Ravenna: notte tra il 13 ed il 14 di settembre dell’anno 1321. Muore Dante Alighieri.
Dante apparteneva all'élite fiorentina. I suoi antenati si erano arricchiti prestando denaro. Ma anche sulla peccaminosità dell'usura, i medievali avevano opinioni elastiche. Se prestavi a un povero eri uno strozzino. Mentre se prestavi a un ricco movimentavi il capitalismo, facevi crescere il Pil, eri un rispettabile uomo d'affari. "Gli antenati di Dante prestavano a tutti. Ma all'epoca usuraio è chi vive soltanto di prestiti. Se fa anche altre attività, la faccenda cambia. Tanto sul piano teologico che su quello sociale, il mondo di Dante si interroga sul problema dell'usura cercando sempre un equilibrio, soluzioni pragmatiche".
Firenze è la Wall Street del tempo. "Più che la Wall Street, una città-banca. In Italia in generale e a Firenze in particolare circolava più contante che in qualsiasi altro posto d'Europa. Da sola, Firenze aveva entrate paragonabili a quelle di un regno. Nemmeno il confronto con New York rende l'idea di quale fosse allora la sua potenza economico-finanziaria".
Finché non la abbandona, a Firenze Dante vive da rentier. "Sì, campa di rendita. E la sua condizione già rimanda a quella che sarà la drammatica crisi del capitalismo italiano nel Medioevo".
Crisi scatenata da cosa? "Dall'idea che una volta diventati ricchi non si continua più a investire, ma si comprano terre e si fa i signori. Dante appartiene alla generazione di coloro che smettono di lavorare per sedersi sulle rendite".
Anche lui chiede soldi in prestito. "A quei tempi chi ne chiede non è necessariamente in difficoltà economiche. Di solito chi fa grossi debiti è perché può permetterseli. Anche oggi a un povero non si fanno prestiti da cinquecentomila euro".
Benestante, Alighieri può dedicarsi alle cose dell'intelletto. E ai rovelli d'amore. Veniamo a Beatrice: alla fine questi due benedetti ragazzi quante volte si incontrarono? "Senta, io ne ho contate soltanto due. La prima da bambini: Beatrice ha otto anni, lui quasi nove. La seconda quando Dante è diciottenne e incrociandola per strada sente per la prima volta la sua voce".
Poi corre a rinchiudersi nella sua cameretta e comincia una magnifica ossessione. "Al liceo è capitato a tutti noi di innamorarci di una ragazza che non sapeva nemmeno che esistessimo. La differenza è che da una cosa del genere Dante ha ricavato un'enorme costruzione mentale chiamata Divina Commedia".
Ecco, appunto: al liceo ci martellavano con la figura di Beatrice "donna angelicata". Ma lei ricorda che Dante racconta di averla sognata nuda. "Non mi faccia passare per uno che ha interessi morbosi. Però, sì, è proprio lui a riferirci quel sogno. Non dimentichiamo, tuttavia, che Dante appartiene a una generazione che si interroga infinitamente su cosa sia l'amore. Qualcosa di buono o cattivo? L'amore è visto come una potenza, come un essere mostruoso che può impadronirsi di te, cambiarti la vita, farti impazzire. Ci si chiede: non è che sotto spoglie da amico, l'amore sarà invece un nemico?".
Alighieri piazza all'inferno il suo venerato maestro, e omosessuale, Brunetto Latini. Ma lei spiega come nei confronti dell'omosessualità il Medioevo sia stata un'epoca molto meno buia di tante altre. "Nel mondo di Dante l'omosessualità è condannata ma non perseguita come oggi ci si potrebbe immaginare. Dagli studi che hanno approfondito l'argomento non risulta che ci fossero particolari campagne persecutorie. Quando venivano scoperti, gli omosessuali erano tutt'al più multati. L'intolleranza e i roghi arriveranno più tardi, con il Rinascimento, che si dimostrerà molto più duro anche verso gli ebrei. Nella Commedia Dante incontra diversi omosessuali. Non solo all'inferno, ma anche in purgatorio. Se gli omosessuali si sono pentiti mica vanno all'inferno. Se sono persone autorevoli, Dante li tratta con il massimo rispetto".
Professore, qual è la più grossa balla che il mito, la vulgata ci hanno raccontato su Dante? "Direi l'immagine di un uomo integerrimo, dalla moralità assoluta. Non che fosse un disonesto, ma come quella di tutti noi, anche la sua vita fu piena di compromessi e contraddizioni. Compromessi che a posteriori Dante provvede a lisciare, a spianare, facendo finta che non siano mai esistiti. E se ne autoconvince".
Lascia Firenze inseguito anche da accuse di concussione. Fondate o inventate dai suoi avversari? "La mia idea è che, essendo già abbastanza ricco, Dante non si sia buttato in politica per far soldi. Non credo che abbia rubato. Ma è pur vero che a quei tempi la politica funzionava in modi a noi molto familiari. C'erano anche allora gli amici da favorire, gli appalti e i finanziamenti da assegnare. E quando c'eri dentro, c'eri dentro. Ricordiamoci però che Dante viene a trovarsi in una crisi politica un po' speciale. A Firenze, fino a quel momento, il partito che andava al potere cacciava gli avversari ma senza giudicarli. Invece nel conflitto del Trecento quelli che prendono il potere individuano un certo numero di fuoriusciti contro cui organizzano processi".
Sommari? "Non sono purghe staliniane. Non ci sono confessioni estorte, ma istruttorie e capi d'accusa molto precisi. Se in contumacia vengono rivolte a Dante accuse di malversazione, è perché si pensa che ce ne sia materia, perché si ritiene di poterle vendere come plausibili all'opinione pubblica fiorentina. Per trarne vantaggio, infamare ancora di più gli avversari".
Quel trauma politico è l'innesco della Commedia? "Come sa, su questo esistono molte interpretazioni. (…). …se il suo viaggio inizia "nel mezzo del cammin di nostra vita" è pensabile che Dante lo metta in relazione proprio con quei giorni dell'anno 1300 nei quali ci racconta che fu sul punto di traviarsi, di dannarsi".
Ricordandoli, usa la parola "follia". In che senso? "Non lo sappiamo. Può voler dire che, da moralista, nell'impazzimento della lotta politica, l'umanità gli apparve come un mondo di pazzi criminali. Oppure può significare che in quei momenti aveva rischiato personalmente la pelle. O anche che gli era passata per la testa l'idea del suicidio. Tutte le piste restano aperte".
Esiliato, il guelfo Dante cambia idee politiche, fa il trasformista? "Parla molto dell'Imperatore come salvezza del mondo, ma non per questo diventa ghibellino. In esilio siede al tavolo coi ghibellini per discutere su come rientrare insieme a Firenze. All'epoca i partiti politici sono schieramenti a geometria variabile, strutture trasversali che tengono insieme interessi diversi. Uno poteva essere guelfo e credere all'Imperatore. Dopotutto in certe fasi gli stessi papi si erano messi d'accordo con gli imperatori!".
In vent'anni di esilio, l'orgoglioso Dante subisce suo malgrado una mutazione: da ricco e libero cittadino politicamente impegnato diventa un nomade, un suddito, un postulante, un cortigiano. Grossa pugnalata al suo amor proprio. "All'inizio vive quell'esperienza con sgomento. Appellarsi alla generosità dei signori faceva parte della sua cultura cavalleresca. Ma lo vediamo scrivere lettere di un'umiltà impressionante per uno che fino a poco prima era dirigente di un libero e potente Comune. Però gli anni dell'esilio sono anche quelli in cui Dante diventa Dante".
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