“Come Anna Frank, anche per Gaza l’indifferenza è complice della strage”, testo di Francesca Fornario pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, venerdì 11 di aprile 2025: Caro direttore, facciamo un gioco. Ciascuno immagini di stare affogando in una piscina circondata da decine di bagnini. Immagini che, vedendoci affogare, nessuno dei bagnini si tuffi. Non preferiremmo affogare senza essere visti? Un ragazzo palestinese, uno delle migliaia di civili che in queste ore affidano ai social i loro messaggi di addio, spiega così come ci si sente oggi a Gaza. In quella piscina ci sono migliaia di neonati, donne e bambini. I bagnini siamo noi. “Ora basta, lasciateci soli”, dice. Non posterà più video per testimoniare l’orrore, non più cadaveri dei neonati, macerie, tendopoli in fiamme: “Prima pensavamo ‘Non ci vedono, non sanno cosa ci stanno facendo, dobbiamo riprendere tutto e postare’. Ora però sappiamo che sapete. Migliaia di video circolano nel mondo. Tutti avete visto cosa ci stanno facendo. Nessuno interviene. Ora penso che sarebbe meglio se nessuno ci vedesse. Sarebbe meno doloroso”. Un testimone in meno. Israele ha già ammazzato oltre 200 giornalisti: più che in qualunque conflitto. Non può però sterminare i giornalisti israeliani. E sono sempre di più quelli che denunciano i crimini del loro esercito. Esce l’ultimo rapporto dell’ong Breaking the silence, fondata nel 2004 da tre ex soldati israeliani – Avichai Sharon, Yehuda Shaul e Noam Chayut – per raccogliere le testimonianze dei militari in servizio in Cisgiordania e svelare la distanza tra la propaganda della quale erano vittime – la difesa di Israele – e la realtà: lo sterminio del popolo palestinese. Il rapporto contiene le testimonianze di soldati che hanno combattuto a Gaza nel 2023-2024. Raccontano l’annientamento sistematico di cose e persone durante la creazione della cosiddetta “zona cuscinetto” larga oltre un chilometro lungo tutto il confine di Gaza: ricavata violando ancora i confini (per ricordarlo a chi “C’è un invaso e un invasore”. Come mai stavolta armate l’invasore?). Tutto quello che si trovava all’interno è stato eliminato, senza fare distinzione tra neonati e combattenti, ambulanze e postazioni militari. confessa un sottufficiale: “L’ordine era di distruggere tutto”. “Cosa intendi per ‘tutto’?” “Tutto. Tutto quello c’è”. “Anche i frutteti? Le stalle, i pollai”. “Sì”. “Ogni edificio, struttura?”. “Tutto”. “Che aspetto ha la zona dopo?” “Hiroshima. Questo è quello che direi, Hiroshima”. Sono stati distrutti villaggi, scuole, un terzo dei campi coltivati di Gaza. Fa parte del piano: usare la fame come arma. “Non un chicco di grano entrerà a Gaza”, ha promesso il ministro Smotrich: “Abbiamo il sostegno di Trump per aprire le porte dell’inferno a Gaza”. “Come facevano i civili a sapere qual era il confine da non oltrepassare?”. “Bella domanda. Direi che, quando vedevano che un buon numero di persone veniva ucciso, lo capivano”. C’era però chi la linea invisibile insisteva a varcarla per fame, per raccogliere la malva cresciuta selvatica tra i resti di campi coltivati distrutti dai bulldozer: “Cercavano solo erbe, lo capivi, stavano morendo di fame. Anche se vedevamo una donna con la sporta. Sparavamo. Boom!”. Erano queste le regole di ingaggio? “Ci hanno spiegato che a Gaza non c’è popolazione civile, che i palestinesi sono tutti terroristi”, spiega un ufficiale, che al Guardian confessa: “Dopo il 7 ottobre sono andato a Gaza perché pensavo ‘Ci hanno ucciso: ora noi uccideremo loro!’. Ho scoperto che non stiamo uccidendo quelli che ci hanno ucciso. Stiamo uccidendo tutti. Le mogli, i figli, i gatti, i cani. Stiamo distruggendo le loro case e pisciando sulle loro tombe”. Da bambini leggevamo il Diario di Anna Frank. Domandavamo perché gli adulti di quel tempo lì non avessero fatto niente, e come facessero a non sapere, e perché erano più quelli che davano la caccia ai bambini di quelli che li nascondevano. I bambini di domani ci domanderanno che cosa facevamo noi oggi. Se sapevamo, se fingevamo di non sapere. Chiunque ha una voce pubblica ha l’imperativo morale di usarla per denunciare il genocidio a Gaza. Dovremo darne conto ai direttori di tv e giornali: è quello che spinge tanti a restare in silenzio. Lo sguardo dei nostri figli non sarà più difficile da sostenere di quello del direttore?
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
venerdì 11 aprile 2025
Lastoriasiamonoi. 51 Francesca Fornario: «Da bambini leggevamo il Diario di Anna Frank. Domandavamo perché gli adulti di quel tempo lì non avessero fatto niente, e come facessero a non sapere, e perché erano più quelli che davano la caccia ai bambini di quelli che li nascondevano. I bambini di domani ci domanderanno che cosa facevamo noi oggi».
Porca miseria, non avevamo fatto in tempo ad
abituarci all’idea del nostro kit di resilienza con le carte da gioco per
combattere la noia del fallout atomico, al problema di versare la caparra per
il bunker, al rotolo di contanti in tasca perché nelle prime settantadue ore di
emergenza le carte di credito non le prende nessuno, che dobbiamo resettare
tutto. Ora dobbiamo abituarci ad altre idee: che avremo aziende in crisi per
colpa dei dazi di Trump, che dovremo difendere i nostri risparmi dal tracollo
dei mercati, che dovremo berci tutto il prosecco che gli americani non
compreranno più e metterci in testa che il nostro tenore di vita si abbasserà
un pochino. Che novità, eh! Fino alla settimana scorsa si discuteva
animatamente se destinare qualche miliardo di fondi Pnrr alle armi per
difenderci da Putin, oggi si discute animatamente se destinare qualche miliardo
di fondi Pnrr per aiutare le aziende colpite dalla politica commerciale
americana. Una cosa è certa: quando si sente risuonare l’accorato appello
“Niente panico” è esattamente il momento di spaventarsi. Vecchie e barbogie
teorie economiche direbbero che quando è in crisi l‘esportazione ci si rivolge
al mercato interno, ma qui abbiamo il problemino che il mercato interno non ha
una lira, dato che i salari sono fermi da decenni e non è che ora ci metteremo
a comprare più lavatrici e a cambiar la macchina per aiutare il sistema
industriale. Quanto alla famosa Europa, sembra un pugile costantemente suonato:
dei dazi americani si parla da mesi, si scrivono analisi, si fanno simulazioni,
si elaborano teorie, e poi quando i dazi arrivano non si sa cosa fare. Trattare?
Resistere? Volare a Washington con il cappello in mano? Mentre c’è tutta questa confusione sotto il
sole, rischia di passare in secondo piano il vero scontro in atto da qualche
tempo, che sarebbe quello tra le élite e il popolo. Traduco: il popolo è
brutto, sporco, cattivo, sbaglia i congiuntivi e non vuole spendere centinaia
di miliardi a debito per armarsi fino ai denti; mentre le élite, o sedicenti
tali, ci fanno il pippone simil-colto che è meglio essere armati per avere la
pace, che difenderemo il welfare togliendo i soldi al welfare per spenderli in
cannoni. Il tutto tra citazioni latine e suprematismo europeo detentore della
cultura, perché è noto che né i Sioux né gli aborigeni australiani hanno avuto
Shakespeare. Siamo abituati a parlar male dei politici, e va bene, non ci
fidiamo nemmeno dei grandi capitalisti, ovvio, ma forse è il momento di
chiedersi cosa abbiano prodotto, negli ultimi decenni, le famose élite
culturali, gli ascoltati guru del contemporaneo, le alte personalità del commento
pensoso, i professionisti della lezioncina col ditino alzato. Quel che si vede
è un sostegno fermo e incondizionato allo stato delle cose, che sì, forse, per
carità, si potranno migliorare un pochino, smussare qui e là, abbellire di
parole retoriche, ma tutto sommato va bene così, e la prova provata è che
rimbomba il richiamo all’orgoglio, piuttosto generico, e ai valori, generici
pure loro. Il “popolo”, naturalmente, non capisce, ma comincia a pensare che
tutto quel concentrato di scienza che gli viene ammannito ogni giorno somiglia
tanto al pigolare di una vecchia nobiltà con la parrucca incipriata, al
minuetto dei sottili distinguo e a una strenua difesa delle posizioni
acquisite. Idee nuove, zero. Visioni strategiche, zero. Però molta ironia sul “popolo”
fesso e incolto che si ostina a non ascoltare. Che scandalo, contessa! “Attenti
ai guru. Un annoso problema del popolo: merita delle élite migliori”. (Tratto
da “Attenti ai guru. Un annoso problema
del popolo: merita delle élite migliori” di Alessandro Robecchi pubblicato
su “il Fatto Quotidiano” del 9 di aprile 2025).
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Riporto il “messaggio-commento” pervenutomi da Fra’ Nazareno, orgogliosissimo siciliano, attualmente missionario in Giordania: Carissimo, sono d'accordo con Berlinguer, grande uomo e politico. Che l'occidente stia a guardare e farsi complice di uno dei più grandi genocidi della storia, appoggiando un criminale e criminali pazzi, assetati di sangue è una grandissima vergogna. L'occidente è ormai scristianizzato, anche se le sue radici cristiane dovrebbero portarlo a ragionare verso il disarmo come Cristo ci insegna sulla croce quando ha perdonato chi l'ha crocifisso, dove il suo insegnamento ci insegna a perdonare i nemici e a porgere l'altra guancia. Ma io continuo ad essere sottosopra. Scusa il mio piccolo sfogo. Grazie per l'articolo, davvero interessante, anche se descrive le atrocità compiute con la complicità del nostro Occidente. Io mi vergogno di essere occidentale e mi rifiuto. Ringrazio che nel mio DNA siciliano ci sono geni arabi, di cui mi sento profondamente orgoglioso. Un abbraccio forte.
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