"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 5 gennaio 2021

Virusememorie. 55 «Dopo l'incubo possiamo riscattare il tempo, ritrovare un futuro, liberare la storia. Ricominciare».

Ha scritto Wlodek Goldkorn in “Progresso”, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 3 di gennaio 2021: C’era una volta, un’epoca in cui gli uomini e le donne di quel pezzo del mondo che ci ostiniamo a chiamare Occidente credevano che il futuro, loro personale e dell’umanità intera, sarebbe stato migliore del presente. E che il presente fosse preferibile al passato. La macchina a vapore, la luce elettrica, gli esploratori delle terre lontane, gli scienziati che con il microscopio scoprivano bacilli e germi erano indizi che il modo di pensiero razionale, la fede nei Lumi, contrapposta al buio delle superstizioni considerate “medievali”, la Scienza, avrebbero debellato la povertà, portato istruzione alle masse e sconfitto le malattie. Quello sforzo verso il costante miglioramento delle condizioni di vita, oltre a coinvolgere scienziati e ingegneri, avrebbe dovuto essere guidato da uomini saggi in grado di prendere decisioni non sempre facili, ma sempre per il “bene del popolo” e che di mestiere facevano i politici. Scienza che avanza e politica che conduce e organizza: era questo ciò che nel corso dell’Ottocento è stato chiamato Progresso. O se vogliamo: era l’epoca degli ingegneri e delle Esposizioni Universali, con i Crystal Palace di Londra e Torre d’Eiffel di Parigi e la loro geometrica bellezza.Il Novecento segna la scoperta dell’altra faccia del Progresso: non solo Shoah e Hiroshima come approdo della Tecnica, ma anche i conti da fare con il colonialismo, con il patriarcato, la devastazione del Pianeta Terra. Ma in questi giorni il vaccino contro Covid 19 ha riportato la scienza al centro del nostro immaginario. Non più Frankenstein ma di nuovo il buon dottore (spesso donna) che ci salverà e ci fa sperare. E alla Casa Bianca, dopo quattro anni di un potere che disprezzava l’idea del bene comune ed elevò la menzogna al rango di verità di Stato, arriva un uomo da tratti ottocenteschi: razionale, moderato, convinto della centralità della politica per ricostruire la nazione e forse l’Occidente. È tornato, pur con tutte le antinomie di cui siamo consci, il connubio Scienza politica. È tornato il Progresso. È a quel connubio “scienza-politica”, tanto caro a Wlodek Goldkorn, che fa riferimento Ezio Mauro nel Suo editoriale “Restituire un futuro al Paese” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 21 di dicembre dell’anno 2020, editoriale che di seguito trascrivo in parte: (…) …scopriamo che mentre noi lo misuriamo col metro della giornata, rinnovando ogni giorno la stessa fatica nella valutazione dei suoi progressi e delle nostre difese, il virus va oltre e sfugge a ogni misura, perché in realtà si nutre del nostro futuro. L'agente infettivo è anche un agente sociale. Ha modificato le nostre abitudini, lo stile di vita, le relazioni interpersonali, oltre ai corpi ha attaccato il lavoro, la produzione, la scuola, il commercio e l'economia. Agisce sullo spazio, comprimendolo nel divieto di viaggiare, nel distanziamento che segnala il pericolo reciproco tra ognuno di noi e gli altri, nell'isolamento come forma finale di difesa, separandoci dal corpo sociale. Ma soprattutto, il virus si è impadronito del tempo, insidiandolo fino a dominarlo e stravolgerlo nell'uso comune che eravamo abituati a farne. È lui che scandisce il ritmo della nostra vita, noi dobbiamo conformarci adattandoci alle forme, ai modi, alle dimensioni del suo attacco. Il nostro tempo non è più autonomo ma subordinato, perché non è libero. E noi siamo di conseguenza frastornati dal provvisorio, confusi dall'indefinito, disorientati dal precario, perché non siamo abituati a vivere fuori dal tempo, dove tutto diventa transitorio e ogni riferimento è instabile, in una disconnessione universale in cui l'unico punto fermo è la nostra condizione di vittime comunque designate. Non potendo più investire sul futuro, non riuscendo a vincere, ci accontentiamo di trovare un rifugio dentro il presente, che ci garantisca la condizione di scampati. E fatalmente, quando il tempo non scorre la dinamica sociale impazzisce, l'accumulo produce confusione, ribellione, sovvertimento. Nel sistema aperto in cui vivevamo operava tacitamente uno scambio continuo tra presente e futuro che teneva insieme dentro una regola condivisa - familiare, sentimentale, professionale, previdenziale - i vecchi e i giovani garantendo il ricambio, il passaggio delle stagioni italiane, la connessione tra oggi e domani, la pratica del welfare, la disciplina generazionale, la trasmissione del sapere e persino la continuità dei valori di fondo in cui un Paese si riconosce. Il virus ha spezzato il filo naturale che collega l'oggi al domani, separando definitivamente i giovani dai vecchi, segnalandoli come portatori di interessi opposti o almeno concorrenti, e infine contrapponendoli nel momento supremo: quando i regolamenti dei reparti di terapia intensiva prescrivevano che in caso di emergenza con troppi malati a intasare gli ospedali, si dovesse operare una selezione tra i pazienti, privilegiando nella cura quelli che avevano una maggiore aspettativa di vita, dunque lasciando gli anziani in balia del male. Questo è storicamente un punto di rottura nella nostra società che consideriamo cristiana nella sua tradizione, democratica nelle sue regole, solidale nella sua cultura. E la rottura sfonda esattamente la curva del tempo, interrompe la sua fluidità, spezza la continuità tra oggi e domani, spacca il divenire naturale tra il mondo dei padri e quello dei figli, come se non dovesse più essere lo stesso. Valutando con una contabilità speciale gli esseri umani con più anni da vivere, infatti, si svalutano necessariamente gli anni vissuti, la ricchezza di ciò che si è incontrato, ciò che si è generato, ciò che si è amato. Soprattutto si perde il significato morale e civile della trasmissione dell'esperienza e della conoscenza che lega insieme in un continuum le generazioni che si susseguono, in un deposito di senso che forma la coscienza di una comunità e persino di una nazione: ed è l'unico antidoto al trascorrere del tempo, cercando di governarlo trasportando nel futuro il segno più significativo di ciò che abbiamo capito e vissuto, cioè la traccia di ciò che resta perché è ciò che vale, e dunque dura. Esiste uno strumento nato per mettere in connessione il presente e il futuro, ed è la politica. Vive nell'oggi, giudica le scelte di ieri, promette il domani. È il ponte necessario, la politica non soltanto come governo e amministrazione, come potere, ma come sistema di idee e di valori, concezione del Paese, coscienza del suo divenire, dei suoi obiettivi, della sua identità sociale e culturale. (…). Solo la politica può infatti interpretare l'Italia di oggi nel cuore della crisi, può darle un traguardo, può indicarle i sacrifici e le difficoltà che si dovranno incontrare e infine può suscitare uno sforzo comune per trasformare la lotta alla pandemia in una ricostruzione nazionale, che restituisce un futuro al Paese. Ma bisogna che sia consapevole, autentica, credibile, come oggi non è. L'anno terribile finisce autorizzando una doppia speranza, per la prima volta dopo mesi, con l'avvio congiunto dei vaccini e dei fondi del Recovery europeo. Sono due strumenti indispensabili per uscire dallo stato di necessità, tornare a credere nel domani, contrastare con ottimismo la disperazione per la pandemia e la sua capacità di aggiornarsi, mutando, e per avviare un percorso di recupero e addirittura di rinascita. Soprattutto sono un investimento nel futuro, il primo, dopo la lunga fase di difesa e di contenimento. Questo significa dire responsabilmente ai cittadini che l'Europa è la cornice di sostegno alla nostra civiltà, che scienza e medicina possono rimettere in movimento il progresso e lo sviluppo paralizzati dal virus, che la democrazia può riprendere il controllo dell'emergenza e governare l'eccezione, domandola. Ecco perché non si può sprecare la doppia occasione: dopo l'incubo possiamo riscattare il tempo, ritrovare un futuro, liberare la storia. Ricominciare.

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