Ha scritto Giovanni Valentini su “il Fatto
Quotidiano” del 27 di febbraio 2021 –
“Governo
extralarge, libertà di stampa sempre più stretta” - :
Non abbiamo fatto in tempo a
dichiarare (…) il timore che il professor Draghi, a capo del suo governo extralarge,
non riuscirà a fare una riforma della Rai per le resistenze della partitocrazia
ed ecco che il presidente del Consiglio affida la delega sull’Editoria a Forza
Italia, nella persona del sottosegretario Giuseppe Moles, uno dei fondatori del
partito-azienda. Che si tratti di una precisa scelta politica a favore di
Silvio Berlusconi, anche a prescindere dalle persone, lo dimostra il fatto che
inizialmente a quell’incarico era stato designato Giorgio Mulè, già direttore
del settimanale Panorama (Mondadori); capogruppo di FI nella Commissione di
Vigilanza sulla Rai e portavoce unico dei rispettivi gruppi parlamentari alla
Camera e al Senato; trasferito poi all’ultimo momento alla Difesa. (…). Non è
certamente questo l’unico sfregio inferto all’immagine e alla credibilità della
variegata compagine guidata da Mario Draghi. E non è neppure il più grave. (…).
Sta di fatto che oggi, sotto il governo Draghi, un partito accreditato all’8%
nei sondaggi controlla i gangli vitali dell’informazione. Oltre all’Editoria
con il neo sottosegretario Moles, Forza Italia detiene la presidenza della
Vigilanza con Alberto Barachini, ex giornalista Mediaset, che ora potrebbe
cedere il posto a un’esponente unica dell’unica minoranza come Daniela
Santanchè (FdI). Le mani del partito-azienda si allungano sulla Rai con la
presidenza di Marcello Foa, sostenuto a suo tempo da M5S, Lega e “Fratelli di
Forza Italia”, prima bocciato e poi rieletto con una votazione a dir poco
controversa, di cui la presidenza del Senato – rappresentata dalla forzista
Maria Elisabetta Casellati – rifiuta la verifica delle schede. E infine, il
Biscione presidia lo Sviluppo economico che si occupa di telecomunicazioni, con
il neo viceministro Pichetto Fratin a fianco del leghista Giorgetti. Sembra
quasi di tornare indietro nel tempo, al fatidico ventennio berlusconiano. (…).
Se qualcuno immaginava o sperava che in questo campo Draghi si sarebbe mosso
nel solco di Carlo Azeglio Ciampi, suo illustre predecessore, può mettersi
l’anima in pace. Evidentemente, il presidente del Consiglio ha ben altro per la
testa: dai vaccini che non arrivano alla ripartizione dei fondi europei fra i
vari potentati politici e ministeriali. E se “Mister Bce” non fosse già da
tempo il candidato più quotato per il Quirinale, verrebbe da pensare che anche
lui deve fare la sua campagna elettorale per precostituirsi un’ampia e solida
maggioranza. Tratta da
“Con
questo governo inguardabile si torna all’Ancien Régiome”, intervista di
Silvia Truzzi al sociologo Marco Revelli pubblicata su “il Fatto Quotidiano” di
oggi mercoledì 3 di febbraio 2021:
(…). Professore, la kakistocrazia (dall’antico
greco
“κάκιστος, kàkistos”, "peggiore" e
“κράτος,
kratos”, "comando", il “comando dei peggiori” n.d.r.)
dipende
dalle nomine dei sottosegretari? - La scelta dei sottosegretari è un po’ la
“prova dei 39”, un momento di verità sulla qualità complessiva della squadra di
governo. Che è il prodotto di una media tra un piccolo gruppetto di eletti –
gli uomini del caveau, i fedelissimi dell’ex governatore di tutte le banche,
custodi del tesoretto – e una pletora che, nel suo insieme, è inguardabile. Un
mix tra cui ci sono anche persone di valore, profondamente guastato da
personaggi di infimo livello. È molto difficile immaginare come un’arlecchinata
del genere possa diventare una squadra se non considerando una sindrome
bipolare. Cioè pensando che i fondamentali siano custoditi dagli uomini del
caveau e il resto sia riservato al pollaio, che purtroppo è l’espressione della
nostra classe politica. Tutto questo lo possiamo giudicare da un punto di vista
estetico -.
Estetico? - L’estetica non è una cattiva
chiave di lettura della politica. E dal punto di vista estetico il governo è
appunto inguardabile, una specie di armata Brancaleone che non promette nulla
di buono. Se d’altra parte lo analizziamo da un punto di vista politico, è il
prodotto quasi terminale di un sistema dei partiti incapace di trovare una
soluzione e di selezionare un personale politico degno. C’è poi un terzo punto
di vista: quello del modello. Questo ci rivela una verità ancora più profonda,
rispetto al paradigma neoliberista vincente, in cui l’economia umilia la
politica, ridotta a ruolo ancillare. È una spettrografia esemplare del rapporto
tra denaro e politica: il denaro chiuso a chiave e vigilato dai fedelissimi, e
la politica ai piani bassi abbandonata al peggio di sé -.
Perché al peggio di sé? - Perché possiamo
immaginare l’uso delle cariche come megafono, occasione per far vedere che si
esiste. È la petulante presenza sulla scena di una perenne campagna elettorale
a cui Salvini ci ha abituati: le funzioni di governo sono subalterne alla
produzione di immagine e consenso. La novità è che il governo è sostenuto
praticamente da tutti, quindi anche da forze tra loro incompatibili tenute
insieme dalle circostanze. Circostanze che sono state create ad arte da un
pirata della politica, quale è Matteo Renzi. Questa accozzaglia improbabile è
il degno prodotto del soggetto che ha dato origine alla reazione a catena -.
Lei dice: non ci si può aspettare altro da
un Paese che ha accettato con entusiasmo cieco la soluzione del governo dei
migliori. Sudditi, più che cittadini? - Siamo un Paese senza speranza, allo
sbando. Abbiamo perso la capacità di osservare con lucidità il reale, per
rincorrere allucinazioni collettive: il coro urlato di leader politici e
opinion maker, più che il saluto alla soluzione della crisi, è la testimonianza
della sua gravità. Che è radicata nella dissoluzione di quelli che, in una
democrazia sana, dovrebbero essere gli anticorpi. Cioè i media, che dovrebbero
agire come difese immunitarie, una barriera contro gli eccessi di entusiasmo e
di disperazione capace di costruire un’opinione pubblica matura. Restando nella
metafora, siamo in una sindrome autoimmune: quelli che dovevano essere gli
anticorpi hanno distrutto le difese immunitarie. Si è creata un’aspettativa
mostruosa: sarà un miracolo se si riuscirà a mettere in atto una campagna
vaccinale in tempi decenti. Figuriamoci se si riusciranno a portare a termine
la riforma del fisco, della Pubblica amministrazione, della giustizia, il
risanamento del debito pubblico… Tutte le piaghe d’Egitto sanate da un re
taumaturgo: siamo piombati nell’ancien régime. Una superstizione che fa male
anche al presidente del Consiglio -.
Ecco, a proposito. Ma Mario Draghi è un
keynesiano figlio di Federico Caffè o anche qualcos’altro? - Non siamo in un
periodo in cui si possa proporre austerity: di fronte a una sfida radicale pari
a quella di una guerra, non si possono proporre politiche di austerità, nemmeno
nella loro forma espansiva. Mario Draghi però è interno al paradigma che
ritiene le privatizzazioni la via maestra, che non considera le politiche
assistenziali un tema strategico nella gestione della coesione sociale, che fa
del conto perdite-profitti il baricentro dell’azione politica. E questo è il
male del secolo, perché la politica così è diventata la suburra, quando invece
dovrebbe rappresentare la costruzione del consenso attraverso la leva della
redistribuzione e della riduzione delle diseguaglianze. Questa sarebbe la
logica del politico, contrapposta a quella dell’economista. Ma se la banca
diventa sistema di governo entriamo in un ordine di idee che dimentica gli
ultimi -.
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