“L’avvocato Borotalco, da Ruby Mubarak alla campagna di Bari”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 28 di marzo 2024: Il gentiluomo Francesco Paolo Sisto, viceministro alla Giustizia, avvocato di conio berlusconiano, penalista di finissimo ricamo garganico-barese, eloquio al borotalco, sogna da sempre di riformare la Giustizia alla sua maniera: tagliando le unghie, la barba e i processi a tutte le magistrature inquirenti in circolazione, per lo più rosse, avvelenate dal protagonismo politico, se non direttamente da rintracciabili malanni mentali. Colpevoli, prima di tutto, di avere intralciato la luminosa cavalcata del santo Cavaliere con le trascurabili volgarità di accuse inconsistenti – la corruzione, i ricatti, le bugie, il sesso a tassametro, le truffe, i denari, la mafia – ma specialmente la frode fiscale che costò a Silvio l’illibatezza penale, e financo la definizione, in sentenza, di “delinquente”. FPS se ne duole da allora. Anzi da prima. Intestandosi anche lui la prova suprema, quella dei 314 deputati che senza vergogna votarono la sicura discendenza di Ruby Rubacuori nipote di Mubarak. E a seguire, l’assalto alla scalinata del Tribunale di Milano – una Corazzata Potëmkin da armata bianca, con Maria Elisabetta Alberti Casellati in prima fila a impugnare il filo di perle – contro l’odiata Procura che inquisiva il loro sommo bene, negando ai suoi processi la bambagia del centesimo “legittimo impedimento”, dopo averne accordati 99: “Ecco la malagiustizia, povero Silvio!”. Ne omaggia la memoria guidando, in questi giorni, la “Campagna di Bari” contro il sindaco Antonio Decaro, che prevede l’accerchiamento della città saldamente (e sorprendentemente, visti i tempi) nelle mani del centrosinistra antimafioso in vista delle malaugurate elezioni del prossimo giugno, la destra in grandi ambasce, visti i litigi fratricidi e l’assenza di un candidato spendibile. Dunque elezioni destinate alla certa sconfitta. Almeno fino a una manciata di giorni fa. Quando il signorsì del governo, Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno, ha ordinato l’ispezione del Comune, in vista del suo commissariamento per “infiltrazione mafiosa”. Circostanza sollecitata da FPS e da tutto il manipolo dei deputati della destra pugliese che – per una volta nella loro vita, immaginiamo l’emozione – reclamavano l’intervento proprio della magistratura con procedura d’urgenza. Riunione fulminea e provvedimento ottenuto in tempi record. Benedetto da massima ridondanza mediatica. Compreso un selfie scattato nella sala del Viminale, il ministro Piantedosi sorridente al centro tavola, circondato dai suoi sodali di partito e di governo a preparare la festa di fuoco e fiamme alla giunta di Bari. Andando in porto il rogo, le Comunali a Bari potrebbero slittare fino a farle confluire con le Regionali previste per il febbraio 2026. Tempo congruo per demolire Decaro, la sinistra intera, forse anche la città. Per poi estrarre un coniglio dal cilindro e farlo eleggere in gloria al governo. E al suo massimo esponente locale, il senatore di impero berlusconico-meloniano, il pluripremiato FPS. Vedremo. È storia la sua storia. Prestigiosi natali lo accolsero nell’anno 1955, il padre Eustachio principe del foro di Bari. Buone scuole a seguire. Un po’ di Conservatorio a coltivare la passione del pianoforte. Un po’ di viaggi. Il pallino dell’arte. La laurea in Giurisprudenza, la toga di avvocato penalista. Una moglie in prima istanza, una compagna al secondo giro. Un figlio sulle orme del babbo, ma con il nome Eustachio del nonno a dirne il casato che cresce. L’incontro fatale con la Luce del suo Signore avviene per tramite della nera ombra di Giampiero Tarantini, detto Giampy, il Gargamella delle Escort che da Bari volavano direttamente sui divani di Silvio, “l’utilizzatore finale” anche “se solo di baci” e blande utilità. Radicandosi a Bari il processo, ecco comparire FPS accanto a Niccolò Ghedini: due fuoriclasse della melina procedurale che di slittamento in slittamento, di rinvio in rinvio, sempre rivendicando l’immacolata innocenza di Silvio, hanno fatto sfiorire il processo fino all’ultimo sospiro utile. Degno del lutto nazionale. Dal processo alla politica è l’ingaggio di un attimo. Nel 2008 inizia l’avventura alla Camera dei deputati, rivelandosi un Master chef delle migliori ricette delle leggi ad personam. Studia, cucina e vota tutto quello che prevede il menu azzurro. Dal Lodo Alfano alle norme sul legittimo impedimento, dalla legge Tremonti che abolisce l’imposta di successione a quelle contro Sky, concorrente di Mediaset. Si spende contro il reato di abuso d’ufficio, in difesa di un “Paese che vive con il timore di essere indagato”. Tuona contro “i processi mediatici”, “le inchieste a orologeria” e “l’uso politico della giustizia”, salvo cavalcare tutte e tre le nequizie nel caso dell’assalto a Decaro, anche se mai lo ammetterebbe. Quando è a Bari non frequenta salotti, ma suona il pianoforte in piazza. Compone canzoni come Onorevole Natale e i più fortunati l’hanno ascoltata dall’ugola di Al Bano, suo amico. L’eventuale conflitto di interessi tra ruolo di avvocato di Berlusconi e funzione politica al servizio della Nazione lo considera poco più di un ritornello da scansare. Ne sorride quando diventa presidente della Commissione Affari costituzionali, poi sottosegretario alla Giustizia con il governo Draghi. Infine viceministro di Carlo Nordio, col quale condivide l’intero papello di riforme della Giustizia. La separazione delle carriere in primis. L’abolizione del traffico di influenze. L’abolizione della legge Severino e della spazza-corrotti di Bonafede. La stretta sulle intercettazioni. Il veto alla loro pubblicazione. La minaccia di guai ai giornalisti che disobbediscono. Lo stop ai processi mediatici. Compreso, si intende, quello che avrebbe voluto alimentare provando a imbucarsi in trasmissione da Santoro, anno 2011, per difendere a mani nude il suo Silvio dalle intercettazioni telefoniche su Ruby e le Olgettine. Non riuscì a entrare in Rai, quella volta, ma da allora ha rimediato altre cento. Non considera il suo zelo un vizio, semmai una qualità. Gli serve a prender sonno, ogni volta che proclamandosi “partigiano della Costituzione” e irriducibile “nemico della mafia” fa finta di non sapere che dentro al partito fondato da Marcello Dell’Utri, ci sta comodo, come in una vasca da bagno.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
domenica 31 marzo 2024
MadeinItaly. 05 Pino Corrias: «“Ecco la malagiustizia, povero Silvio!”. Ne omaggia la memoria guidando, in questi giorni, la “Campagna di Bari” contro il sindaco Antonio Decaro».
Dalton Trumbo è stato un grande
sceneggiatore americano: firmò Vacanze romane, Exodus e Spartacus, ma il suo
nome non apparve nei titoli di quei film per moltissimi anni. Trumbo era
infatti uno degli Hollywood Ten che si rifiutarono di testimoniare davanti alla
Commissione per le attività americane nel 1947 e finì dritto nella lista nera
di Hollywood assieme a parecchi altri artisti con l'accusa di simpatie
comuniste. Insomma, la vecchia caccia alle streghe. Vecchia ma mai sopita.
Perché assieme ai giusti festeggiamenti per l'Aquila capitale italiana della
cultura 2026 bisognerebbe ricordare un'altra lista nera che getta un'ombra non
piccola sulla nomina. All'Aquila andranno dunque finanziamenti per un milione
di euro: e la città li merita, dopo quindici anni di sofferenza dovuti a un
terremoto devastante e alla altrettanto devastante gestione del dopo-terremoto.
È meritevole, sulla carta, anche il progetto, che si intitola "L'Aquila
città multiverso", e ha quattro grandi tematiche: salute pubblica e
benessere, coesione sociale, creatività e innovazione, sostenibilità
socio-ambientale. Tutto bello. Ma fermiamoci su creatività e innovazione: chi
saranno mai i creativi e innovativi che per un anno daranno nuovo respiro
culturale alla città? Ci si muoverà nell'ambito della multiculturalità,
assicura il progetto. Bellissimo. Se non fosse che il sindaco dell'Aquila non
sembra avere troppa confidenza con il prefisso "multi". Passo
indietro. Siamo nel 2019. Il sindaco Pierluigi Biondi, che ha iniziato a fare
politica nel Fronte della Gioventù, si oppone fieramente al Festival degli
Incontri, che avrebbe dovuto svolgersi in ottobre. E perché mai? Perché nel
festival, diretto da Silvia Barbagallo, erano annunciati fra gli ospiti Roberto
Saviano e Zerocalcare. La motivazione venne espressa dal sindaco nel luogo
consono (per tutti tranne che per il povero Michael Ende, autore de La storia
infinita da cui viene, purtroppo per noi, il nome Atreju): la festa di Fratelli
d'Italia. Disse Biondi: «Non ce li voglio all'Aquila perché l'Aquila è una
città plurale, nobile, aristocratica, bella; è una città che non merita questo
genere di cose». Corse a dargli aiuto Giorgia Meloni, non ancora premier ma già
attivissima sui social, che mostrò una vignetta di Zerocalcare su Carlo Giuliani,
scagliandosi contro «una festa da centro sociale». L'Aquila è troppo nobile per
questi sovversivi, dunque via il Festival, sostituito con la Festa della
Montagna, che viene finanziata con gli stessi fondi: l'evento chiave della
festa è infatti il dibattito sull'Operazione Quercia del settembre 1943, ovvero
la liberazione di Benito Mussolini a Campo Imperatore da parte dei
paracadutisti della Luftwaffe e del capitano delle Ss Otto Skorzeny. Tra gli
evocati nella presentazione, Adelchi Serena, già podestà dell'Aquila, nonché
promotore della funivia del Gran Sasso. Non è finita: nella nobile città, a
marzo 2022, si decide di ospitare un organismo istituzionale come la Consulta
Giovanile Comunale nella sede di Casa-Pound, perché, accidenti, non c'erano
altre sedi disponibili. Non so cosa sia lecito attendersi, a questo punto,
dalla neocapitale della cultura. Nel dubbio, la cosa preziosa di oggi è Il
famiglio della strega di Francesca Matteoni, uscito per effequ: se caccia alle
streghe deve essere, la si faccia almeno con competenza. (Tratto da “Una (in)certa idea di cultura della
destra” di Loredana Lipperini pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del
22 di marzo 2024).
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