"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 7 marzo 2024

Lavitadeglialtri. 27 Sami al-Ajrami: «Un mese di guerra ha cancellato il mondo che conoscevamo. Gaza non esiste più».


DiariodaGaza” del 7 di novembre dell’anno 2023 – “Tra le macerie il pianto delle mie figlie per i cuginetti uccisi” - di Sami al-Ajrami, pubblicato, al tempo, sul quotidiano “la Repubblica”: Un mese di guerra ha cancellato il mondo che conoscevamo. Gaza non esiste più, ridotta in macerie. E anche i suoi abitanti sono in frantumi. Solo nell’ultima settimana sono cadute 6mila bombe: un frastuono costante che non fa dormire nessuno. La conta dei morti ha superato i 10mila. Il lutto è in ogni casa. Il pensiero della morte costante, ne parlano grandi e bambini. Noi vivi siamo come zombi. Nessun luogo è sicuro: Israele bombarda ovunque sospetta ci sia un suo nemico. Al Nord come al Sud dove pure ci ha fatto evacuare. A morire però sono soprattutto i civili: e la metà delle vittime sono bambini. Siamo tutti spezzati. È difficile metterlo in parole. Proverò nel modo più semplice, parlandovi di me. Avevo una casa nel quartiere Tel-Zaater: era mia. Ci vivevo dignitosamente con mia moglie e le mie due figlie adolescenti. C’erano i ricordi di una vita, i nostri libri, i piatti, le foto di famiglia. Avevo un ufficio dove ogni giorno andavo a lavorare: una scrivania, una tv, i colleghi. Avevo un ristorante preferito, una palestra, la moschea dove andavo a pregare. Non ho più nulla. Della mia vita non esiste più niente. Le bombe hanno cancellato tutto. Quel 7 ottobre, guardando le news ora dopo ora, lo abbiamo capito subito. Una catastrofe stava per abbattersi su Gaza. E la paura è aumentata man mano che si aggiungevano dettagli su quanto successo. Abbiamo messo nastro adesivo sui vetri come quando sta per arrivare un uragano. E preparato bagagli con l’essenziale per essere pronti a scappare. Le prime bombe sono cadute già quella notte: sventrando anche la nostra porta, mandando in frantumi tutte le finestre. Tre giorni dopo è arrivato l’ordine di evacuare: con l’intera famiglia, 19 persone, siamo venuti a Deir el Balah. Fra i primi, per fortuna. Abbiamo affittato una stanza in una di quelle case dove la gente veniva in vacanza vicino al mare. Un edificio dove conviviamo con 14 altre famiglie. Le donne e i bambini dormono dentro, gli uomini in auto fuori. Ma a tanti è andata anche peggio: dormono in tende bollenti di giorno e gelate di notte. O sono ammucchiati a migliaia negli ospedali e nelle scuole dell’Onu. Ogni giorno pensi sia il peggiore. E il giorno dopo è anche peggio. Ma oggi è stato il più brutto di tutti: due miei cugini con le loro famiglie, sono morti nel bombardamento di stanotte. Le mie figlie, 18 e 16 anni, singhiozzano da ore. Le ho viste piangere ogni giorno, prima perché senza internet non avevano più relazioni col loro mondo. Poi alla notizia della morte di amici e persone care. Ma oggi sono davvero disperate. Fra i morti ci sono i cuginetti cresciuti con loro. Impossibile dar loro conforto. Ogni giorno può essere l’ultimo, eppure continuiamo ad agitarci come formiche per portare nella tana dove siamo rifugiati, quando basta a far sopravvivere la famiglia un giorno di più. Il cibo scarseggia: per procurarsi il pane si fanno file di ore e spesso si resta a mani vuote. Nei mercati sono rimasti solo cetrioli e peperoni, riso e lenticchie. Gli aiuti umanitari entrati nelle ultime settimane non bastano. E comunque alla gente comune non arrivano. Li portano ai magazzini dell’Unrwa, l’agenzia Onu che dopo i saccheggi della settimana scorsa, ora è sotto il controllo della polizia. Ma medicinali, acqua e cibo in scatola vanno dritti negli ospedali e nelle scuole dove i rifugiati sono migliaia. Senza benzina non vanno auto e generatori: ormai la si trova solo al mercato nero, messa in commercio a prezzi folli dai furbi che all’inizio del conflitto ne hanno fatto scorta. E c’è chi ne ha prodotta una con l’olio di soia che puzza terribilmente. La mancanza di combustibile – che Israele non lascia passare, perché, dice, Hamas la userebbe per lanciare suoi razzi - ha già messo in ginocchio gli ospedali allo stremo. Fermato le ruspe necessarie a recuperare i feriti da sotto le macerie che ora muoiono dopo lenti agonie. E bloccato pure i depuratori d’acqua, costringendo la gente a berne di contaminata, tant’è che malattie infettive sono già diffuse. Proprio l’acqua è l’ossessione di tutti. Ne sogniamo di fresca e pulita. Ne parliamo continuamente. Lavorare come giornalista non è mai stato così difficile: non sono più un testimone, faccio parte della storia. Condivido la sorte e i sentimenti di coloro che racconto. Intorno a me la situazione si sta deteriorando. La solidarietà lascia il passo alla rabbia. La gente è terrorizzata e aggressiva. Si litiga continuamente. Abbiamo tutti paura del presente come del futuro. Non abbiamo più case a cui tornare. Non sappiamo cosa ci aspetta. Dove saremo domani. Potremmo ritrovarci tutti in tende nel nulla per gli anni a venire. Una prospettiva che ci fa impazzire.

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