“BoninoUnaStoriaNazionale”.
“La poltrona perpetua di Emma: lotte, Silvio, Renzi e lady Mastella” di Pino
Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, martedì 2 di aprile 2024: Con
molto rispetto e a salvaguardia dell’età, bisognerebbe affidarla alle
compassionevoli cure di Amnesty International, invece di palleggiarla tra una
lista di disperati e l’altra, infilandola nella polvere della lunga marcia
iniziata per contendersi una fetta di torta che tra un paio di mesi verrà
servita sulla tavola grande di Bruxelles. Invece facendo tutti finta di
occuparsene – i giannizzeri della politica e i faccendieri del commento – della
povera Emma Bonino non se ne vuole occupare nessuno di utile. Né uno psichiatra
a dirne il marasma da solitudine. Né un politologo a spiegarle la regressione
politica e anche culturale che da una quarantina d’anni va praticando e che ha
finito per vanificare quel tanto di buono che aveva fabbricato nei gloriosi
anni Settanta: le battaglie per il divorzio, l’aborto, l’autodeterminazione
delle donne, eccetera. Passando da Ernesto Rossi, l’intransigente, al
furbacchione saudita Matteo Renzi. Dal cosmopolita Altiero Spinelli a Sandra
Mastella, signora di Ceppaloni. Tutto mandato a ramengo da quando a lei e a
Marco Pannella, detto “il mio scimmione”, apparve il venditore di preziosissime
spazzole Silvio Berlusconi, che offriva specchi televisivi e collegi
elettorali, come mai si erano sognati, condannati fino a quel fatidico
incontro, alla militanza pulviscolare della strada e dell’ideale, con contorno
di digiuni, bavagli, marce contro “lo sterminio per fame”. Tutte cose che al
Cavaliere fregavano meno di zero, concentrato com’era a salvarsi la pelle dalla
giustizia, dai debiti, dalle seriali bugie. Per incassare più soldi possibile e
più pupe possibile, che per lui erano quantità di cose inanimate equivalenti. La
politica del baratto la condusse sull’arca di Romano Prodi, poi di Berlusconi,
poi di Monti, il super partes, poi di Gentiloni, il genio dell’attesa, poi di
Letta, il genio della sconfitta, poi di Draghi, il genio dei banchieri.
Alternando candidature in Italia e in Europa con quelle al Quirinale, qualche
bagatella negli intermezzi, compresa una corsa per la presidenza della Regione
Lazio, anno 2010, dove riuscì nella formidabile impresa di perdere con una tale
Renata Polverini, diplomata ragioniera, nata sui divani dei talk show e poi
tornata nel nulla, dopo il solito scandaletto della casa a prezzi stracciati. È
stata vicepresidente del Senato. Commissario europeo, designata personalmente
da Silvio. Tre volte ministro. Tre volte eletta in Europa. Otto volte al
Parlamento italiano, dall’anno di grazia 1976 coi radicali, l’Ulivo, Forza
Italia, fino alla lista onomastica, convinta che non contino mai troppo i
compagni di viaggio, ma solo la sua inderogabile libertà di dire o disdire,
purché con campagna elettorale garantita, fosse anche da un fesso di turno. A
tal proposito, brillano le schermaglie di oggi nate nel nuovissimo partitello
di scopo “Stati Uniti d’Europa” dove il contendere polemico s’aggira intorno al
bel nome di Totò Cuffaro, riabilitato dopo la pena di anni sette per
favoreggiamento a Cosa nostra, che vorrebbe appendere la sua coppola accanto al
sorriso di Emma. Cosa che a lei non muove un sopracciglio, ma che non sta bene
al presidente del suo stesso partito, “Più Europa”, Federico Pizzarotti, che
Emma neanche calcola: “Telefonargli io? Mica sono la Tim”. Figuriamoci se si
abbassa a interloquire con l’ultimo arrivato: “Veda lui cosa fare. Io intanto
mi candido visto che sono libera da impegni istituzionali”. Quella di Emma – la
pacifista istituzionale che tutte le guerre Nato votò, certificandole
“umanitarie” – è una sprezzatura speciale coltivata insieme al suo demiurgo
Pannella che accusando i Palazzi di incorporare “l’orrendo Regime” dei “ladri
di libertà, ladri di democrazia”, ci hanno sempre abitato benissimo, uno
acquartierato nella mansarda alcova di anime in cerca di un padre, l’altra
nella casetta celibe di Campo dei Fiori. Cento volte hanno litigato in
pubblico, come si addice al teatro radicale, l’ultima quando Marco le
rinfacciò, a vene gonfie d’invidia, che i voti, i seggi, i ministeri, gli
incarichi internazionali li aveva incassati grazie a lui. E senza neanche un
grazie. Accuse che lei liquidò come fanno le figlie col babbo invadente: “Ma
sei scemo?” In quell’eloquio senza fronzoli, Emma Bonino ci è nata, anno 1948,
cascina agricola dalle parti di Bra, provincia di Cuneo, padre contadino “che
parlava solo in dialetto” e madre casalinga “che non parlava mai”. Seconda di
tre figli. Insofferente “al soffocante caldo dell’estate” e al freddo
dell’inverno, chilometri a piedi nella neve per andare a scuola. Poi il liceo
nell’aria cupa di provincia. E finalmente un treno per Milano, Università di
Lingue, lasciandosi dietro l’orrenda adolescenza. Per aprirsi all’anno di
grazia 1968, quando un po’ di cielo cadde sulla terra e Emma incontrò la sua
prima regina madre, Adele Faccio, già veterana radicale, “che mi ha insegnato
l’abc della politica”, perfezionata sui tavoli dell’aborto clandestino
finalmente portato alla luce del sole. È su quell’onda che nel 1976 arriva alla
Camera, eletta con la prima pattuglia radicale, reduci tutti dalla battaglia
vinta del divorzio per che per la verità era farina del sacco di Loris Fortuna,
socialista di era pre-craxiana, e che Pannella si è intestato da allora,
spingendolo a gomitate fuori dall’inquadratura. Da quei giorni gloriosi non
hanno più smesso di pattinare sul palcoscenico delle Istituzioni, sul quale
hanno issato il grano e il loglio: la clamorosa innocenza di Enzo Tortora e la
discutibile candidatura politica di Toni Negri. Il dramma di Luca Coscioni, la
grandezza di Leonardo Sciascia, la farsa di Cicciolina, rivestita un attimo
prima di entrare in Parlamento. Giocando per mezzo secolo la carta politica dei
referendum, moltiplicati fino a renderli irrisori, 110 in tutto, per lo più
senza quorum, senza criterio, senza senso, ma buoni per tenere accesa una
politica diventata sempre di più autoreferenziale. Ritualizzata, alla maniera
delle sette, da insonni guerre intestine, più psichiatriche che politiche, più
sentimentali che ideologiche, davanti a una sfilata perpetua di giovani e
lucenti segretari, via via assunti amati e licenziati per noia da Pannella,
fino all’ultimo giorno utile. Lui tumulato in salma, con tutti gli onori, ci
mancherebbe. Lei prosciugata nel solo salmo che ancora la illude: “Io intanto
mi candido”.
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