"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 29 marzo 2021

Virusememorie. 67 «Questa è l'Età dell'invidia, del risentimento, del sovranismo psichico. Ma è stato il Covid a farla esplodere».

A lato. L'"Invidia" del pittore Jacques Backer.

Ha scritto Indro Montanelli in “Soltanto un giornalista” – Rizzoli editore (2003), pagg. 368, euro 10 - : (…). Questo Paese è quello che è – ignorante, superficiale, capace di qualche effimero furore, ma non di veri e propri sentimenti e risentimenti morali - perché così l’ha fatto la scuola ed è la politica che ha fatto la scuola così. (…). "Sentimenti e/o (ri)sentimenti al tempo della “pandemia”. Tratto da “L’invidia ai tempi della pandemia” della scrittrice Elvira Seminara, pubblicato sull’inserto di Palermo del quotidiano “la Repubblica” del 25 di marzo 2021:

Invidioso crepa. La moto-ape sbuffa nel caos di Catania, zona porto, sotto il peso di sedie rotte e tubi marci. La scritta ammicca sul cofano ammaccato, a passo d'uomo: "invidioso crepa". Cosa dovremmo invidiare al conducente non è chiaro, ma è una storia vecchia: la scritta trionfava nell'Isola già nei carretti antichi con gli asini, in un tripudio di corni e peperoncini. Un occhiuto storico del Cinquecento, Scipio di Castro, ci ha pure diffamato nei secoli: "I siciliani sono per natura invidiosi", e nella sua guida turistica a metà Ottocento il barone Mortillaro ha osato dire che "i palermitani sono litigiosi, ostinati e invidiosi delle fortune altrui". Di "meschini sentimenti di invidia e gelosia" contro Giovanni Falcone parla persino la sentenza della Corte di Cassazione nel processo seguito alla strage, e vittime di odio, invidia e persecuzioni - si sono spesso sentiti anche i mafiosi, primo fra tutti il boss Calogero Vizzini che nel testo del santino funebre (scritto dai congiunti) subiva "odio e invidia a bara ancora aperta". Modestia a parte forse abbiamo primeggiato, ma mentre (corno in tasca) ne parliamo, l'invidia è nel mondo fra i sentimenti più diffusi. È stato il primo lockdown, fra interviste in tv e vetrine social, video e sguardi dietro la tenda, a insinuare il dubbio che tutti, vip o vicini di casa, avessero qualcosa in più di noi - soldi, giardino, salute, un lavoro certo, giovinezza, famiglie allegre, terrazzi in fiore, talenti artistici e torte fumanti. Confessiamolo, almeno dentro di noi, nel segreto di questa lettura: lo siamo diventati tutti, chi più chi meno, a balzi, a sorpresa, a malincuore. Invidiosi. Lo eravamo già prima, ci avevano allertati, da papa Francesco al Censis passando per le serie tv grondanti di trappole e gelosie: questa è l'Età dell'invidia, del risentimento, del sovranismo psichico. Colpa anche delle esibizioni social, sì. Ma è stato il Covid a farla esplodere, rivelando ciò che era nascosto o solo rimosso: le differenze di classe, di status, di reddito, di fortuna, età, salute. Non le avevamo mai viste con tanta e spietata chiarezza. Nel silenzio delle città spente, nella paura del contagio, dispersi gli amici e gli incontri, ci ritroviamo soli, frastornati, nudi. Pieni di dubbi e rimpianti, improvvisamente rancorosi, inadeguati, sospettosi, diffidenti. Impoveriti di tutto - occasioni soldi relazioni progetti scambi. Di orizzonte. Come beffati, o defraudati di qualcosa. Smascherati - anche dal vero - a noi stessi. Con questo disagio, incupiti da ombre moleste, fra vergogna e rabbia, sensi di colpa e frustrazione, cerchiamo sollievo dagli psicoterapeuti - mai così impegnati. Chiediamo un nome, e un senso, a sentimenti nuovi nell'intensità e nelle forme. Innanzitutto, un po' di autoindulgenza. L'invidia è il sentimento più umano. Il più antico - dalla Bibbia al teatro di Shakespeare - e connaturato. Tanto ancestrale che alcuni etologi lo attribuiscono anche agli animali. Rosichiamo già neonati, invidiando il seno materno ( lo sostiene la grande analista Melanie Klein) e continuiamo da adulti, per masochistico paradosso, con "l'auto-invidia" di un Io rissoso. E l'odio, diceva Freud, nasce prima dell'amore. René Girard lo chiama il " conflitto mimetico" e lo pone, in quanto atto emulativo- distruttivo, alla base della dinamica sociale. Cerchiamo un " capro espiatorio", diceva già quarant'anni fa, e il resto è cronaca, fra untori, politici "inetti" e virologi "ignoranti". Lo siamo da sempre uomini e donne, fate ed eroi, regine e re - Lucifero, Adamo ed Eva, Aracne, Venere, Saul, Giuda, le sorellastre di Biancaneve, il vicino col prato più verde. Invidiosi. Però manco a dirlo è femmina, e vecchia, l'invidia nell'iconografia (solito immaginario sessista e calunnioso). Giotto nella cappella degli Scrovegni la dipinge gobba e mostruosa, con un serpente che le esce di bocca e cava gli occhi, e donne cornute e indemoniate, coi seni deformi, sogghignano nelle incisioni antiche tra Callot, de Backer, Jacob Matham. Tant'è: "L'invidia è la forza dei cornuti", canta un proverbio siciliano. Ma se fosse, anche, un vuoto di parole prima che di spirito? I sentimenti cambiano nel tempo in qualità e segno, e invece le parole no, restano quelle e poche. Nella nostra lingua abbiamo solo questo lemma stretto e livido, "invidia", che nell'etimo significa " mal vedere", cioè guardare con malevolenza. Dante per questo, nel suo Purgatorio, descrive gli occhi dei peccatori cuciti col fil di ferro, e non è un caso se diciamo "accecato dall'invidia". O "malocchio". Ma altre lingue (tedesco, olandese) hanno diverse parole per dire con varietà e comprensione un sentimento così duttile e ambivalente. " L'invidia è un pensiero triste ", diceva San Tommaso. Ma ne siamo certi? "Non può esserci democrazia senza invidia", cioè senza desiderio ed emulazione, diceva Russell nella "Conquista della felicità" degli anni Trenta, che però ci irretì negli Ottanta. Insomma. Coltiviamolo pure il peperoncino scaramantico sul balcone, contro l'invidia degli altri, ma perdoniamoci tutti. L'invidia non è "figlia della mediocrità", come diceva Annah Arendt. Semmai, oggi, figlia della labilità. Siamo tutti diversamente labili. Il termine invidia non sa dire la tristezza rabbiosa di oggi, quel pieno di sconforto e desiderio, sperdimento e rancore, quel mix di fragilità e sgomento, abbandono e insignificanza che nella presunta gioia dell'altro si rivela - e ti ferisce. Dove l'altro non è un nemico personale, ma lo schermo della tua paura. Legittima paura. Tutti i bambini provano invidia, è naturale. E il Covid ci ha reso impauriti, più soli, più bambini.

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