“Allora siamo davvero a questo punto”.
“Peggio di così non potrebbe andare”, rispose Adam, “sono chiusi tutti i teatri e quasi tutti i negozi e le trattorie e tutto il giorno le strade sono state piene di funerali, e tutta notte di ambulanze”.
Cronache dalla pandemia. 2 “Sospiro di sollievo: si esce di casa”, tratta da “Quaderno. Peste, guerra e carestia nell’Italia del Seicento” di Giovanni Baldinucci, riportata in “Racconti Contagiosi” di Siegmund Ginzberg: “Di poi che fu proibito il non uscire delle case ò non stare fuori di casa doppo la campana del Bargello, cche comincia a sonare doppo l’una hora di notte, si è vista grandissimo miglioramento che, per grazia di dio, sono per la città in tutto circha quattro malati il giorno (…). Adì 14 di agosto 1633. Per gratia di Dio benedetto possiamo dire che la peste sia finita, essendo stato da 15 giorni che non ci è stato che 4 malati di contagio, che piaccia a Sua Divina Maestà (che ne) restiamo liberi affatto, acciò si apra li passi di potere mandare fuori mercantie e riceverne (…).
Cronache dalla pandemia. 3 “Se mancano o non ci azzeccano i medici”, tratta dalla lettera del 2 di ottobre dell’anno 1831 di Giuseppe Gioachino Belli all’amica Vincenza Perozzi, riportata in “Racconti Contagiosi” di Siegmund Ginzberg: Però è paro che relativamente al bonnet (cuffietta, copricapo femminile) io avrei potuto introdurlo nel bauletto tra gli altri oggetti che mi piace udir giunti in vostre mani, dove vi fosse stato il tempo sufficiente per ordinarne ed aspettarne la fattura. Così la poteva andare allora: oggi la vita va tutt’altrimenti dapoiché il sarto bonettaro che deve farlo è malato egli con altre dieci persone che lavorano con lui. Non vi meravigliate di questo fenomeno che deve certo uscire nuovo a chi ignori la influenza e chiamiamola pure epidemia della quale va Roma attualmente travagliata. Non vi dirò una iperbole allorché vi assicurerò che degli abitanti di questa città i due terzi se non pure i tre quarti sono Infermi di una malattia che qui si accoglie sotto il nome di Grippe, abbenché a me non paia una signora. (…).
Cronache dalla pandemia. 4 Tratta da “Chi ascolta la paura” di Enzo Bianchi – già priore della Comunità di Bose -, pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 18 di gennaio 2021: (…). Ascolto, parlo poco e cerco di imparare. E cosa ho imparato, in questo anno segnato dalla pandemia? Che la gente ha paura ed è disorientata. Ha paura per il contagio, diffida dell'incontro e del contatto con gli altri. Ha paura per la situazione di povertà in cui è venuta a trovarsi. Ha paura che non sia più possibile tornare a vivere liberi da questo incubo. Il tempo presente, segnato a intervalli dalla clausura e dalle altre misure per il contenimento del contagio, segnato dall'impossibilità di incontri, viaggi e relazioni, è sentito come un tempo non abitabile, morto, collocato tra un prima in cui c'era vita e un domani in cui forse tornerà a esserci. Ma nell'oggi questi mesi sono come tolti alla vita, soprattutto a chi è anziano e sente preziosi i suoi ultimi anni. E così il sentimento che più traspare è quello del disorientamento: sì, mancanza di un oriente, di un orizzonte. Non si riesce a capire, e ciò aumenta la paura, il senso di impotenza e anche di rabbia. Disorientamento dovuto a una confusione sulla dinamica della pandemia; disorientamento a causa dei politici che, anche in presenza di numerosi morti ogni giorno, continuano a mostrarsi arroganti e irresponsabili, senza una volontà di perseguire il "bene comune", neppure in una situazione tanto drammatica a livello economico e sociale. La gente è veramente disorientata e lo dice con rabbia, quasi sognando un'insurrezione che travolga questi imprenditori del nulla e dello sfacelo della polis. Quanti uomini e donne dicono, in forme più o meno esplicite: "Non ne possiamo più!". Possibile che non si ascolti questo grido?
Nessun commento:
Posta un commento