Tratto da “Il
fantasma della libertà” di Marco Cicala, pubblicato sul settimanale “il
Venerdì di Repubblica” del 15 di gennaio 2021: Poteri, partiti, ortodossie:
nella sua vita breve, George Orwell cercò di girare alla larga da ogni vincolo
d'obbedienza. (…). Se oggi dici Grande Fratello quasi tutti pensano a un
format-tv che rischia di diventare longevo quanto Canzonissima o Domenica in.
Però Orwell resta autore non solo venerato ma innalzato a vessillo dalle tribù
politiche più disparate: anarco-conservatori, decrescisti eco-ascetici,
anti-liberisti, sovranisti, cacciatori di fake, fustigatori delle élite
cosmopolite, nostalgici di una Sinistra maschia, aguzzini di radical-chic e
molli progressisti bobò, castigatori della correctness e del neo-puritanesimo
censorio, distopisti apocalittici, grandi inquisitori dell'economia digitale e
dei suoi Big brothers - Google, Amazon, Facebook... - che controllano le nostre
vite. Dal gran bazar esce un Orwell a taglia unica, in microfibra
elasticizzata, che si può abbinare con tutto. Un profeta, un "santo
laico" - lui che, refrattario a qualsiasi religione, considerava la
santità "qualcosa da cui gli esseri umani dovrebbero guardarsi" e
riteneva la sua vita poco esemplare, se non altro perché "vista dall'interno,
ogni esistenza si presenta come una serie di sconfitte troppo umilianti e
avvilenti per essere anche solo contemplate". Abbandonato da polmoni già
malconci che un precoce e pervicace tabagismo aveva messo a durissima prova,
Eric Arthur Blair - il suo nome all'anagrafe - muore a Londra il 21 gennaio del
1950: giusto a metà del terribile Novecento e agli albori della "Guerra
fredda" - formula che era stato lui a coniare. Nel "secolo
breve", di cui pure sposò alcune tra le passioni, aveva riconosciuto l'epoca
nella quale 2+2 smette di fare 4 e i totalitarismi cancellano "la nozione
stessa di verità oggettiva" con l'incantesimo ideologico. Più che sommo
romanziere, George Orwell fu un grande scrittore politico. Eppure nei confronti
della politica - "per sua natura miscela di violenza e menzogna" -
aveva maturato un disgusto profondo, addossandone le colpe principalmente alla
Sinistra: "Ciò che ho visto in Spagna" raccontava nel 1940, "e
quanto ho visto da allora nel funzionamento dei partiti di sinistra, mi hanno
ispirato un orrore per la politica. Per sentimento sono definitivamente di
sinistra, ma sono convinto che uno scrittore può rimanere onesto solo se
mantiene libero da etichette di partito". Nella traiettoria orwelliana la
Guerra civile spagnola marca un prima e un dopo: è il vero battesimo di fuoco
del polemista. Ma per ricostruire quello shock bisogna ripartire dal dicembre
1936. Pochi giorni prima di Natale, George lascia Londra per andare a
combattere con gli antifascisti in Catalogna. Ha 33 anni, buona parte dei quali
vissuti disordinatamente. Malgrado provenga da una famiglia della middle class,
è stato ammesso con una borsa di studio all'elitario Eton College. Poi ha fatto
il poliziotto in Birmania, toccando con mano, nel ruolo di sbirro, le atrocità
del colonialismo. Alimentata dagli scapigliati furori del ribellismo giovanile,
quell'esperienza lo porterà a una secessione morale ancor prima che politica
dalla società borghese: "Sentivo di dover sottrarmi non soltanto
all'imperialismo, ma ad ogni forma di dominio dell'uomo sull'uomo". Con la
rabbia autopunitiva di chi vuole espiare le proprie radici di classe come un
peccato originale, in Inghilterra Orwell vive da clochard, e sul finire degli
anni Venti trascorre diciotto mesi a Parigi tra i plongeurs, i lavapiatti alla
frusta dei grandi alberghi. Le discese negli inferi del sottoproletariato
diverranno materia del suo primo libro, Senza un soldo a Parigi e a Londra
(1933). Dopo scrive tre romanzi di cui si accorgono in pochi, poi molla
l'impiego da commesso in una libreria londinese dell'usato e, su spinta
dell'editore progressista Gollancz, si immerge per due mesi tra operai e
minatori nelle regioni dell'Inghilterra settentrionale più malmenate dalla
depressione economica. La minuziosa inchiesta esce in volume nel marzo '37 col
titolo La strada di Wigan Pier. Intanto Orwell si è avvicinato alle posizioni
dell'Ilp, il partitino dei socialisti democratici a sinistra del Labour. Più
che gli scritti di Marx, di cui avrà sempre una conoscenza approssimativa, non
gli vanno giù i marxisti, ai quali imputa pesanti vizi analitici. Con i loro
schematismi, dice, tagliano "l'anatra arrosto con l'accetta" e
"non si preoccupano mai di scoprire che cosa accade nella testa dei loro
avversari". Miseria speculativa, questa, che emergerà platealmente
nell'interpretazione comunista del nazifascismo. Per Orwell, l'ascesa degli
Hitler e dei Mussolini non è - come pretende il marxismo dogmatico - l'ultimo
rantolo di un sistema capitalistico destinato motu proprio al collasso, bensì
un fenomeno a pieno titolo rivoluzionario, che fabbrica consenso canalizzando a
destra i rancori sociali grazie alla violenza di scattanti strutture
paramilitari e agli irretimenti di una formidabile comunicazione
propagandistica. Insomma, George Orwell approda in Spagna con il fondato
sospetto che i fascismi altro non siano se non il socialismo davvero
realizzato, però in chiave autoritaria. A Barcellona si incorpora nelle milizie
del Poum, micro-partito generalmente definito "trotzkista", ma in
realtà libertario-comunista. (…). Le fabbriche espropriate, le terre
collettivizzate, i camerieri che al caffè rifiutano la mancia come orrida
elemosina borghese, la gente che, abolito il Lei, si dà del Tu: l'eccitata
atmosfera di fraternità rivoluzionaria che il flemmatico, inglesissimo Orwell
respira nella Catalogna dominata dagli anarco-sindacalisti inciderà in lui un
segno indelebile. E forse saranno proprio quei ricordi a mantenerlo, malgrado
tutto, ancorato a sinistra fino all'ultimo. Ma battendosi nelle periferiche
trincee aragonesi George scopre che, così com'è condotta dagli anarchici, la
crociata antifascista è parecchio diversa da come se l'era immaginata. È una
sonnolenta, abborracciata guerra di posizione dove gli scontri col nemico si
riducono a sporadiche scaramucce dai risvolti talora grotteschi. Un giorno vede
un soldato franchista che, forse reduce dall'espletamento di inderogabili
bisogni fisiologici, scappa tenendosi su i calzoni. Annoterà: "Ero venuto
qui per sparare ai fascisti. Ma un uomo che si regge i pantaloni non è un
'fascista', è visibilmente un altro essere umano". Comunque quell'uggioso
clima bellico lo irrita. Lo innervosisce al punto da convincerlo a trasferirsi
nel cuore dalla battaglia, sul fronte di Madrid. Tra i suoi tanti fan
libertari, pochi sembrano oggi ricordare che nella primavera del '37 - pur
sapendole al guinzaglio del Partito comunista - Orwell sta per passare nelle
Brigate Internazionali. Da anglosassone pragmatico, alla generosità del Poum
preferisce l'efficacia dei comunisti: "Avevano una linea definita e
pratica, di gran lunga migliore in termini di buon senso, che si poteva riassumere
nello slogan: "Non possiamo parlare di rivoluzione finché non avremo vinto
la guerra"". Orwell è dunque in procinto di smarcarsi dallo
spontaneismo anarchico che - a dispetto delle ripetute batoste militari -
difende ancora l'osmosi tra guerra antifascista e rivoluzione proletaria,
quando a Barcellona succede qualcosa di traumatico. Manovrate dai comunisti
spagnoli e dai loro burattinai sovietici, le forze dell'ordine cominciano a far
fuori i libertari. L'Urss di Stalin, che cerca ancora un'intesa tattica con la
borghesia del Fronte Popolare, ne ha abbastanza di quegli
"incontrollabili". I leader del Poum e affini vengono eliminati. Sconvolto dal repulisti del maggio 1937, ma soprattutto dalla propaganda
comunista che presenta rivoluzionari e "trotzkisti" come agenti al
soldo del nazifascismo, Orwell ingrana d'istinto la retromarcia: «Non ho nessun amore per
il "lavoratore" idealizzato come si presenta alla fantasia del
borghese comunista"»
confessa, «"ma
quando vedo un operaio in carne ed ossa in lotta con il suo nemico naturale, il
poliziotto, allora non ho più da chiedermi da quale parte devo schierarmi». Così, per lealtà
istintiva, per attaccamento alla maglia, George rientra nei ranghi del Poum e
appena tornato sul fronte si becca in gola una pallottola franchista. La ferita
è meno grave di quanto non sembri. Però mette fine alla sua guerra di Spagna,
dando inizio a un'acerrima battaglia polemica contro lo stalinismo. Una lotta
che rasenterà l'accanimento e post mortem attirerà su di lui calunniosi sospetti
di delazione ai danni dell'intellighenzia filo-sovietica, facendone una specie
di maccartista ante litteram. Certo, nell'Inghilterra martellata dalle bombe
hitleriane, Orwell si muove da "patriota": davanti alle fauci
totalitarie, appoggia la democrazia "borghese" come il male minore.
Un po' pochino per leggere in quella scelta una sua virata a destra. "Se
alcuni pensano che io difenda lo status quo è perché, credo, sono loro a essere
diventati pessimisti e a ritenere che non ci sia alcuna alternativa fra la
dittatura e il capitalismo del laissez-faire" preciserà in seguito Mister
Blair. E, riaffermando la propria fedeltà al socialismo, respingerà le accuse
di paranoia antisovietica rivolte ai suoi romanzi. Della Fattoria degli animali
spiegherà: "Ho concepito il libro come una satira della rivoluzione
russa... ma intendevo dire che quel tipo di rivoluzione (rivoluzione
cospiratoria violenta, guidata da persone inconsciamente assetate di potere)
può condurre unicamente a un cambio di padroni. Volevo che la morale da trarre
fosse che le rivoluzioni possono portare a miglioramenti radicali solo quando
le masse sanno come sbarazzarsi dei loro leader non appena questi abbiano
portato a termine il loro compito". E poi, all'uscita di 1984: "Il mio
nuovo romanzo NON intende attaccare il socialismo o il Partito laburista
inglese (di cui sono sostenitore), ma mettere in luce le degenerazioni, in
parte già verificatesi sotto il comunismo e il fascismo, a cui sono soggette le
economie centralizzate". Uomo frugale, pacifico ma non pacifista, con un
debole per "il tabacco nero, le stufe a carbone, la luce delle candele e
le poltrone comode", amante di giardinaggio e orticoltura, allergico alla
vita metropolitana, Orwell rivendica un'idea di "patria" come civismo
e decenza dei modi di vita. È un "populista" che, magari
idealizzandole un po', annette alle classi povere il primato morale della
solidarietà. Nel giugno '44, con la prima moglie Eileen, che morirà pochi mesi
dopo, adotta un bambino, Richard (…). Per l'epoca, George è un padre
anticonvenzionale: cambia i pannolini al bebè e ne sorveglia la pappa sui
fornelli. Ma sul piano dei costumi - da "anarchico-tory", quale si
definiva - rimane un tradizionalista. Detesta il femminismo e "la donna
che ha perso la propria connotazione sessuale, che si è irrigidita e/o
mascolinizzata" notava il suo ammiratore Christopher Hitchens. D'altra parte, se non omofobo, Orwell non è
di sicuro un tipo gay friendly. "Non sono uno dei vostri finocchietti alla
moda" ringhiava contro gli scrittori della sinistra blasé tipo Wystan Hugh
Auden e Stephen Spender. Con quest'ultimo, tuttavia, si scuserà dopo averlo
incontrato di persona: "Quando si conosce qualcuno in carne ed ossa"
gli scrisse, "ci si rende subito conto di trovarsi di fronte a un essere
umano e non a una sorta di caricatura che incarna certe idee. È questa la
ragione per cui non frequento gli ambienti letterari. Per esperienza so infatti
che dopo aver fatto la conoscenza di un qualsiasi individuo e avergli parlato,
non sono più capace di trattarlo con brutalità intellettuale, pure nel caso in
cui mi sentissi in dovere di farlo". Che anche le menti più libere siano
attraversate dai limiti del proprio tempo è un'ovvietà. Ma oggi andatelo a
spiegare ai prelati della correttezza politica o ai giustizieri della Cancel
culture. Non è detto che prima o poi perfino il "santo" Orwell non
finisca nelle loro black list. (…).
Carissimo Aldo, interessantissimo e per me molto appassionante questo post! Grazie di cuore. Vorrei condividere alcune citazioni di George Orwell,a mio giudizio, molto incisive:"Se riesci a sentire fino in fondo che vale la pena conservare la propria condizione di esseri umani, anche quando non ne sortisce alcun effetto pratico, sei riuscito a sconfiggerli". "Nel nostro tempo non c'è possibilità di restare fuori dalla politica. Tutte le questioni sono questioni politiche e la politica, in sé, è una massa di menzogne, evasioni,follia, odio e schizofrenia". "Il concetto stesso di verità oggettiva sta scomparendo dal nostro mondo. Le bugie passeranno alla storia". "Se vuoi vedere un'immagine del futuro, immagina uno stivale che schiaccia per sempre un volto umano". "Molto meglio il lupo solitario del cane servile". "Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire". Grazie ancora e buona continuazione.
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