A lato. "Dopo lo spettacolo" (2021), acquarello di Anna Fiore.
Chiude Claudia de Lillo – in arte Elasti- la storia
narrata in “Chiara e i pregiudizi sui
suoi occhi a mandorla”, pubblicata sul settimanale “D” del quotidiano “la
Repubblica” dell’11 di marzo dell’anno 2017, con la sconsolata convinzione che “la
storia di Chiara è quella dei nostri pregiudizi, del nostro sguardo ottuso e
della rigidità dei nostri confini. È il memento della lunga strada che ci
aspetta per diventare un paese accogliente, libero e aperto”. Scritta un
quadriennio passato la “storia” narrata da Elasti potrebbe – dico potrebbe –
dare a tutti gli uomini di “buona volontà” la misura dei passi fatti – nel frattempo
- in avanti o fatti all’indietro da questo “disossato” paese. Ecco la “storia”
di Chiara: Chiara ha circa 40 anni, una laurea in Fisica, una specializzazione in
Fisica Medica e si occupa di radioterapia in un grande ospedale. La
consuetudine professionale con la sofferenza non sembra aver scalfito l'aura di
solidità accogliente e pacata che porta con sé con ipnotica disinvoltura. Da
piccola era una bambina dotata e tenace e i suoi genitori, accortisi presto dei
suoi numerosi talenti e di un'innata disciplina nel coltivarli, la
incoraggiarono a tirarne fuori il meglio. Insieme alla maturità scientifica,
prese il diploma al Conservatorio, entrambi con il massimo dei voti, e con il
senso di onnipotenza degli adolescenti pensò che non avrebbe mai dovuto
scegliere tra la Fisica e il pianoforte perché, come un giocoliere, sarebbe
riuscita a tenere tutto insieme, la mattina scienziata, il pomeriggio
concertista. Chiara racconta del suo passato e del suo presente con il distacco
divertito e lieve di una donna risolta e in equilibrio. Rapita dal suo curriculum
e distratta dalla sua forte cadenza milanese, mi dimentico dei suoi tratti e di
un'altra storia che è il motivo per cui siamo qui insieme. Così lei tira fuori
un bagaglio di aneddoti surreali, buffi, deprimenti, esilaranti, specchio di
una società confusa e goffa che inciampa, oggi più che mai, al cospetto della
diversità anche quando è solo facciata. «Anni fa, avevo appena cambiato casa
con i miei, incontrai la nostra vicina. "Lei è la ragazza che fa le
pulizie a casa dei nuovi condomini?", mi domandò», ricorda Chiara. E
prosegue: «Ogni mattina, quando porto il cane ai giardini, un ragazzo peruviano
mi guarda con solidarietà. Un giorno mi ha chiesto: "Anche la tua padrona
vuole che il cane faccia pipì all'alba, eh?"». Di recente Chiara ha
accompagnato un'amica a comprare dei pantaloni che avevano bisogno dell'orlo.
«Non serve che venga lei a ritirarli: può mandare la ragazza», ha suggerito la
commessa all'amica, indicando Chiara. «Una paziente a cui dovevo fare un esame
in ospedale, ha commentato con l'infermiera: "Qui è tutto così pulito!
Avete persino la filippina sempre pronta a intervenire se qualcuno
sporca!"». Lei ha spalle larghe che le consentono di sorridere ogni volta
che si imbatte nell'altrui improntitudine. Ma vivere dentro una casella predefinita
deve essere terribilmente complicato e faticoso per molti non altrettanto
corazzati. Chiara, nata a Seul, è arrivata in Italia a sei mesi, con i suoi
genitori adottivi, e della Corea non ha alcuna memoria. «Non ho mai avuto il
desiderio di conoscere il mio paese di origine. Mi sento italiana, appartengo
alla mia famiglia adottiva e nei miei genitori m'identifico e mi rispecchio,
nonostante il mio viso diverso dal loro». Eppure il suo volto coreano la
inchioda quotidianamente a una storia che non è la sua, a un mondo che non
conosce, a una casella che, come spesso accade alle caselle, non le somiglia. «Un'asiatica
che fa shopping in via Montenapoleone è una donna in carriera giapponese, la
stessa asiatica al parco col cane la mattina presto è una badante filippina»,
dice, aggiungendo che le seconde generazioni di stranieri, che saranno primari,
presidi e direttori di banca, probabilmente reindirizzeranno il pensiero
comune, riplasmandolo. «Io però andrò ancora al parco con il cane la mattina
presto, quindi sarò sempre la badante filippina», conclude ridendo.
"Quanto poco vedono ciò che è, coloro che inquadrano i loro frettolosi giudizi su ciò che sembra".(Robert Southey). "È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio".(Albert Einstein). "I pregiudizi ed i preconcetti sono figli dell'ignoranza e nipoti della stupidità. Sono mostri che crescono e si ingigantiscono nella mente degli individui predisposti a queste malattie incurabili e difficilmente guaribili".(Jean-Paul Malfatti). Rileggendo questo post, mi sono soffermata a riflettere sulle conseguenze spesso gravi determinate dai comportamenti di coloro che si lasciano incatenare dai pregiudizi... Di tanto, Aldo, desidero ringraziarti, augurandoti buona continuazione.
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