Ha scritto Antonio Padellaro in “Segui i soldi: il leader di IV e il piano
UE”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri venerdì 20 di gennaio
2021: Dunque c’è del metodo nell’insensata crisi di governo provocata da
Matteo Renzi, detto demolition man. Mettere le mani su Palazzo Chigi e sulla
poltrona di Roberto Gualtieri, da lì sulla governance del Recovery Plan, e
quindi sulla gestione degli appetitosi 209 miliardi di fondi europei. Lo
avevamo capito tutti da un pezzo, ma ieri lo abbiamo letto nero su bianco che
“gli ambienti di Italia Viva fanno circolare l’ipotesi di uno scambio di ruoli
ad altissimo livello: Paolo Gentiloni premier, Giuseppe Conte commissario
europeo, con Mario Draghi ministro dell’Economia” (Linkiesta). A rileggere le
cronache dei giorni in cui lo statista di Rignano armeggiava per mandare tutto
a puttane c’è da farsi grasse risate. Ha un cattivo carattere, non si
controlla, si fa del male da solo sosteneva il partito del disagio psichico.
Mentre la teoria statistico-delirante attribuiva ai 30 mesi di permanenza a
Palazzo Chigi di Giuseppe Conte – in procinto di superare il “record” di un
Renzi perciò fortemente indispettito – l’origine della rottura che ha lasciato
l’Italia in braghe di tela. Tutte panzane costruite per negare l’evidenza dei
fatti. Che, cioè, la crisi è stata innescata all’inizio di dicembre quando il
premier ha portato in Consiglio dei ministri la sua proposta di destinazione
dei fondi e di assetto della governance. Davanti alle proteste di Iv, Conte e
Gualtieri si sono illusi che la soluzione del problema fosse la riscrittura del
Piano. È stata infatti cambiata la destinazione delle varie poste, ma alla fine
con un esito che non pochi considerano peggiorativo rispetto alla prima
stesura. Non si teneva e non si tiene conto che a Renzi, uomo quanto mai
concreto e coi piedi per terra, interessa soprattutto esercitare un diretto
controllo sulla struttura tecnica che avrà il compito (e il potere) di
individuare i progetti a cui destinare quella gigantesca cascata di soldi. A
parte il consueto abuso del nome di Mario Draghi, l’essenziale per il piromane
è trovare il modo di collocare ai vertici del Mef qualcuno di sua fiducia. Del
resto, follow the money, segui il denaro è la regola che Matteo d’Arabia (nel
board saudita, 80mila euro all’anno) non ha mai disimparato. Tratto da “È ora di chiedersi per chi lavora davvero”
di Daniela Ranieri, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi sabato 30 di
gennaio 2021: (…). Il calibro dell’uomo è tale che non ha trovato momento migliore
per esercitare la sua volontà di prepotenza dell’apice di una pandemia che ha
provato il Paese allo stremo. Aveva solo l’arma di far cadere il governo,
distruggere l’alleanza che lo reggeva, disarcionare il presidente del Consiglio
che ha dieci volte il suo consenso, e l’ha usata. Ora, incattivito dal sapersi
odiato dalla maggioranza degli italiani da cui pretendeva di essere adorato (è
la definizione di personalità narcisistica secondo Lasch: una formazione
psichica in cui “l’amore rifiutato ritorna a sé sotto forma di odio”), dopo
aver prodotto il disastro se ne va bel bello in Arabia Saudita a curare i suoi
affari economici e ad adulare un regime efferato e liberticida; come un bambino
che dopo aver distrutto un giocattolo si dirige verso un’altra distrazione
senza alcun senso di colpa e responsabilità. Il video che testimonia della sua
gita è sconcertante. Nonostante sembri leggerla da un gobbo o recitarla a
memoria, la prolusione in inglese grottesco è un’agghiacciante mistura di
piaggeria e banalità. “È un grande piacere e onore essere qui con il grande
principe Mohammad bin Salman. Per me è un privilegio poter parlare con te di
Rinascimento… Credo che l’Arabia Saudita possa essere il luogo per un nuovo
Rinascimento futuro”. E come no. Nascesse oggi a Riyad, l’omosessuale
Michelangelo sarebbe arrestato, frustato, internato in clinica psichiatrica,
amputato e ammazzato con esecuzione pubblica. È di qualche rilevanza che il
grande principe Mohammad bin Salman, chiamato con deferenza Vostra Altezza, sia
ritenuto dall’Onu il mandante dell’omicidio del giornalista del Washington Post
Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel 2018 nel consolato saudita di Istanbul. Ora
viene magnificato come un principe rinascimentale da colui che ha definito
Conte un “vulnus per la democrazia”. (A proposito: chissà se dopo l’ospitata
ancora se lo litigano l’Onu e la Nato).Habitué dei regimi del Golfo, dove da
tempo piazza discorsi (anzi: speech) lautamente remunerati (a lasciare
interdetti è che nel mondo ci sia chi è disposto a pagare per starlo a sentire,
quando la maggioranza degli italiani pagherebbe per non sentirlo più), si dice
geloso del “costo del lavoro” locale, ignorando o fregandosene del fatto che in
Arabia Saudita esistono forme di lavoro neo-schiavistico e milioni di immigrati
lavorano alla crescita economica del regime in condizioni disumane. Le donne,
che lui si vanta di “valorizzare” in patria (togliendo loro la parola,
facendole dimettere a comando), non hanno alcun diritto e sono sottoposte alla
tutela maschile, e se si ribellano alla legge vengono torturate. (Ma forse si
riferiva al costo del suo lavoro: 80 mila euro sauditi l’anno). Il discorso
prosegue con le banalità che ci si aspetta da lui, già sentite nel documentario
kitsch di cui fu autore: dopo la peste viene il Rinascimento, Firenze piena di
soldi, “tanti soldi, così buoni finanziamenti, per creare un buon cittadino con
un grande investimento nell’istruzione, nell’intelligenza umana” (traduzione di
Fabio Chiusi). Baggianate da marketing, con spreco di quella “bellezza” da
depliant turistico in albergo, che prima scriveva nei suoi “libri” e ora va a
dire nelle petromonarchie più sordide del mondo. Lì dove partono le bombe per
lo Yemen lui vede un nuovo Rinascimento. Lo
sberluccichio dei soldi lo acceca, gli erode la eventuale moralità residua.
Da Riyad muove pedine in Italia per bocca delle vestali del suo partito-setta:
spediamo Conte in Europa e mettiamo Gentiloni a capo del governo, anzi Sassoli,
anzi Di Maio, anzi mettiamo Draghi all’economia e promettiamogli il Quirinale.
Torna per le consultazioni con aereo privato pagato dal fondo saudita nel cui
board siede, si burla della massima Istituzione della Repubblica producendosi
in un comizio in cui con voce stridula dice il contrario di quello che intanto
fa trapelare dalle agenzie. Pare in preda a un delirio superomistico, uno che
non ha più niente da perdere. Nel nostro ordinamento non esiste il reato di apologia
di regimi dittatoriali e sanguinari. Ci si può recare in cambio di soldi a
rendere omaggio ai loro padroni. Anche il suo idolo Tony Blair, quello che si
era inventato armi di distruzione di massa in Iraq, e Obama lavorano come
conferenzieri; ma nessuno di loro è ancora attivo in politica, mentre lui è
senatore e membro della commissione Difesa: o nell’universo parallelo degli
affari si è ritirato dalla politica nel 2016? Come diceva lui quand’era al
governo e si sentiva Nerone: poche chiacchiere. Per chi lavora questo
personaggio? Perseguendo quali interessi? La domanda è lecita, visto che le
risposte “per gli italiani” e “nell’interesse esclusivo della Nazione” sono a
questo punto le meno probabili.
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