A lato. "L'acrobata" (2020), acquarello di Anna Fiore.
Ha scritto Michele Serra in “La resurrezione del silenzio”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 18 di febbraio 2021:
(…) …si parla solo se si ha qualcosa da
dire. Non so se vi rendete conto. È la rivoluzione. È il contrario preciso
dello status quo. È la sovversione della ciancia ininterrotta che domina la
Polis. È un chiudi-il-becco che vale una Pentecoste, è igiene mentale, è la
liberazione del silenzio dalla spelonca nel quale era stato rinchiuso. Ed è,
soprattutto, un’indicazione pietosa per i confusi, gli smarriti, i dannati del
clic e del “vado in onda”, coloro che hanno creduto che fare politica
significhi twittare una belinata all’ora, postarsi mentre si mangia la Nutella,
dire ogni giorno, in tutti i telegiornali, “mi piace il governo” se si è al
governo, “non mi piace il governo” se non si è al governo, che uno li vede da
casa e pensa: chi l’avrebbe mai detto. Dev’esserci stata una certa confusione,
negli ultimi anni, tra il mito della trasparenza e l’idea, veramente perversa,
che TUTTO sia di interesse pubblico, dall’ultima opinione risaputa e
rimasticata alla prima ovvietà che viene in mente di fronte a una telecamera
accesa. Non è per caso che si passa buona parte della vita in luoghi in cui,
oltre alle finestre, ci sono anche i muri. Servono, i muri, a proteggere le
nostre lunghe ore di impresentabilità. E soprattutto a proteggere gli altri
dallo spettacolo, mortificante, della nostra impresentabilità. Tratto da
“La disciplina della parola” di Enzo
Bianchi, già priore della comunità di Bose, pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” del 15 di febbraio 2021: Assistiamo ogni giorno all'imporsi di una
parola che appare contradditoria: smentisce sé stessa! Ciò che una persona dice
e promette è sconfessato dalla persona stessa poco dopo. Ed è inutile
denunciare questa incoerenza, questo omicidio di una parola da parte di
un'altra parola, perché o c'è poca memoria o non si dà peso alla lealtà e alla
verità di ciò che si è detto. E se la parola non è più affidabile, in cosa noi
uomini possiamo mettere fiducia? Sovente sono costretto a mormorare dentro di
me dopo aver ascoltato: "Non è possibile". Affermare oggi il
contrario di quello che si è detto ieri! Accade in politica innanzitutto ma poi
c'è una ricaduta nella vita di tutti i giorni, dove regna ciò che deve essere
chiamato menzogna, mancanza di un'etica della parola. È dalla parola data con
chiarezza e lealtà che impariamo la fiducia tra noi umani, ma se questo non è
più possibile allora c'è posto solo al pensare a sé stessi e al lasciar
crescere il rancore per il dominio della parola falsa, come dice il salmo:
"Non c'è più chi è fedele. Tra gli uomini è scomparsa la lealtà. L'uno
all'altro dicono menzogne, labbra adulatrici parlano con cuore sdoppiato".
Quando manca di verità e di libertà, la parola crea corruzione e morte nei
rapporti interpersonali. Tutti conosciamo questa triste deriva per esperienza:
nelle storie d'amore, in famiglia, nei rapporti di lavoro e nella vita sociale.
Se non si è sinceri, i rapporti degenerano e finiscono. Accanto alla parola
contraddetta sta sempre anche la maldicenza: questa tentazione viene dal
desiderio che gli altri parlino bene di noi, dalla pulsione ad abbassare gli
altri per innalzare noi stessi. Proporzionalmente all'egocentrismo, cresce
l'esercizio della maldicenza. Se gli altri sono apprezzati, l'egocentrico tenta
di eliminarli, insinuando maldicenze. Queste giungono poco a poco fino alla
calunnia, la falsa imputazione del male a un altro. "Calunniate,
calunniate: qualcosa resterà!"... Il malato di narcisismo passa dalla
maldicenza alla calunnia, fino a pervertire la realtà: il bene compiuto
dall'altro è da lui giudicato come male. Questo per affermare il proprio potere
ed escludere qualsiasi concorrenza. Non si pensi che la calunnia sia limitata alle
circostanze in cui produce conseguenze legali, ma va riconosciuta nella
banalità della menzogna quotidiana: pettegolezzi, mormorazioni, diffamazione. E
quando la menzogna si diffonde - soprattutto oggi attraverso i media -, non
solo la fiducia è ferita, ma si affermano la diffidenza, la paura, la ricerca
dell'immunitas che sconfigge ogni vita comune. Un altro responsabile della
maldicenza è chi la ascolta! Prestare orecchio alla maldicenza, accogliere
diffamazioni non è atteggiamento passivo. Alla maldicenza occorre resistere,
mostrando indisponibilità ad accoglierla. C'è infatti nel silenzio di chi
ascolta la calunnia il rischio dell'approvazione. Occorre invece reagire, dare
segno di disapprovazione, per mettere un argine e suscitare l'interrogativo circa
la responsabilità della parola. La disciplina della parola va esercitata da chi
parla e da chi ascolta.
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