“StoriediDonne”. 2 “Donne oltre gli gnommeri” di Elena Stancanelli sulla stessa edizione del settimanale “d”: Ho scoperto Chiara Mercuri ascoltando una sua intervista alla radio. Era ospite di Chiara Valerio, in un programma di Rai Radio 3 che si intitola L'isola deserta. Sollecitata dalla scrittrice, Mercuri sembrava dire solo cose interessanti. Una in particolare mi era rimasta in testa: il progresso non procede in modo regolare, per conquiste successive. Per un po' va avanti, poi di colpo si ferma, qualche volta torna indietro. Crea delle anse, degli gnommeri chiosava Valerio citando Gadda. Questi gnommeri, questi gomitoli, sono un guaio. Perché l'arretramento è stato talmente rapido che intere parti di mondo si trovano a dover fare i conti con stadi primitivi della nostra evoluzione culturale, che si credevano lasciati definitivamente alle spalle. E indovinate chi, dentro questi gnommeri, ha la peggio? Le donne, costrette di nuovo a una sudditanza imposta muscolarmente. Bisogna fare attenzione, diceva Chiara Mercuri, fare di tutto per evitare che, complice la nostra distrazione, la Storia scivoli indietro, dove i diritti acquisiti faticosamente e in secoli di battaglie si volatilizzano in un istante. Ho letto il suo libro, La nascita del femminismo medievale (Einaudi), e la curiosità che mi aveva suscitato si è trasformata in entusiasmo. Chiara Mercuri è una storica, specializzata in Storia medievale, ma è anche una scrittrice capace di infondere intelligenza e grazia letteraria al racconto, così che dopo poche pagine mi sono trovata risucchiata dentro la storia di Maria di Francia, e l'ho divorata con la stessa famelica voluttà con cui avevo divorato una dopo l'altra tutte le stagioni di Succession. Maria era nata in Francia nel 1145. Figlia del re di Francia Luigi VII e della bellissima e coltissima Eleonora d'Aquitania, il suo bisnonno Guglielmo, detto il Trovatore, fu un celebre poeta. Maria, detta Maria di Champagne perché moglie del conte Enrico, signore della Champagne, è una scrittrice. Ma quello che fino a oggi non sapevamo, e che Chiara Mercuri ci racconta, è che Maria di Champagne e Maria di Francia, la prima donna a scrivere in lingua francese e autrice di celebri lai (una sorta di novelle in versi) sono la stessa persona. Quindi non solo quella Maria è esistita, cosa di cui si è dubitato pensando si trattasse dello pseudonimo di un maschio, ma era la figlia del re di Francia. Quella Maria di Champagne alla quale si rivolge Chrétien de Troyes nel prologo del Lancillotto. Composto tra il 1176 e il 1181, il libro sensualissimo e galeotto, complice degli amori tra Paolo e Francesca secondo Dante, racconta le vicende dei cavalieri della Tavola rotonda, di Camaalot. In particolare quella di Lancillotto e del modo peculiare e modernissimo, e quindi sconcio, in cui si dispiega il suo amore per Ginevra (moglie del re Artù). "Dal momento che la mia Signora du Champagne vuole che intraprenda a scrivere un romanzo, lo farò molto volentieri, perché io sono interamente suo", scrive Chrétien de Troyes. Ma non si tratta di una dedica, un tributo dovuto a chi finanzia l'opera. Secondo Mercuri ogni volta che l'incedere si fa più audace, nella descrizione ma soprattutto nelle idee che propone, l'autore si tira indietro e lascia a Maria la voce. Sarebbe dunque lei ad aver fatto passare, attraverso le gesta di questi due innamorati, i temi dell'amore cortese e soprattutto del femminismo, il rispetto per il corpo della donna, per il suo desiderio e anche una diversa idea rispetto al tradimento. E se la sua vera identità si aggrovigliò fino a confondersi, scrive Mercuri "nei secoli finali del Medioevo la sua nuova grammatica delle relazioni erotico- sentimentali - quella che noi chiamiamo amor-cortese - divenne virale". A volte c'è una donna in cima, dietro, sopra a un'idea grandiosa, ma la Storia e i suoi gnommeri la cancellano, e la sostituiscono. Facciamo attenzione, soprattutto adesso che tutto sembra discutibile, anche la democrazia. La cura del mondo è soprattutto cura della cultura, unico antidoto efficace contro la barbarie.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
mercoledì 20 marzo 2024
Piccolegrandistorie. 69 Elena Stancanelli: «Adesso tutto sembra discutibile, anche la democrazia. La cura del mondo è soprattutto cura della cultura, unico antidoto efficace contro la barbarie».
“StoriediDonne”. 1“Nella terra dei lumi” di Massimo Giannini pubblicato sul
settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 16 di marzo 2024: Da ragazzi
avevamo un mito: era un libretto, che se non avevi letto non eri degno di partecipare
al "dibbattito", come diceva "l'autarchico" Nanni Moretti.
Quel libretto era Lettera a un bambino mai nato, confessione intima di una Oriana
Fallaci non ancora conquistata dai furori islamofobi post 11 settembre.
L'incipit era folgorante: "Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di
vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un
tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. Esistevi. Mi
si è fermato il cuore ...". Oggettivamente, una meraviglia che ti prendeva
alla gola e non ti mollava più, fino all'ultima pagina. Era un urlo, un grido
di dolore di una donna senza storia e senza nome che si interrogava sulla
maternità, sui suoi doveri, sui suoi impliciti, e poi sull'esistenza futura del
feto che portava in grembo, sul mondo ostile e violento che lo avrebbe accolto.
Era un libro sull'aborto e un testo autobiografico. Fallaci lo scrisse nel
1975, da giornalista de L'Europeo, dopo aver ricevuto dal suo direttore
dell'epoca l'incarico di fare un’inchiesta proprio sul fenomeno delle
interruzioni di gravidanza, diritto che l'ordinamento italiano avrebbe
acquisito solo tre anni dopo con la legge 194, e sacrificio che invece in
quegli anni si consumava clandestinamente, sui tavolacci delle
"mammane" Oriana usava un escamotage letterario, fingendo di lasciare
al bambino la scelta: vuoi nascere o no? Alla fine, previo processo con sette
giurati eccellenti, tra cui i genitori, il medico, il datore di lavoro, la donna
veniva comunque condannata. Ripensavo a tutto questo dopo aver letto che la
Francia ha introdotto per legge il diritto all'aborto nella Costituzione. Le
foto e i reportage dell'evento ti fanno quasi emozionare: l'Assemblea Nazionale
riunita a Versailles, 925 deputati e senatori in seduta congiunta che votano
solennemente "sì" a un atto senza precedenti. E la Tour Eiffel che si
illumina, con uno slogan che è anche un manifesto politico: #MyBodyMyChoice.
Una volta tanto non è esagerato scomodare la Storia. È la prima nazione al
mondo che ha questo coraggio politico, questo vigore morale, questo senso civile.
E non poteva che succedere là, nella terra dei Lumi e della Rivoluzione, dov'è
nata la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789. Macron,
che quella legge l'ha voluta, esulta: siamo l'avanguardia del pianeta, dice
Monsieur le Président. Il Vaticano, che quella legge non la vuole, protesta:
non esiste un diritto a sopprimere una vita, strillano i vescovi. Io ovviamente
so da che parte stare. Nell'Europa dove predicano le destre oscurantiste e machiste,
e dove orde di atei devoti al potere rilanciano a vanvera la triade
Dio-Patria-Famiglia, c'è poco da scherzare. Bisogna solo difendere i diritti, a
cominciare da quelli delle donne. Aggiungo due sole riflessioni. La prima
spiega perché ho cominciato dalla Fallaci: il diritto all'aborto è sacrosanto,
ma l'aborto non è una festa, resta sempre un trauma lacerante e un dramma
interiore. La seconda spiega perché considero comprensibile ma insostenibile
l'anatema della Chiesa, istituzione fallibile perché fatta di uomini. Julian
Barnes, nel suo ultimo romanzo (Elizabeth Finch, Einaudi) esprime una tesi
disturbante, ma affascinante. Immaginate gli ultimi 15 secoli senza il
cristianesimo, senza intolleranze religiose e persino razziali. Immaginate il
cammino della scienza non ostacolato dalla fede. Cancellate tutti quei
missionari impegnati a indottrinare popolazioni indigene, mentre i loro
eserciti facevano man bassa del loro oro. Immaginate la vittoria intellettuale
di ciò in cui l'ellenismo credeva: se esiste una qualche gioia nella vita, essa
è qui, "in questo nostro passaggio sublunare, e non in chissà quale
assurdo paradiso disneyano dopo la nostra morte". Immaginate.
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