"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 19 gennaio 2021

Cosedaleggere. 96 Richard Horatio Blair: «Papà disprezzava i modi con cui i governi controllano la popolazione. E soprattutto le bugie».

 

Tratto da “Era mio padre. E mi salvò la vita”, intervista di Antonello Guerrera a Richard Horatio Blair – 76 anni, figlio adottivo di George Orwell - pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 15 di gennaio 2021: (…). "Dopo 70 anni ancora mi manca, ogni giorno penso a lui".

Richard, pensi se suo padre avesse ascoltato gli amici e l'avesse dato via... Che vita sarebbe la sua oggi? "Ah! Ma lui mi adorava. Mi aveva voluto fortemente perché sapeva di non poter avere figli e, nonostante stesse molto male, promise che non mi avrebbe mai lasciato. Abbandonò la Bbc per me. Avere una famiglia con figli era uno dei suoi imperativi. Era uno scrittore radicale e straordinario, ma ancor prima un essere umano con pensieri e desideri molto semplici".

E poi Orwell le salvò anche la vita, no? Il 19 agosto 1947, quando rischiaste di annegare tutti nel vorticoso golfo di Corryvreckan, al largo dell'isola di Jura, Scozia... "La barca si capovolge, papà riesce a spingerci verso un isolotto, mi protegge con il suo corpo fino all'arrivo di un pescatore. Ovviamente non ricordo cosa disse, ma è diceria comune sull'isola la sua esclamazione: 'Wow, l'abbiamo scampata bella!'".

Qual è l'ultimo ricordo di suo padre? "A metà 1949, poco prima che lui morisse il 21 gennaio 1950, sull'isola la nostra macchina buca. A un certo punto rimango da solo con papà. Mentre ripariamo il danno, mi parla, mi racconta qualche storiella, probabilmente improvvisata. Ma non ricordo quale".

Lei, Richard, è un testimone unico: perché su quell'isola di Jura, dove vi trasferiste dopo la sua adozione, ha assistito alla creazione del capolavoro di Orwell, 1984. "Ho vaghi ricordi. Ma papà era spesso chiuso nella sua stanza, anche se ogni tanto doveva fermarsi per qualche giorno a causa di un'infezione o qualche danno polmonare: stava spesso a letto, isolato, per non attaccarci niente. Altrimenti, quando scendeva al piano di sotto, mangiava con noi: un pasto abbondante alle 12.30 e una cena leggera alle 17. Ah, e poi amava pescare, quando il tempo glielo permetteva, così come il giardinaggio. Una volta mi fece pure fumare...".

Ah sì? "Sì, scese in cucina e per divertirsi un po' mi fece fare un tiro di pipa... Tossii. Oggi sarebbe un gesto quasi criminale, ma papà aveva solo senso dello humour. Mi adorava, non voleva uccidermi e non sono certo morto per questo".

Che cosa le manca oggi di George Orwell? "Mi sarebbe piaciuto essere stato più abbracciato. Ma a quel tempo gli abbracci e i baci in una famiglia inglese erano una rarità. E poi lui era malato, quindi stando lontano voleva proteggermi".

In tutti questi anni, dal vivo e poi ricostruendo da scritti e testimonianze, ha capito qual era la più grande qualità di Orwell? Oltre alla scrittura, ovviamente. "Era un padre adorabile. Soprattutto, non voleva caricarmi di pressioni e ambizioni, nonostante la sua fama. Difatti poi ho fatto l'agricoltore, il rappresentante, marketing... Non si preoccupò nemmeno del fatto, mi dissero, che cominciai a parlare molto tardi, a tre o quattro anni".

E quale eredità ci lascia Orwell, a 71 anni dalla morte? "L'istinto di indagare, di chiedere sempre conto alle autorità. Un precetto universale, perché spesso la verità non la dicono. Papà disprezzava i modi con cui i governi controllano la popolazione. E soprattutto le bugie".

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