Riporta Daniela Ranieri in chiusura del Suo “pezzo”
– di seguito in parte trascritto - che ha per titolo “Il blob tossico del Trump attack” pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 9 di gennaio 2021: «Hannah
Arendt scrisse: “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista
convinto o il comunista convinto, ma le persone per le quali la distinzione tra
realtà e finzione e tra vero e falso non esistono più”». A ben ragione.
Poiché è tra la cosiddetta “brava gente” che il demagogo di turno va a pescare
nel torbido che più torbido non si può. È su quel gioco “tra realtà e finzione” che
gli avventurieri della politica giocano le loro luride “carte”. Ne ha scritto
ieri - sabato 16 di gennaio - Michele Serra in “L’egemonia del falso” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”: (…). La
strage delle brave persone (un poco isolate socialmente, un poco vulnerabili
culturalmente) è antica come le società umane. Sottomesse dai più forti o
gabbate dai più furbi, spaventate dagli stregoni, aizzate dai demagoghi,
mandate a morire dagli Stati Maggiori. Eccetera. Ma il capitolo che ci tocca -
quello del raggiro di massa di centinaia di milioni di persone irretite da un
clic, e da centrali della menzogna al servizio di politici bugiardi - è
particolarmente vile e grave, perché fa leva sull'illusione di potersi
riscattare con un trucco fantastico, alla portata di chiunque: non posso
cambiare la realtà, dunque la nego e me ne costruisco una tutta mia, che mi
consola perché mi fa sentire più ferrato di uno scienziato, più colto di un
professore, più informato di un leader. È così che si diventa Jake Angeli (al
secolo Jacob Chansley n.d.r.), o terrapiattista, o seguace di QAnon, è così
che si fa il giro del mondo con un video nel quale si cerca di dimostrare che
la cosiddetta grande nevicata in Spagna è solo uno sporco trucco (ma di chi?).
Non è neve, è plastica, spiega una invasata. Per dimostrarlo tenta di darle
fuoco. Non si accende: è neve. Ma lei è sicura che sia plastica, e dunque: è
plastica. L'impulso alla risata muore quasi subito. È sopraffatto dalla
malinconia. E dallo spavento. Non dite che è normale, l'egemonia del falso. È
una cosa terribile. Ha scritto Daniela Ranieri nel Suo pregevolissimo “pezzo”
che fa “scuola”: La tersa e scabra profezia di Marx – la Storia si ripete sempre due
volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa – ha rintoccato la sua
mezzanotte il 6 gennaio 2021 a Washington. A guardare le immagini dell’assalto
a Capitol Hill, sede del governo degli Stati Uniti, sembrava si fossero dati
convegno i detriti più eloquenti di un secolo di fantascienza, cinema (colto o
B-movie), televisione, fumetto, intrattenimento e paccottiglia di Internet. (…).
Lo “sciamano” mezzo nudo con le corna vichinghe, i giovani conciati come i
druidi dei videogame o in mimetica e sandali da trekking, donne e uomini
“normali” in cui ogni segno dell’ordinarietà da fruitori di Tv del pomeriggio
era esacerbato da un dettaglio iperrealista: la tenuta da tagliatore del prato
della domenica arricchito dalla scritta “6MWE”, sigla nazista per Six Million
Wasn’t Enough, sei milioni non è stato abbastanza, in riferimento
all’Olocausto. Con buona pace dei trumpiani nel mondo, anche nostri, che hanno
creduto all’elezione di Trump come a un trionfo dei popoli genuini contro le
élite ipersofisticate. Una simile guerriglia di segni s’era vista solo nei film
ucronici hollywoodiani, che dell’America sono grottesca e dolorosa sineddoche,
come si fosse aperto un varco tra realtà e finzione e ne fosse uscito un blob
vischioso e inarrestabile. Non era una collettività: era una folla di individui
legati da un patto tribale, sancito via social e ribadito dall’individuo
totemico, Trump, capo del cosplay del complotto ai suoi danni. Non portavano
rivendicazioni politiche, ma l’affermazione ottusa di una “verità alternativa”:
Trump ha vinto le elezioni. Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York e avvocato
di Trump, mentre invitava la marmaglia a tornare a casa, ribadiva il loro
“essere dalla parte giusta della Storia”. “Vi voglio bene”, ha detto Trump in
video, mentre nei corridoi di casa sua, cuore della democrazia, bandiere mai
sfilate dal 1800 venivano portate in giro per sfregio, e individui col berretto
rosso di Make America great again sedevano sulla sedia del vicepresidente coi
piedi sulla scrivania, scattando selfie sotto i ritratti dei Presidenti,
armati, oltre che di armi vere, di smartphone, per moltiplicare l’oltraggio via
social nella replicazione stolida e amorale dell’algoritmo. Dire “ci hanno
rubato le elezioni, ma andate a casa” è stato come ridurre la manifestazione
esteriore della follia lasciando inalterata la psicosi che la sottende e di cui
la sua mitografia si alimenta. Il momento attuale è stato edificato in cinque
anni di parossismo e post-verità. Il portavoce di Trump Sean Spicer accusò i
media di aver truccato le foto della spianata del Lincoln Memorial al fine di
mostrare come ci fosse meno gente che all’Inauguration Day di Obama, e la
consulente Kellyanne Conway compì il capolavoro: quelle di Spicer non erano
falsità, ma “alternative facts”, fatti non veri in questa dimensione ma
verissimi in un’altra. Quale? Quella da cui sono usciti i protagonisti della
disperata avventura a Capitol Hill. Un film di David Cronenberg del 1983,
Videodrome, previde con cruda lucidità gli effetti del terrificante potere
politico della “videocarne”. Allora era la Tv, con le sue propaggini VHS, a
colonizzare le menti e i corpi dei telespettatori nella voluttà masochistica
dell’allucinazione. Oggi è una combinazione di Tv via cavo, teorie
complottiste, uso tossico dei social network, a operare la spaccatura del vero
da cui sono fuoriuscite le contraddizioni dell’impero americano, che mentre
“esportava la democrazia” e si immunizzava contro il nemico (l’Iraq,
l’Afghanistan, il terrorismo, gli immigrati, l’Iran, la Cina, etc.), covava in
seno il nemico interno. Il neoliberalismo aggressivo dell’impero nutriva,
affamandoli, coloro che avrebbero oltraggiato le sue fondamenta, entrando come
un coltello nel burro nel luogo di massima sicurezza. È allegorico che ciò sia
accaduto pochi mesi dopo le manifestazioni di Black Lives Matter seguite
all’uccisione di George Floyd da parte della polizia, che diedero occasione al
dispositivo di protezione della Guardia Nazionale di dispiegarsi in tutta la
sua brutalità. Oggi i video mostrano agenti armati in posa coi rivoltosi, nella
selfocracy che tutto ricopre col suo manto di facezia e vanità, anche la
tragedia. Non la rivendicazione di diritti, ma la veridizione del delirio
paranoide è la vera posta in gioco della violenza. Violenza non tanto fisica:
alienati detentori di corpi apatici hanno forzato con indolenza le stanze del
potere, soppesando i complementi d’arredo, sorridendo alle telecamere: una
sedizione snervata, satolla. La violenza simbolica è un’angheria contro il
principio di realtà. In questo quadro si è innestato il complottismo da Covid.
L’assenza di mascherina sui volti è un distintivo più potente di qualunque
orpello. Se il travestitismo grottesco è un modo per negare l’identità, perché
pure questa è intesa come uno strumento del dominio, il no mask è uno sputo in
faccia ai valori condivisi. Sono tutti cloni di Trump, gli effrattori, svuotati
di sé, sue emanazioni. Il movimento QAnon si fonda su un bug schizoide
incistato nelle menti dei suoi adepti, vocianti nelle stanze del Congresso
ridotto a sala hobby. Nel momento in cui si crede che esista un complotto
planetario per diffondere un virus vero, o “narrare” un virus falso, allo scopo
di controllare l’umanità mediante chip sottocutanei iniettati col vaccino in
base a un progetto satanista portato avanti dalle élite politiche e finanziare
(Clinton, Soros, Bill Gates) che si nutrono di sangue di bambini, si può ben
assaltare la Casa Bianca e le sue adiacenze senza avere percezione della
gravità irreversibile del gesto. Questo neo-tribalismo ha rivelato l’esistenza
di un mondo parallelo che d’ora in poi i governanti di tutto il mondo non
possono ignorare, perché la viralità è la sua cifra.
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