"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 10 aprile 2025

Lavitadeglialtri. 80 Pino Arlacchi: «Nei secoli la violenza della Bibbia ha continuamente prevalso sul Vangelo, costituendo un modello che ha ispirato le Crociate, le guerre di religione, l’espansione coloniale oltreoceano, il genocidio dei nativi americani e altri crimini fino a Gaza».

          Sopra. Immagine, dall'ultimo eccidio di giornalisti, pervenuta da Gaza.
 
Da domenica sera vivo in una paura che non riesco a descrivere. Dopo i continui ordini di evacuazione dell’esercito israeliano, questa volta le aree che l’esercito ha ordinato di evacuare sono a soli 400 metri di distanza dal mio rifugio a Deir al Balah. Immaginate, solo 400 metri mi separano da un’ampia zona di evacuazione, e non so se saremo presi di mira e considerati danni collaterali a causa di questa distanza. Io e la mia famiglia non riusciamo più a dormire. Abbiamo fatto le valigie di nuovo, nel cuore della notte, mentre gli aerei bombardavano. Ho indossato tutti i miei vestiti in modo da poter uscire di corsa se un attacco dal cielo avesse colpito vicino a noi. Ma non sappiamo dove andare, perché non abbiamo un posto e nemmeno un mezzo di trasporto per spostarci. Mentre il mondo dormiva, è stata bombardata una tenda per giornalisti all’ospedale Nasser di Khan Younis. L’immagine dei reporter bruciati vivi si è diffusa, senza alcuna reazione da parte del mondo. I giornalisti Youssef Al-Khuzendar e Helmy Al-Faqawi sono stati uccisi. Abbiamo visto bruciare il corpo del giornalista Ahmed Mansour, corrispondente di Palestine Today. Le telecamere hanno ripreso il momento in cui è stato colpito mentre era seduto alla sua scrivania, lavorando in una tenda all’interno dell’ospedale. Ho anche visto un video del giornalista Ihab Al-Bardini, della mia città natale, Al-Maghraqa, e mio vicino di casa. Sono tutte scene che non posso descrivere. Come può il mondo continuare a guardarle? In un mondo moderno, come è possibile che i giornalisti siano presi di mira in modo così brutale e criminale? Gli occupanti hanno dichiarato che lo scopo di questo bombardamento era quello di uccidere il giornalista Hassan Aslih. Aslih ha documentato tutte le scene di massacro contro i civili dall’inizio dell’aggressione e ha svolto il suo lavoro giornalistico in piena trasparenza e integrità. (Tratto da “Indosso tutti i miei vestiti per la fuga. Intanto i reporter qui bruciano vivi”, corrispondenza da Gaza di Aya Ashour, pubblicata su “il Fatto Quotidiano” dell’8 di aprile 2025).

“Lo sterminio a Gaza è il male oscuro del nostro Occidente”, testo di Pino Arlacchi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 9 di aprile 2025: Come è possibile che a Gaza, negli stessi luoghi di analoghi misfatti descritti dalla Bibbia, l’esercito israeliano armato dagli Usa stermini senza pietà donne e bambini a migliaia senza suscitare reazioni di orrore in Occidente? La risposta viene da lontano, e sta nel male oscuro che continua ad affliggere l’Occidente nonostante i suoi tentativi di curarlo. L’arma di affamare una popolazione assediata per farla arrendere o annichilirla è vecchia quanto l’Iliade e la Bibbia. La morte per inedia e maltrattamenti delle popolazioni ostili o ridotte in schiavitù è stata per lungo tempo, per i poteri occidentali, una possibilità che rientrava nell’ordine naturale delle cose. Nell’antichità greco-romana madre dell’Occidente, giustizia voleva dire vendetta e il concetto di giustizia era completamente arcaico. Esso includeva il genocidio, come quando Agamennone rimprovera il fratello Menelao d’aver compassione per un ostaggio che lo implora di non ucciderlo: “… Perché mai tanti riguardi per questi uomini? Ti hanno proprio fatto così del bene a casa tua? No. Di loro qui nessuno ha da sfuggire alla morte. Neanche il piccolo che la madre si porta ancora in grembo – no, neppure quello scamperà. Devono scomparire tutti insieme…”. E Omero approva, dicendoci che quest’esortazione di Agamennone, date le sue “buone ragioni”, coglie nel segno e convince il fratello. Dovevano passare mille anni perché una più evoluta idea di vendetta/giustizia si affermasse in Occidente, giungendo a includere la proporzionalità e la clemenza, e a escludere l’annichilimento del nemico e di tutta la sua stirpe. Ed è su questo sfondo che dobbiamo collocare la massima biblica dell’“occhio per occhio e dente per dente”. La legge del taglione fu un progresso. Essa significava che occorreva limitarsi a togliere solo un occhio per ogni occhio, piuttosto che uccidere il trasgressore e tutti i suoi parenti. Questa evoluzione dal genocidio alla proporzionalità dell’atto di vendetta si accompagna alla progressiva distinzione tra responsabilità individuale e colpa collettiva. Ma la tensione tra queste diverse concezioni della guerra e della vendetta/giustizia, in realtà, non si è mai sciolta in Occidente. È divenuta minoritaria perché sopravanzata dal processo di incivilimento, per poi tornare alla ribalta nei nostri giorni, con genocidi e crimini contro l’umanità il cui ritorno veniva ritenuto impossibile. L’Olocausto nazista e il genocidio di Gaza sono due tristi esempi di ciò. Nei secoli la violenza della Bibbia ha continuamente prevalso sul Vangelo, costituendo un modello che ha ispirato le Crociate, le guerre di religione, l’espansione coloniale oltreoceano, il genocidio dei nativi americani e altri crimini fino a Gaza. Il Vaticano dei cattolici è stato simbolo di corruzione e di violenza lungo l’intera epoca moderna, mentre i pastori protestanti hanno benedetto tutte le nefandezze europee nel Nuovo Mondo. Si è dovuti arrivare al XX secolo per trovare Papi che hanno iniziato a ripudiare la guerra, e ai nostri giorni per avere Francesco, il cui Pontificato si è caratterizzato per la condanna alla guerra in quanto tale, senza se e senza ma. È vero che la tradizione occidentale della guerra è variegata, includendo le guerre di conquista, di conservazione dello status quo e le guerre imperiali. Ma in fondo a ogni guerra c’è sempre stata, e c’è, l’opzione dell’herem, dell’annientamento puro e semplice del nemico, a dispetto degli stessi scopi iniziali del conflitto. Ed è stato proprio il maggiore studioso della guerra occidentale, von Clausewitz, ad ammonirci che “l’introdurre un principio di moderazione nella guerra è una vera assurdità”. Il culmine della traiettoria iniziata con i genocidi della Palestina del Vecchio Testamento è stata l’invenzione dell’arma più conforme al genocidio: la bomba atomica creata dai vertici della scienza occidentale, e usata dagli americani a Hiroshima e Nagasaki. La guerra atomica globale è la versione ultima dell’herem biblico. È il regalo che la vocazione distruttiva e autodistruttiva dell’Occidente ha fatto a se stesso e al resto del mondo. Gli imperi si sono autocelebrati definendosi come portatori di stabilità e di pace. In realtà, la “pacificazione” è consistita nell’uso della violenza senza freni contro ogni insubordinazione. Di fronte alla ribellione, l’ultima ratio del potere imperiale è stata quasi sempre il genocidio. È così che si sono comportate due potenze “democratiche” come Atene e Roma. L’annichilimento della popolazione di Melos da parte di Atene viene giustamente ricordato come uno dei primi genocidi. Una tipica campagna di conquista come quella della Gallia da parte di Giulio Cesare o della Giudea da parte dell’imperatore Adriano poteva costare centinaia di migliaia di vittime civili. La mentalità genocidiale s’è trasmessa quasi intatta dall’antichità al Medioevo. Il genocidio come strumento di governo s’è trascinato per i secoli successivi e fin dentro il Novecento. L’opzione dello sterminio totale fu tenuta sul tavolo dai poteri metropolitani che si trovarono a fronteggiare popolazioni che sostenevano la guerriglia e i movimenti di liberazione nazionale. In Corea, Algeria, Vietnam, Laos e altrove, i regimi democratici imperiali hanno rinunciato con riluttanza a usare le tattiche d’annientamento. Il fattore decisivo per la cessazione dei genocidi imperiali durante la decolonizzazione postbellica e fino adesso, non è stato la capacità militare delle forze ribelli ma l’evoluzione dell’opinione pubblica nei territori metropolitani. Questa ha condannato con veemenza sempre maggiore le pratiche di sterminio e ha fatto dipendere i risultati elettorali dal comportamento dei governi su questo tema, creando nel contempo il cosiddetto “tabù atomico”. Gli eserciti metropolitani si sono trovati così nell’impossibilità di vincere guerre contro piccole entità ribelli. Non potendo usare le armi della distruzione totale, sono stati costretti a ritirarsi. L’ultimo episodio è la ritirata ignominiosa Usa dall’Afghanistan nel 2021, dopo 20 anni di occupazione militare. Una diagnosi approfondita del male oscuro che affligge la civiltà occidentale fin dai suoi albori non è stata ancora fatta. Alcune grandi menti hanno percepito il destino tragico dell’Occidente senza darne una vera spiegazione. La vita dell’Europa sembra come sovrastata da un indelebile difetto primordiale che la condanna al declino e alla fine. Questo ordine di idee è inchiodato all’intuizione di Nietzsche sul nichilismo europeo, cioè sul cupio dissolvi dell’Occidente. La guerra senza freni ha finito col trionfare, da noi, su ogni altra cultura militare. Questa stessa tradizione ha portato al disastro della prima guerra mondiale combattuta quasi esclusivamente tra stati europei. La Seconda guerra mondiale ha completato la rovina iniziata dalla prima e ha introdotto nella scena le armi nucleari, che sono l’avveramento della massima di Nietzsche, nonché la negazione dell’idea che la guerra sia la continuazione della politica. Ma è tempo di andare avanti, perché anche le civiltà possono crescere, imparare dagli errori e curare le proprie patologie. È tempo d’andare avanti perché altri aspetti del destino occidentale – quelli del lato illuminato della sua storia – hanno creato le condizioni per un possibile superamento del male oscuro. Può anche darsi che ci troviamo al fondo di una breve caduta, pronti per un nuovo rimbalzo come quello avvenuto dopo il 1945.

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