Ha scritto Michele Serra in “Matteo Renzi, il corpo estraneo” pubblicato sul settimanale “il
Venerdì di Repubblica” del 9 di ottobre dell’anno 2020: (…), è vero, gli italiani sono in
prevalenza conservatori. Difficilmente al lamento ininterrotto segue uno
scossone politico rilevante. Tanto è vero che la burrascosa fine della Prima
Repubblica avvenne per mano della magistratura, non della politica. (…). Si vede
che, in larga maggioranza, gli italiani non stanno abbastanza male da voler
perdere quello che hanno in favore di qualcosa che ancora non sanno. E dunque
sì, la (…) idea che Renzi sia stato “risputato” come corpo estraneo mi sembra
lecita. Ma è solo la metà del discorso. L’altra metà è che il “nuovo”, in sé e
per sé, è una qualità molto vaga. Nel renzismo si coglieva un’atmosfera di
ricambio generazionale e di “modernità”, c’era energia, c’era la seduzione
delle camicie senza cravatta invece delle vecchie grisaglie, l’inglese anche se
un poco maccheronico, un certo profumo d’Europa. Ma in tempi brevi questo
dinamismo è apparso molto improvvisato, molto di vetrina, e soprattutto monco
della risposta decisiva che qualunque sinistra, qualunque forza progressista è
tenuta a dare: come cercare un riequilibrio sociale a fronte della crescente
distanza di reddito tra ricchi e poveri. Le nuove, smisurate ricchezze (quelle
finanziarie, quelle tecnologiche) hanno pure loro un’aura di dirompente novità,
tanto che i progressisti americani hanno dilapidato buona parte della loro
identità nell’adorazione sciocca e acritica di tutto quanto odorava di Silicon
Valley. Di multimiliardari giovani, scanzonati e con la t-shirt ne abbiamo
visti parecchi, ma è l’ennesimo caso in cui l’abito non fa il monaco: che
paghino le tasse come noi tutti, poi chi se ne importa se hanno la marsina e il
cilindro, come i vecchi padroni, o vanno in giro in bermuda. Come attenuante
per Renzi posso dir(e) questo: non solamente lui, ma tutto il progressismo
occidentale non è ancora riuscito a dare nuove risposte alle nuove domande di
equità sociale. Lui, di suo, ci ha messo però una carica di vanteria che non
gli ha giovato. Se uno dice: adesso arrivo io e cambio tutto, mette in moto una
tale mole di aspettative che poi rischia di finirci sotto. “Cronaca
dalla crisi” tratta da “Oronzo e
Coerenzi” di Marco Travaglio, pubblicata su “il Fatto Quotidiano” di oggi
venerdì 29 di gennaio 2021: (…). …oggi, sul mercato, un chilo di
senatore apolide costa più del caviale albino di storione bianco. E non tutti
se lo possono permettere. (…). Per orientarsi nella crisi più pazza del mondo,
ci vorrebbe Oronzo Canà, cioè Lino Banfi allenatore nel pallone, detto anche la
Iena del Tavoliere e il Vate della Daunia, immortale profeta della “bizona” col
modulo tattico del 5-5-5: “Mentre i cinque della difesa vanno avanti, i cinque
attaccanti retrocedono, e viceversa. Allora la gente pensa: ‘Ma quelli che
c’hanno cinque giocatori in più?’. Invece no, perché mentre i cinque vanno
avanti, gli altri cinque vanno indietro e durante questa confusione generale le
squadre avversarie si diranno: ‘Ah! Ah! Che cosa sta succedendo?’. E non ci
capiscono niente”. Lui sì che, alla Longobarda, sapeva fare le campagne
acquisti: “Sono riuscito ad avere i tre quarti di Gentile e i sette ottavi di
Collovati, più la metà di Mike Bongiorno. In conclusione, noi abbiamo ottenuto
la comproprietà di Maradona in cambio di Falchetti e Mengoni”. Anzi no:
“Attraverso le cessioni di Falchetti e Mengoni riusciamo ad avere la metà di
Giordano, da girare all’Udinese per un quarto di Zico e tre quarti di Edinho…”.
Ora, dinanzi all’immondo mercato di tre quarti di Vitali (Luigi Vitali
senatore di FI n.d.r), sette ottavi di Ciampolillo più la metà
della Rossi e le comproprietà di Rossi e Polverini, era naturale che la
coscienza dell’anima più pura della politica italiana, quella che “abbiamo
rinunciato alle poltrone di Teresa, Elena e Ivan perché per noi contano le
idee”, quella che sopra la firma appone sempre “un sorriso”, insomma
l’Iscariota di Rignano ribollisse di sacro sdegno (…): “La creazione di gruppi
improvvisati è un autentico scandalo!”. Giusto, vergogna. Sarebbe come se un ex
premier ed ex segretario del Pd annunciasse il ritiro dalla politica, poi ci
restasse, si ricandidasse e si facesse rieleggere sempre nel Pd. Dicesse no a
un governo col M5S, poi rompesse le palle al Pd per fare il Conte-2 coi M5S e
due mesi dopo se ne andasse per fondare un partito detto comicamente Italia
Viva (e “vegeta” n.d.r.), creando “gruppi improvvisati” che sono “un
autentico scandalo” e poi, non contento, promettesse agli sventurati di
“arrivare a fine legislatura ed eleggere il presidente della Repubblica”, “chi
vuole scendere prima può farlo, noi non stacchiamo la spina, vogliamo attaccare
la corrente” e subito dopo picconasse il governo, rinviasse la crisi causa
Covid e ricominciasse un anno dopo, desse a Conte del “vulnus per la
democrazia” col contorno di insulti, calunnie e minacce, ritirasse le sue
ministre dal governo come pedalini dalla tintoria e infine, scatenata la crisi
in piena pandemia, dicesse: “Dopo il fango è tutto chiaro: la crisi non l’ha
aperta Iv”. E non arrivasse l’ambulanza a portarlo via. Poi salisse al Colle,
lo facessero entrare e uscisse accusando gli altri di insultarlo e “dare la
caccia al singolo parlamentare”, essendo il leader di un partito formato da una
trentina di singoli parlamentari eletti nel Pd più due ex M5S (tra cui uno
espulso perché massone), tre ex FI, due ex LeU, un ex montian-verdiniano ecc. E
si scordasse ciò che disse il 14.01.2010 a Porta a Porta a Paola Binetti, che
aveva osato lasciare il Pd per l’Udc con Enzo Carra: “La tua posizione, di
Carra e altri è rispettabile, ma dovevate avere il coraggio di dimettervi dal
Pd e dal Parlamento, perché non si sta in Parlamento coi voti presi dal Pd per
andare contro il Pd. È ora di finirla con chi viene eletto con qualcuno e poi
passa di là. Vale per tutti. Se c’è l’astensionismo è anche perché se io decido
di mollare con i miei, mollo con i miei – è legittimo – però rispetto chi mi ha
votato e non ha cambiato idea”. E il 22.02.2011 ribadì: “Se uno smette di
credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena
a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare
anche il seggiolino”. Purtroppo non lo ripeté ad Alfano quando prese un pezzo
di FI e fondò Ncd per tener in piedi il governo Letta e poi il suo. Né a
Verdini quando prese un altro pezzo di FI e fondò Ala per puntellare il suo governo.
Né a sé stesso nel 2019 quando fondò Iv per “svuotare il Pd”, ma anche FI:
“Porte aperte a chi vorrà venire in questo progetto, non da ospite ma da
dirigente. Vale per Mara Carfagna e altri dirigenti FI. Iv è un approdo
naturale per tutti, è questione di tempo”, “C’è un mercato politico che guarda
con interesse a noi. Parlamentari di FI molto seri stanno riflettendo e spero
che già dai prossimi giorni possano valutare l’adesione a Iv”. (…).
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