Ha scritto Michele Serra in “Antigone e Gassman” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del
29 di ottobre 2020: Vale la pena, ogni tanto, tentare la sintesi. Si rischia la
semplificazione ma si evita di menare il can per l'aia. E la sintesi potrebbe
essere questa. Molti italiani, probabilmente la maggioranza, già all'inizio
della pandemia hanno capito che era meglio rispettare le regole (dovere e
convenienza a volte coincidono) e lo hanno fatto. Parecchi altri, probabilmente
una minoranza, no. È soprattutto a causa di costoro che paghiamo tutti il
prezzo, altissimo, della seconda ondata e della seconda imminente clausura. Le
inadempienze di governo e Regioni incidono sicuramente, ma mai quanto il "libera tutti" autodecretato, a partire
dall'estate, dall'Italia disobbediente per ignoranza e stupidità, magari
anche per sfizio, non certo per audacia o sacrificio: non è Antigone il
modello, è il Gassman del Sorpasso, che per sentire l'ebbrezza del vento in
faccia ammazza gli altri, mica sé stesso. Si tratta di politici che devono il
loro bottino di voti al culto del menefrego, masanielli da talk-show, filosofi
maccheronici convinti che libertà sia sinonimo di affari miei, ordinari
imbecilli e qualche cosciente mascalzone che conta di sopravvivere al macello
(degli altri). Il ristoratore, il gestore di cinema, il barista, il
commerciante che hanno rispettato le regole sanitarie ora cadono sotto la
stessa mannaia che altri meriterebbero. Il nostro Paese, del resto, è sede
abituale del ricatto e della sopraffazione che minoranze gaglioffe esercitano
su maggioranze inermi, chiamate a pagare anche per loro conto. Le mafie sono il
volto efferato del fenomeno, gli evasori fiscali quello ordinario, ora ci sono
anche i no-mask a esigere (da noi) il loro pizzo. Tratto da “Combattiamo tra di noi, ma non contro il Covid”
di Pino Corrias, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 29 di ottobre 2020: Doveva
accadere. E dunque accade che invece di fare la guerra al virus, abbiamo
cominciato a farcela tra noi. Da settimane stiamo tutti parlando, anzi
strillando, come se il contagio non fosse molto semplicemente, molto umanamente,
colpa nostra, ma dipendesse dal destino, dalla sfortuna, dalla politica, dal
governo. Specialmente dal governo: “Era annunciatissima, prevedibilissima la
seconda ondata!” scrivono i professionisti da divano, puntando il dito
dell’accusa. Anche se i più svelti a farlo sono gli stessi, proprio gli stessi,
che fino a quindici giorni fa dicevano il contrario. A cominciare dai giornali
della destra cialtrona: “Basta con la dittatura sanitaria!”, “Siamo al Covid
terrorismo!”, “Riaprite gli stadi!”, “Lasciateci lavorare”, “Libertà!
Libertà!”. Che poi sono le frasi urlate nei cortei di queste notti, al netto
dei sassi, dei saccheggi e delle molotov accese dai neofascisti e dagli ultras
in crisi di astinenza da stadio. Dal pulpito di Confindustria oggi ascoltiamo la
stessa musica: “Il governo si è fatto cogliere impreparato su scuola,
trasporti, sanità, locali pubblici” si lamentano. Dimenticandosi di tutte le
spallate date al governo in questi mesi dal presidente Carlo Bonomi “per
accelerare la ripresa concentrando i soldi sulle imprese”, altro che trasporti
e sanità. E i contro-appelli degli industriali a febbraio e marzo, specialmente
nelle aree più industrializzate del Veneto, Lombardia, Piemonte, per non
chiudere nulla, lavorare, lavorare, lavorare, fino a quando le strade dei
capannoni hanno coinciso con quelle attraversate dai camion dell’esercito che
trasportavano le bare. Tutti veloci, quanto lo sono i borseggiatori, a
scaricare le proprie responsabilità e a illuminare quelle altrui per
dichiarare, finalmente, guerra al bersaglio grosso. Come se non fossimo stati
noi tutti piccoli cittadini – i nostri figli, i nostri parenti, i nostri amici,
i nostri vicini di casa – a esserci infettati a vicenda, negli abbracci e nella
dimenticanza, salendo in ascensore o scendendo in metropolitana, in ufficio o
al bar. A cominciare da questa estate, davanti al mare, nelle piazze, ai
mercati della festa, tutti con così tanta voglia che l’onda nera del contagio
fosse passata per sempre da aver creduto che sarebbe bastato pensarlo per
renderlo vero. Il virus è mutato, il virus si è indebolito, il virus va
scomparendo: via le cautele, basta con le mascherine, con le restrizioni,
lasciateci vivere: l’assedio era diventato un fantasma e finalmente il fantasma
si stava dissolvendo. E invece stava proprio accadendo il contrario. E cioè che
muovendoci tutti, muovevamo anche la pandemia, nostra compagna di viaggio dalla
Lombardia alla Sardegna, da Venezia alla Versilia, dalle Dolomiti al Salento.
Siamo tutti andati e tornati con il virus in valigia in un collettivo e
spensierato free delivery che ci ha spinto nella trappola di oggi. Guardate le
cento foto che avete (che abbiamo) archiviato a luglio, agosto, settembre nelle
nostre memorie portatili. In ognuna c’è una cena, un compleanno, una festa
all’ora dell’aperitivo, un tramonto sul lungomare. Moltiplicatele per gli
spostamenti che avete (che abbiamo) fatto e troverete il danno che insieme
abbiamo allestito. La rabbia che ha acceso gli scontri nelle nostre città è
esattamente figlia di quella frustrazione per una colpa che non vogliamo
ammettere, insieme con il baratro economico che di nuovo si spalanca. Viviamo
nella bambagia dell’Occidente, insofferenti all’altruismo e ai sacrifici,
persuasi che il danno, la malattia, addirittura la morte, siano eventualità
remote. Interferenze da cancellare con tutte le procedure della modernità e le
endorfine dei consumi. Meno che mai ci sfiora il sospetto che sia proprio la
nostra vita a riprodurre e moltiplicare il Covid. Per questo andiamo
costantemente a caccia di un colpevole. Per assolvere noi stessi e farci così
tanta guerra tra noi, da dimenticarci del nostro nemico comune, il virus, che
ci divide anziché unirci.
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