"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 9 marzo 2021

Virusememorie. 62 Marzo 2020: «Il mondo è un convoglio che si ferma. Ne sento il cigolio».

A lato. "Faro di Capo d'Orlando" (2020), acquarello di Anna Fiore. 

Ha scritto Franco Arminio in “Pericolo", pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del primo di marzo dell’anno 2020: Il mondo se non è pericoloso è scialbo.

E vale anche per la nostra vita. Per essere viva deve essere pericolosa, ma facendo attenzione a non correre pericoli gravi. La vita senza pericoli è letteralmente inutile, non la sentiamo, ci sembra di masticare a vuoto. Del resto il pericolo della morte è sempre presente per ognuno. Prima che da un virus dovremmo ricordare che noi abbiamo delle vene sottilissime nel cervello che si possono squarciare all’improvviso e non c’è nessun esame che ci può evitare questo rischio. Nessun essere umano in nessun luogo del mondo può affermare con certezza che fra dieci minuti sarà ancora vivo. Noi dobbiamo capire che la vita di ognuno di noi e la vita di tutti si svolge dentro una cornice misteriosa. Nessuno può affermare, se non ricorrendo alla fede, come sono andate le cose e come andranno a finire. Non conosciamo i limiti dell’universo e neppure quelli della nostra anima. Non sappiamo davvero cosa siamo e cosa vogliamo. E quando pensiamo di saperlo rischiamo di essere pericolosi per noi stessi e per gli altri. Gli esseri immuni dal dubbio costruiscono un mondo granitico che poi crolla alla prima occasione. L’Italia non è una nazione a sangue freddo e questo non è un male, ma abbiamo la necessità di uscire da questa scontentezza collettiva, da questa bulimia di massa per cui a nessuno basta più niente: i poveri non vogliono essere poveri e i ricchi non si sentono mai abbastanza ricchi. Il coronavirus a un certo punto attenuerà la sua virulenza, il virus del rancore sarà sempre più vivo se non cogliamo questa occasione per diventare una nazione matura e coesa, civile e coraggiosa. Una nazione non è solo le sue industrie o le sue autostrade, è anche la sua lealtà, la sua tenuta morale. Queste giornate sono una palestra per darci vigore. Non dobbiamo illuderci di poterci immunizzare dal pericolo, dobbiamo attraversarlo sapendo che oltre al virus ci sono altri guasti che ci attendono, a partire dal disastro climatico. Il lunedì 9 di marzo dell’anno 2020 – s. Francesca Romana - l’Italia sprofondava nel “lockdown”. La “memoria” di seguito riportata - “Io, viaggiatore in una stanza: ora la frontiera è la porta di casa” - di Paolo Rumiz è stata pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 15 di marzo 2020: Ho sempre riempito taccuini viaggiando. Ebbene, da quando la mia libertà di movimento è finita per via della peste, pensieri nuovi escono a torrenti. Pensieri da fermo. Così tanti che devo fissarli in un quaderno. Metto a bagno i fagioli e penso. Guardo dalla finestra e prendo appunti. Impasto farina e lievito e scrivo. Un effetto del silenzio, credo. Usciti dal frastuono del troppo, vediamo più chiaro. Ed è strano, per un nomade, viaggiare in una stanza e accorgersi che tante cose possono accadere in uno spazio dove la frontiera è la porta di casa e, talvolta, la pelle del proprio corpo. 11 marzo. Esco in bici per l'ultima volta. La pista che porta in Slovenia è un lieto pellegrinaggio di gente in fuga dalla reclusione. Cielo pulito, niente scie di aerei. Il mondo rallenta, era ora. Ma mi vergogno pensando a chi è costretto ad accelerare per consentire a noi privilegiati il lusso della lentezza. Ho davanti agli occhi l'immagine dell'infermiera lombarda stremata che dorme a fine turno, con la testa sul tavolo. La Slovenia ha chiuso la frontiera. I suoi contadini hanno piazzato pietre anche sui confini minori. Contro di noi. Li capisco. Ma mi dispiace che si illudano di stoppare i microbi con una sbarra. Non mi dispiace, invece, per i sovranisti di qui, che fino a ieri volevano alzare muri con la Slovenia per via dei migranti. Ben gli sta. Ma che patetica, doppia illusione. Patetica imitazione di una cortina di ferro, in cui non si capisce più chi blinda chi. Verso le 17 lo spavento arriva di colpo, dopo mille notizie contraddittorie. Tutti a casa. Nel giro di un'ora strade vuote, spettrali, come per un allarme aereo. Tra casa mia e il negozio di alimentari solo due anziani con nipotini, un cinese con mascherina e quattro afgani (o pachistani?) che svuotano immondizie. Respiro a pieni polmoni, il tramonto è magnifico, si vedono le Alpi oltremare. Una fioraia: non la angoscia tutto questo silenzio? La Protezione Civile si spinge fin nelle frazioni più sperdute del Carso con auto munite di megafoni. Echi lugubri nel bosco. Parole come "È severamente proibito" spaventano pernici e caprioli. Temo che solo la paura possa far sì che la gente capisca. Chiunque va in giro deve esibire la sua autocertificazione. Siamo allo stato di polizia? Mi chiedo se l'ultraliberismo che abbiamo votato ci stia portando alla fine della libertà. (…). 

12 marzo. Decido per l'auto-reclusione. Ho 72 anni, categoria a rischio. Fa la spesa Irene, che ne ha 22 di meno, con le prudenze del caso. Guanti, disinfettante, eccetera. Al rientro, racconta che nelle code al supermarket si respira tensione da contagio. Ed è la rivincita dei piccoli negozi. Meglio le panetterie, le pescherie, i fruttivendoli tradizionali, dove si fa la fila all'aperto. Il gigantismo fa acqua. Il consumismo pure. Intanto la credenza diventa una cambusa. Trionfano pasta e salsa di pomodoro, come in barca a vela. Si ascolta la radio con devozione, a ore fisse, come Radio Londra sotto il fascismo. La Tv irrita, troppa confusione ansiogena. È la rivincita della voce sulle immagini. In momenti così si ha bisogno di parole. Poche e chiare. Inutile farsi opinioni personali su qualcosa che non si sa. La parola torna e sbugiarda la civiltà dell'apparire. Si naviga meno anche su internet. Meglio telefonarsi. Il mondo è diventato piccolo di colpo. Robert da New York che si avvia alla quarantena: "La crisi del 2008 non cambiò le cose, gli stati salvarono gli speculatori. Oggi no, trema tutto il sistema. Mutazione irreversibile". Sì, ma abbiamo una classe politica capace di imparare la lezione? Guai se tutto questo non servisse a niente. Scorro l'agenda che si svuota. Saltati viaggi a Dublino, Venezia, Parigi, Vienna, Granada. Ne ho sollievo. Posso finalmente concentrarmi sulla scrittura del nuovo libro. Comincio riordinando il comodino strapieno. Tolgo il superfluo. Serve a pulire gli scaffali della mente. Provo a lavorare sulla mia storia ma... niente da fare. L'oggi è troppo interessante.

13 marzo. Torna attuale un profetico manifesto di Marina Abramovic - "Siamo tutti sulla stessa barca" - lanciato nel 2018 per la più grande regata del Mediterraneo, la Barcolana, che si svolge a Trieste. Allora la Destra locale ne impose il ritiro. Non si potevano affratellare le barche dei "nostri" con quelle dei migranti. La Sinistra cedette. Se non l'avesse fatto, oggi potrebbe ricacciare in gola quell'ostracismo a chi sappiamo. Altra occasione persa. (…). Non arrivano più navi da crociera. Alla Fincantieri di Monfalcone i lavori di costruzione dei giganti da 5000 passeggeri rallentano. I lavoratori del Sudest asiatico, chiamati per abbassare i costi, restano a bagnomaria e bighellonano per strada, lasciando le mogli a casa. Ma gli "indigeni" sono stanchi di loro, non della Fincantieri che li sfrutta. E votano Destra. Code mostruose di camion al confine sloveno da Gorizia a Trieste. Altrettante fra Slovenia e Croazia. Il mondo è un convoglio che si ferma. Ne sento il cigolio. Scenari di autarchia nel tempo della globalizzazione.

14 marzo. Si riattivano i contatti da balcone a balcone. Quello di Eleonora è a tre metri dal mio, distanza regolamentare. Ci facciamo un caffè ciascuno nel suo perimetro, chiacchierando. Lei lavora a eventi musicali e assiste come me allo smantellamento dell'agenda. Il mondo dello spettacolo è in apnea, ma lei è contenta di vivere un momento-chiave. "Si torna a ragionare in termini di bene comune. Era ora". Il mondo si è rovesciato. Gli amici di Bosnia sono in pena per noi. Quasi trent'anni fa eravamo noi in pena per loro. Amela, musulmana, scrive: "Coraggio amici italiani, so che non mollerete. L'amore si sperimenta solo quando si ha paura per il prossimo. È la testimonianza dell'amore originario". Già. Si resta a casa non per sé stessi, ma per gli altri. Per non intasare gli ospedali e non mettere in pericolo qualcuno. Grazie Sarajevo. Gorizia, che ha il confine in mezzo, è di nuovo divisa. Polizia e milizia territoriale slovena sono tornate sugli stessi posti di blocco del 1991, quando iniziò la tragedia jugoslava. Tornano anche gli anni Cinquanta, clima da guerra fredda. Intorno, sui colli dell'Isonzo, le trincee della Grande Guerra.

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