperata dopo vent'anni dal Ministero della Cultura. In un primo tempo chiamata come la città svizzera, oggi è stata rinominata Testa di Porticello. Stefano Mariottini, l'uomo che trovò i guerrieri di Riace nel 1972, dice: «Quella del Ponte è una zona impegnativa, per scendere bisogna conoscere le correnti. Il relitto di Porticello è in un tratto scosceso. Nella stessa area ho partecipato nel 2004 al recupero di un cannone, stavano cercando di portarlo via di notte con un battello autogonfiabile e un pallone di sollevamento, si sono incastrati fra gli scogli. Gente esperta, trafficanti». Maurizio Marzolla, videomaker professionista, ha appena concluso le riprese subacquee del prossimo Diabolik. Ha visto e filmato le Laminarie. «Uno spettacolo meraviglioso, sembrano danzare con la corrente, sotto di loro ti senti piccolo piccolo. In Calabria abbiamo quasi 800 chilometri di mare, ho duemila minuti di interviste ai pescatori, una ricerca con 34 immersioni, che mi portano a una conclusione che potrebbe sembrare partigiana. Lo Stretto di Messina è una nicchia naturale senza confronti, ha fondali splendidi, quasi tropicali. Un patrimonio a rischio, visto che nel progetto del Ponte si parla del ripascimento di dieci chilometri di coste. Siamo in una ZPS, zona di protezione speciale, abbiamo il diritto di preoccuparci per gli annunciati sei anni di lavori e i dodici miliardi di spesa. In questa area sono previsti oltre mille espropri». Angelo Vazzana, medico biologo, filma i vortici dello Stretto, crea video ipnotici, cataloga i pesci abissali che ogni inverno finiscono sulla spiaggia: il Drago di mare, il pesce Accetta, il pesce Trombetta. È arrivato a una originale convinzione: l'Odissea è stata scritta qui. «Le condizioni chimico-fisiche di questa zona non si ritrovano in altre aree del Mediterraneo. Da 23 milioni di anni le Laminarie offrono alle popolazioni costiere servizi ecosistemici fondamentali per la loro esistenza. Il degrado di queste foreste di alghe giganti è dovuto per lo più all'uomo, ma noi stessi possiamo essere la soluzione se le difendiamo» dice Thalassia Giaccone. «E più che pensare a usi alimentari, dovremmo farle conoscere al turismo subacqueo». Lo Stretto è anche il grande imbuto degli uccelli migratori, insieme a Gibilterra e al Bosforo. Questo mare è pieno di voci e questo cielo pieno di visioni, scriveva Pascoli. Inevitabile che il Ponte diventi il simbolo di un conflitto fra sviluppo e conservazione, fra cemento e natura. Chi vincerà? Le laminarie stanno a guardare.

Nessun commento:

Posta un commento