"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 12 marzo 2021

Leggereperché. 67 «Come insegna Papa Francesco, le persone vengono prima dei principi».

Ha scritto la sociologa Chiara Saraceno in “Dalla parte dei bambini”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 15 di febbraio dell’anno 2011: I bambini hanno, prima ancora che diritto, necessità che qualcuno assuma nei loro confronti responsabilità e comportamenti genitoriali, ovvero la responsabilità di dare loro un posto nel mondo. E dove possano stare e crescere con fiducia. Alla maggior parte dei bambini ciò è garantito dai genitori naturali, ovvero da quelli che li hanno concepiti. Ma per molti bambini, perché privi di genitori, o perché questi non sono in grado di fare fronte alle proprie responsabilità, chi si prende questa responsabilità sono altri: uno o più nonni, degli zii, dei genitori adottivi, o anche dei genitori affidatari. Opportunamente la Convenzione dei diritti del fanciullo non specifica la forma istituzionale che devono avere questi "altri": se debbano essere per forza una coppia, e se questa debba essere eterosessuale e sposata. Perché nelle culture e pratiche familiari presenti nei vari paesi la responsabilità genitoriale può essere più o meno condivisa e la coppia avere maggiore o minore centralità. Ciò che conta, per un bambino, è di essere accolto. Tanto più quando è segnato da un'esperienza di abbandono o di perdita. (…). Non è sempre detto che due genitori, che siano naturali o adottivi, siano meglio di uno. La capacità genitoriale non è il risultato di un rapporto di coppia (e solo se questo è sanzionato dal matrimonio), ma in primo luogo una capacità che emerge e sviluppa nella interazione con un bambino. Il rapporto di coppia può rafforzare questa capacità nella comune assunzione di responsabilità. Ma può anche configgere con essa, o farvi resistenza. Quindi non può essere assunto come un requisito dogmatico imprescindibile. Soprattutto, quando un bambino privo di genitori incontra l'amore e l'accoglienza di un adulto, è alla capacità genitoriale di questi, e alla sua adeguatezza ai bisogni di quel bambino che occorre guardare. Sapendo che crescendo quel bambino, come tutti gli adottati, dovrà elaborare sia la conoscenza della perdita o abbandono dei genitori, sia l'acquisizione di almeno un genitore. Tratto da “Diritti veri e coscienza falsa” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 12 di marzo dell’anno 2016: L'appello ai principi, quando si tratta di riconoscere l'uguaglianza senza discriminazioni in base all'orientamento sessuale, copre interessi politici e ipocrisie. (…). Quando un problema è sottoposto all'attenzione legislativa non ha più alcuna possibilità di essere preso in considerazione nei termini in cui si propone, perché diventa una occasione di contrapposizioni politiche generate non dalla natura del problema, ma dal consenso e quindi dal vantaggio elettorale che si può trarre dicendo sì o no alle varie soluzioni. Naturalmente questa logica, sottesa a tutte le discussioni parlamentari, non è solo sottaciuta, ma del tutto taciuta e ammantata da appelli a principi, neppure esaminati o discussi ma espressi in forma di slogan del tipo: "Tutti i bambini hanno diritto a un padre e a una madre", per ottenere un facile consenso da quanti non hanno tanta consuetudine col pensiero, con l'argomentazione, con la riflessione. Tutto ciò, quando è ben confezionato, viene venduto come democrazia, anche se Platone, che l'ha ideata, diceva che senza un'adeguata istruzione il popolo si lascia sedurre dalla falsa retorica dei sofisti. (…). Non trascuriamo poi l'uso e l'abuso della parola "coscienza", carica di tutte quelle "obiezioni" che nascono dalle convinzioni personali, dall'educazione ricevuta, dalla convenienza politica, dalla volontà di non apparire troppo lontani dal magistero dei vescovi. Come se tutti questi criteri soggettivi e interessati fossero idonei, anche se ammantati dalla nobiltà della parola "coscienza", a decidere sul dato oggettivo che è l'esistenza di coppie di fatto senza diritti, e di bambini che già vivono con genitori nessuno dei quali è adottivo perché uno è naturale e l'altro non può adottare. A legge fatta, sarebbe bello che chi l'ha votata facesse questa volta sì l'esame della propria coscienza, sulle ragioni che hanno determinato il suo voto. Non ragioni scientifiche, perché nessuna ricerca dimostra che i figli adottati da coppie omosessuali crescono squilibrati. Non ragioni religiose, perché in uno stato laico queste non dovrebbero intervenire. Non ragioni a difesa dei principi (come oggi vengono impropriamente chiamate le consuetudini sociali provenienti dalla tradizione) perché, come insegna Papa Francesco, le persone vengono prima dei principi. E allora in base a che cosa una classe politica decide che i diritti degli omosessuali debbano essere inferiori a quelli degli eterosessuali, e che l'orientamento sessuale debba essere una discriminante tale da invalidare il principio costituzionale dell'uguaglianza davanti alla legge? (…).

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