A lato. "Faro di Capo d'Orlando" (2020), acquarello di Anna Fiore.
Ha
scritto Franco Arminio in “Pericolo", pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del primo di marzo dell’anno 2020: Il
mondo se non è pericoloso è scialbo.
E vale anche per la nostra vita. Per
essere viva deve essere pericolosa, ma facendo attenzione a non correre
pericoli gravi. La vita senza pericoli è letteralmente inutile, non la sentiamo,
ci sembra di masticare a vuoto. Del resto il pericolo della morte è sempre
presente per ognuno. Prima che da un virus dovremmo ricordare che noi abbiamo
delle vene sottilissime nel cervello che si possono squarciare all’improvviso e
non c’è nessun esame che ci può evitare questo rischio. Nessun essere umano in
nessun luogo del mondo può affermare con certezza che fra dieci minuti sarà
ancora vivo. Noi dobbiamo capire che la vita di ognuno di noi e la vita di
tutti si svolge dentro una cornice misteriosa. Nessuno può affermare, se non
ricorrendo alla fede, come sono andate le cose e come andranno a finire. Non
conosciamo i limiti dell’universo e neppure quelli della nostra anima. Non
sappiamo davvero cosa siamo e cosa vogliamo. E quando pensiamo di saperlo
rischiamo di essere pericolosi per noi stessi e per gli altri. Gli esseri
immuni dal dubbio costruiscono un mondo granitico che poi crolla alla prima
occasione. L’Italia non è una nazione a sangue freddo e questo non è un male,
ma abbiamo la necessità di uscire da questa scontentezza collettiva, da questa
bulimia di massa per cui a nessuno basta più niente: i poveri non vogliono
essere poveri e i ricchi non si sentono mai abbastanza ricchi. Il coronavirus a
un certo punto attenuerà la sua virulenza, il virus del rancore sarà sempre più
vivo se non cogliamo questa occasione per diventare una nazione matura e coesa,
civile e coraggiosa. Una nazione non è solo le sue industrie o le sue
autostrade, è anche la sua lealtà, la sua tenuta morale. Queste giornate sono
una palestra per darci vigore. Non dobbiamo illuderci di poterci immunizzare
dal pericolo, dobbiamo attraversarlo sapendo che oltre al virus ci sono altri
guasti che ci attendono, a partire dal disastro climatico. Il lunedì 9
di marzo dell’anno 2020 – s. Francesca Romana - l’Italia sprofondava nel “lockdown”.
La “memoria” di seguito riportata - “Io,
viaggiatore in una stanza: ora la frontiera è la porta di casa” - di Paolo
Rumiz è stata pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 15 di marzo 2020: Ho
sempre riempito taccuini viaggiando. Ebbene, da quando la mia libertà di
movimento è finita per via della peste, pensieri nuovi escono a torrenti.
Pensieri da fermo. Così tanti che devo fissarli in un quaderno. Metto a bagno i
fagioli e penso. Guardo dalla finestra e prendo appunti. Impasto farina e
lievito e scrivo. Un effetto del silenzio, credo. Usciti dal frastuono del
troppo, vediamo più chiaro. Ed è strano, per un nomade, viaggiare in una stanza
e accorgersi che tante cose possono accadere in uno spazio dove la frontiera è
la porta di casa e, talvolta, la pelle del proprio corpo. 11 marzo. Esco in
bici per l'ultima volta. La pista che porta in Slovenia è un lieto
pellegrinaggio di gente in fuga dalla reclusione. Cielo pulito, niente scie di
aerei. Il mondo rallenta, era ora. Ma mi vergogno pensando a chi è costretto ad
accelerare per consentire a noi privilegiati il lusso della lentezza. Ho
davanti agli occhi l'immagine dell'infermiera lombarda stremata che dorme a
fine turno, con la testa sul tavolo. La Slovenia ha chiuso la frontiera. I suoi
contadini hanno piazzato pietre anche sui confini minori. Contro di noi. Li
capisco. Ma mi dispiace che si illudano di stoppare i microbi con una sbarra.
Non mi dispiace, invece, per i sovranisti di qui, che fino a ieri volevano
alzare muri con la Slovenia per via dei migranti. Ben gli sta. Ma che patetica,
doppia illusione. Patetica imitazione di una cortina di ferro, in cui non si
capisce più chi blinda chi. Verso le 17 lo spavento arriva di colpo, dopo mille
notizie contraddittorie. Tutti a casa. Nel giro di un'ora strade vuote,
spettrali, come per un allarme aereo. Tra casa mia e il negozio di alimentari
solo due anziani con nipotini, un cinese con mascherina e quattro afgani (o
pachistani?) che svuotano immondizie. Respiro a pieni polmoni, il tramonto è
magnifico, si vedono le Alpi oltremare. Una fioraia: non la angoscia tutto
questo silenzio? La Protezione Civile si spinge fin nelle frazioni più sperdute
del Carso con auto munite di megafoni. Echi lugubri nel bosco. Parole come
"È severamente proibito" spaventano pernici e caprioli. Temo che solo
la paura possa far sì che la gente capisca. Chiunque va in giro deve esibire la
sua autocertificazione. Siamo allo stato di polizia? Mi chiedo se
l'ultraliberismo che abbiamo votato ci stia portando alla fine della libertà. (…).
12 marzo. Decido per l'auto-reclusione. Ho 72 anni,
categoria a rischio. Fa la spesa Irene, che ne ha 22 di meno, con le prudenze
del caso. Guanti, disinfettante, eccetera. Al rientro, racconta che nelle code
al supermarket si respira tensione da contagio. Ed è la rivincita dei piccoli
negozi. Meglio le panetterie, le pescherie, i fruttivendoli tradizionali, dove
si fa la fila all'aperto. Il gigantismo fa acqua. Il consumismo pure. Intanto
la credenza diventa una cambusa. Trionfano pasta e salsa di pomodoro, come in
barca a vela. Si ascolta la radio con devozione, a ore fisse, come Radio Londra
sotto il fascismo. La Tv irrita, troppa confusione ansiogena. È la rivincita
della voce sulle immagini. In momenti così si ha bisogno di parole. Poche e
chiare. Inutile farsi opinioni personali su qualcosa che non si sa. La parola
torna e sbugiarda la civiltà dell'apparire. Si naviga meno anche su internet.
Meglio telefonarsi. Il mondo è diventato piccolo di colpo. Robert da New York
che si avvia alla quarantena: "La crisi del 2008 non cambiò le cose, gli
stati salvarono gli speculatori. Oggi no, trema tutto il sistema. Mutazione
irreversibile". Sì, ma abbiamo una classe politica capace di imparare la
lezione? Guai se tutto questo non servisse a niente. Scorro l'agenda che si
svuota. Saltati viaggi a Dublino, Venezia, Parigi, Vienna, Granada. Ne ho
sollievo. Posso finalmente concentrarmi sulla scrittura del nuovo libro.
Comincio riordinando il comodino strapieno. Tolgo il superfluo. Serve a pulire
gli scaffali della mente. Provo a lavorare sulla mia storia ma... niente da
fare. L'oggi è troppo interessante.
13 marzo. Torna attuale un profetico manifesto di
Marina Abramovic - "Siamo tutti sulla stessa barca" - lanciato nel
2018 per la più grande regata del Mediterraneo, la Barcolana, che si svolge a
Trieste. Allora la Destra locale ne impose il ritiro. Non si potevano
affratellare le barche dei "nostri" con quelle dei migranti. La
Sinistra cedette. Se non l'avesse fatto, oggi potrebbe ricacciare in gola
quell'ostracismo a chi sappiamo. Altra occasione persa. (…). Non arrivano più
navi da crociera. Alla Fincantieri di Monfalcone i lavori di costruzione dei
giganti da 5000 passeggeri rallentano. I lavoratori del Sudest asiatico,
chiamati per abbassare i costi, restano a bagnomaria e bighellonano per strada,
lasciando le mogli a casa. Ma gli "indigeni" sono stanchi di loro,
non della Fincantieri che li sfrutta. E votano Destra. Code mostruose di camion
al confine sloveno da Gorizia a Trieste. Altrettante fra Slovenia e Croazia. Il
mondo è un convoglio che si ferma. Ne sento il cigolio. Scenari di autarchia
nel tempo della globalizzazione.
14 marzo. Si riattivano i contatti da balcone a
balcone. Quello di Eleonora è a tre metri dal mio, distanza regolamentare. Ci
facciamo un caffè ciascuno nel suo perimetro, chiacchierando. Lei lavora a
eventi musicali e assiste come me allo smantellamento dell'agenda. Il mondo
dello spettacolo è in apnea, ma lei è contenta di vivere un momento-chiave.
"Si torna a ragionare in termini di bene comune. Era ora". Il mondo
si è rovesciato. Gli amici di Bosnia sono in pena per noi. Quasi trent'anni fa
eravamo noi in pena per loro. Amela, musulmana, scrive: "Coraggio amici
italiani, so che non mollerete. L'amore si sperimenta solo quando si ha paura
per il prossimo. È la testimonianza dell'amore originario". Già. Si resta
a casa non per sé stessi, ma per gli altri. Per non intasare gli ospedali e non
mettere in pericolo qualcuno. Grazie Sarajevo. Gorizia, che ha il confine in
mezzo, è di nuovo divisa. Polizia e milizia territoriale slovena sono tornate
sugli stessi posti di blocco del 1991, quando iniziò la tragedia jugoslava.
Tornano anche gli anni Cinquanta, clima da guerra fredda. Intorno, sui colli
dell'Isonzo, le trincee della Grande Guerra.
Nessun commento:
Posta un commento