“Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità. Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo. L’unica cosa di cui sono sicuro, sempre stando nei limiti della mia ragione, (…) è semmai che io vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto all’uomo di ragione che all’uomo di fede. (…). Resta però fondamentale questo profondo senso del mistero, che ci circonda, e che è ciò che io chiamo senso di religiosità. La mia è una religiosità del dubbio, anziché delle risposte certe. Io accetto solo ciò che è nei limiti della stretta ragione, e sono limiti davvero angusti: la mia ragione si ferma dopo pochi passi mentre, volendo percorrere la strada che penetra nel mistero, la strada non ha fine. Più noi sappiamo, più sappiamo di non sapere. (…). …la mia intelligenza è umiliata. Umiliata. E io accetto questa umiliazione. La accetto. E non cerco di sfuggire a questa umiliazione con la fede, attraverso strade che non riesco a percorrere. Resto uomo della mia ragione limitata e umiliata. So di non sapere. Questo io chiamo “la mia religiosità”. (…). …probabilmente non si riesce a resistere a questo dubitare continuo, a questo continuo non sapere, e allora ci si affida alle credenze… Io però, il fondo religioso della mia persona continuo ad intenderlo come questo non sapere. Ed è un fondo religioso che mi assilla, mi agita, mi tormenta”. (Testo di Norberto Bobbio pubblicato sul periodico “MicroMega” del 3 del mese di maggio dell’anno 2000).
“La non violenza batte la guerra” di Maurizio Viroli - filosofo e saggista italiano, professore emerito di Teoria politica alla Princeton University - pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 14 di febbraio 2024: (…). Da intellettuale militante quale è sempre stato, Bobbio si impegnò attivamente nel movimento pacifista. Nel 1961 partecipò alla prima Marcia della Pace organizzata da Aldo Capitini, con il quale strinse una profonda e duratura amicizia. Nell’anno accademico 1962-1963, a riprova dello stretto legame fra gli studi e l’impegno militante, Bobbio, insieme ad Alessandro Passerin d’Entrèves, tiene il seminario congiunto di ‘Filosofia del diritto e dottrina dello Stato’ su Il problema della guerra. Sono gli anni, vale la pena ricordarlo, della crisi dei missili a Cuba, quando la guerra fra Usa e Urss combattuta con armi nucleari era una minaccia reale. Bobbio considerava la guerra, soprattutto la guerra atomica, tema centrale del suo impegno civile: “Da circa 20 anni – scrive nel De senectute e altri scritti autobiografici, del 1996 – ho dedicato buona parte dei miei scritti d’attualità al tema della pace e della formazione di una coscienza atomica. Sia per la novità assoluta del tema che mette in questione ogni tradizionale filosofia della storia, sia per il modo con cui l’ho trattato per grandi sintesi dottrinali e per avervi per la prima volta introdotto la metafora prediletta del labirinto, considero centrale nella mia opera di saggista lo scritto Il problema della guerra e le vie della pace”. L’origine della profonda preoccupazione di Bobbio per la guerra va rintracciata negli anni della Seconda guerra mondiale, come rivela in un passo molto bello del discorso che pronunciò a Madrid nel 1996 in occasione del conferimento della laurea honoris causa dell’Universidad Autónoma. Ha fatto bene Pietro Polito a citarlo (…): “Appartengo a una generazione […] che è passata dal limbo, in cui, per dirlo con Dante, stanno coloro che ‘mai furon vivi’, all’inferno della Seconda guerra mondiale durata cinque anni e che in Italia, a differenza di quel che accadde in altri Paesi, terminò con l’occupazione tedesca di parte del territorio e con una crudele guerra fratricida, che lasciò piaghe così profonde non ancora guarite dopo mezzo secolo. Per chi, come me, aveva seguito studi giuridici e filosofici e si era occupato forzatamente di studi politicamente asettici, era naturale che, finita la guerra e tornata la libertà, i grandi problemi da affrontare fossero la democrazia e la pace. La storia della mia vita di studioso comincia di lì. Quello che precede è la preistoria”. Bobbio ha cercato le vie della pace, ma non è mai stato un sostenitore della non violenza, anche se ammirava gli apostoli di quella dottrina: “Non mi considero – scrive – un nonviolento militante, ma ho acquistato la certezza assoluta che o gli uomini riusciranno a risolvere i loro conflitti senza ricorrere alla violenza, in particolare a quella violenza collettiva e organizzata che è la guerra, sia esterna sia interna, o la violenza li cancellerà dalla faccia della terra. L’importanza dei movimenti che predicano la nonviolenza collettiva e attiva deriva dalla accresciuta consapevolezza che via via che la violenza diventa più totale diventa anche più inefficace. Certamente l’uomo non può rinunciare a combattere contro l’oppressione, a lottare per la libertà, per la giustizia, per l’indipendenza. Ma è possibile, e sarà anche producente e concludente, combattere con altri mezzi che non siano quelli tradizionali della violenza individuale e collettiva? Questo è il problema”. Preferiva il pacifismo istituzionale rispetto al pacifismo morale perché riteneva il primo più realistico del secondo. Mentre il pacifismo morale confida nella speranza di un miglioramento della natura umana, il pacifismo istituzionale confida nel diritto sostenuto da istituzioni statali e sovranazionali con potere di sanzione. Alla domanda “come si possono rendere impossibili le guerre?” Bobbio risponde: “Tra le risposte che si possono dare a questa domanda, di cui le due estreme sono l’azione diplomatica, praticabile ma insufficiente, e l’educazione alla pace, più efficace ma meno attuabile, io ho dato la preferenza, per ragioni legate alla mia formazione culturale e per una naturale vocazione a ritenere che la virtù sia nel mezzo, a quella che guarda alla creazione di nuove istituzioni che aumentino i vincoli reciproci tra gli Stati o al rafforzamento di quelle fra le vecchie che hanno dato sinora buona prova”. Di fronte alla forza dei signori della guerra del nostro tempo, e alle falangi di servi sempre pronti a giustificare e a scusare anche le guerre più ingiuste, le voci di chi ama la pace e i diritti dei popoli sono più deboli rispetto ai tempi di Bobbio. Eppure, proprio Bobbio, che non era certo un ottimista, chiudeva l’ultima edizione de Il problema della guerra e le vie della pace con parole che noi vecchi non dovremmo mai stancarci ripetere ai giovani: “Qualche volta è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato una macchina. Anche se ci fosse un miliardesimo di miliardesimo di probabilità che il granello, sollevato dal vento, vada a finire nel più delicato degli ingranaggi per arrestarne il movimento, la macchina che stiamo costruendo [che abbiamo costruito] è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il destino”.
Nessun commento:
Posta un commento