"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 25 novembre 2020

Ifattinprima. 98 Covid, Borse, ricchezze, disuguaglianze.


Delle “Borse” o della “Borsa”, ma prima ancora si parli dell’Italia, dell’Italia che possiede e dell’Italia che poco ha o nulla ha, tanto da inverare quanto ebbe a scrivere il cronista fiorentino Marchionne di Coppo Stefani al tempo della peste nell’anno 1348: “E tale che non avea nulla si trovò ricco”. Ha scritto oggi su “il Fatto Quotidiano” Alessandro Robecchi in “Ricchi da Covid: 34 miliardi in tasca a 40 italiani. È il virus, che bellezza!”: (…). Disse Mattarella il 2 Giugno: “C’è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite. Qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro”. (…). Passati quasi sei mesi, col Natale alle porte, il dibattito sull’apertura delle piste da sci che surclassa quello sulla riapertura delle scuole (che non vendono skipass, non fatturano in polenta e stanze d’albergo, quindi chissenefrega), sarebbe forse il momento di fare il punto sulla “condivisione dell’unico destino”. E così ci vengono in aiuto due ricerche, da cui grondano numeri e dati. Una è quella del Censis, che si può riassumere con pochi punti fissi: 7,6 milioni di famiglie il cui tenore di vita è seriamente peggiorato causa pandemia, 600 mila persone entrate in quel cono d’ombra che sta sotto la soglia di povertà, 9 milioni di persone che hanno dovuto chiedere aiuto (a famigliari e/o banche). L’altra ricerca viene da PwC e Ubs (le banche svizzere), e ci dice che i miliardari (in dollari) italiani erano 36 l’anno scorso, e che quest’anno sono 40, hurrà. La loro ricchezza complessiva ammontava nel 2019 a 125,6 miliardi di dollari e poi, in quattro mesi (dall’aprile al luglio 2020) è balzata a 165 miliardi di dollari, con un incremento del 31 per cento e oltre quaranta miliardi di dollari in più. In euro, al cambio attuale, fa 33,7 miliardi. E siccome i numeri sono beffardi e cinici, ecco che il totale fa più o meno quanto si è tagliato alla Sanità pubblica in dieci anni, che è poi la stessa cifra che arriverebbe indebitandosi con il Mes (circa 36 miliardi). Non serve sovrapporre le due ricerche per capire che i vasi comunicanti della distribuzione della ricchezza non comunicano per niente, (…). Vengono in mente, chissà perché, le continue metafore e similitudini con cui si paragona l’attuale crisi pandemica a una guerra: le trincee degli ospedali, gli eroi sul campo (medici e infermieri), i sacrifici della popolazione, l’incertezza su mosse e contromosse, la seconda terribile offensiva del nemico. E si dimentica volentieri, in questa continua, sbandierata analogia tra Covid e conflitto armato, che chi si arricchisce durante una guerra è più “pescecane” che “dinamico imprenditore”. Però – sorpresona! – di colpo, davanti alle cifre dell’impennata dei super ricchi italiani, la metafora del “Covid come la guerra”, solitamente molto gettonata, si scolora, si attenua, sparisce del tutto. Sarà una guerra, d’accordo, ma quelli che pagano sono i 600 mila scaraventati nella loro nuova condizione di molto-poveri, o oltre sette milioni di famiglie che stringono la cinghia e i denti. Pagano i tanti soldati, insomma, mentre i pochi generali festeggiano le loro rimpolpate ricchezze. Forse con i 34 miliardi piovuti in tasca ai 40 miliardari italiani si potrebbero attenuare problemi e sofferenze di qualche milione di persone. Come “condivisione di un unico destino” non sarebbe male, anzi, sarebbe un’ottima “unità morale” che, ovviamente, non vedremo. Tratto da “Un vaccino per la Borsa” di Federico Rampini, pubblicato sul settimanale “A&F” del quotidiano “la Repubblica” di ieri 23 di novembre 2020: Viviamo nel migliore dei mondi: questo è il messaggio controcorrente che ci arriva dai mercati azionari. Nell'anno della pandemia e della recessione, molte Borse sono ai massimi storici. In particolare quelle asiatiche - dove il covid ebbe inizio - e quelle americane, in una nazione che supera i 250.000 morti e dove la seconda ondata impone nuovi lockdown. Il valore complessivo di tutte le Borse del pianeta punta verso i 95.000 miliardi di dollari. Per avere un ordine di grandezza questo valore è superiore al Pil aggregato di tutte le nazioni che raggiunge gli 83.000 miliardi (è chiaro che le due grandezze non sono commensurabili: la capitalizzazione di Borsa misura il prezzo di uno stock di ricchezza in un preciso istante, i Pil misurano i flussi di reddito generati in un anno). L'Europa finora è rimasta tagliata fuori dall'euforia finanziaria. Che significato ha tutto questo?La spiegazione più facile riguarda il versante asiatico. Dove si è risvegliata perfino la Borsa di Tokyo, leggendaria per la sua interminabile depressione: quest'anno è risalita al punto tale da raggiungere il suo record trentennale. Il Giappone è uno dei nuovi "miracoli asiatici": rientra in quel gruppo di paesi - mai abbastanza studiati da noi occidentali - che hanno sconfitto in modo magistrale il coronavirus, senza ricorrere a lockdown, con interventi mirati, precisione chirurgica, efficacia massima nell'isolare i focolai sul nascere. Il Giappone è un maestro nel rinascere dopo le crisi, (…). Oggi partecipa a una ripresa economica che coinvolge Estremo Oriente e Sud-est asiatico, con al centro la locomotiva cinese. La Repubblica Popolare cinese chiuderà l'anno con una crescita del 2% del Pil. Vietnam e Taiwan la inseguono da vicino, e tutta quell'area oggi rappresenta la parte del mondo che è già fuori dalla crisi. Che i flussi dei capitali scommettano su quelle Borse è logico.La festa di Wall Street ha spiegazioni un po' meno intuitive. Qui il divario di percezione tra l'economia reale e i mercati finanziari è stridente. L'economia americana chiuderà l'anno con un Pil pesantemente negativo e un tasso di disoccupazione più che raddoppiato rispetto a febbraio. La ripresa è cominciata e il terzo trimestre diede un risultato abbastanza spettacolare (in apparenza, perché il rimbalzo del +33% nel Pil non bastava a compensare il crollo precedente). Però nell'ultimo mese la forte impennata dei contagi, il ritorno di misure restrittive che stanno avvicinandosi a veri e propri lockdown, ha avuto la conseguenza di rallentare la ripresa. Lo si vede sul mercato del lavoro dove la convalescenza si è interrotta e le richieste di indennità di disoccupazione sono tornate a salire. New York Stock Exchange e Nasdaq sono un universo parallelo, sconnesso dalle sofferenze della maggior parte degli americani? Non è proprio così. La performance stellare di alcuni indici azionari ha spiegazioni razionali. Nel periodo più recente i rialzi delle Borse Usa sono stati alimentati dalle notizie sui vaccini. Non solo i due vaccini più prossimi al traguardo sono prodotti da multinazionali americane (Pfizer e Moderna), ma soprattutto la tabella di marcia per la loro approvazione, fabbricazione di massa, distribuzione, si sta facendo più ravvicinata di quanto si poteva prevedere. L'impatto di una vaccinazione di massa sarebbe molto positivo per la crescita economica, questo è indiscutibile. Gli investitori dunque, pur vedendo che nel breve termine la situazione sanitaria ed economica peggiora, sono fiduciosi sul medio termine.Qualcosa di simile del resto sta accadendo sul mercato immobiliare, molto vivace negli Stati Uniti: tante famiglie stanno comprando casa, il volume di compravendite è ai massimi da 14 anni, anche questo è un segnale di fiducia. (Nel boom immobiliare si mescola anche qualche cambiamento strutturale, migrazioni interne, esodi dalle metropoli, o ricerche di abitazioni più ampie che fungano da casa-ufficio, investimenti spinti da prospettive di smartworking a lungo termine).L'altra spiegazione della performance di indici come S&P500, Nasdaq, è legata alle fortune di Big Tech. Un trio di colossi digitali come Amazon Apple Microsoft ha avuto rialzi superiori al 30% dall'inizio dell'anno. Questi sono i colossi, insieme ad Alphabet-Google e Facebook. Poi dietro di loro c'è una miriade di aziende meno grandi ma ugualmente protagoniste di performance spettacolari: da Netflix a Logitech a Zoom solo per citarne qualcuna. È un mondo che esce vincitore dalla pandemia. Tutta l'economia digitale, che ha in America i più importanti campioni mondiali o almeno occidentali (la Cina ha i suoi), assapora dall'inizio dei lockdown il trionfo che sappiamo. È come se i grandi innovatori concentrati sulla West Coast degli Stati Uniti avessero cominciato a prepararsi vent'anni fa per questa pandemia. Non è così - anche se a Bill Gates bisogna riconoscere virtù profetiche in questo campo - ma semplicemente l'economia digitale ha progettato e reso possibile un universo funzionale ai lockdown. Tutto ciò che ci consente di lavorare in smartworking, socializzare a distanza, occupare il tempo libero con serie tv e videogame, tutto esisteva già grazie alla Silicon Valley. Poiché queste stesse aziende avevano già raggiunto un peso dominante sugli indici di Borsa, i rialzi di Big Tech pesano in modo enorme sulla performance degli indici. Anche sotto questo profilo, non c'è nulla di irrazionale nel boom dei mercati.Naturalmente va ricordato che se Big Tech ha profittato in modo smisurato dai lockdown, qualche aggiustamento al ribasso sarà inevitabile quando i vaccini ci consentiranno di uscire dai lockdown. Tuttavia alcune abitudini si saranno incrostate, sarà difficile cancellare il 2020 e tornare indietro al 100% a modalità di lavoro e stili di vita pre-pandemia. Alcuni cambiamenti strutturali sono irreversibili: tanti librai indipendenti falliti sotto il rullo compressore della crisi e di Amazon, non rinasceranno. Amazon promette un attacco simile alle farmacie, dopo aver invaso e sconvolto tanti altri settori della distribuzione tradizionale.Un ultimo fattore dietro i rialzi delle Borse sono le politiche monetarie e di bilancio. Dal Giappone agli Stati Uniti le manovre di spesa pubblica per sostenere la ripresa hanno raggiunto livelli mai visti dalla seconda guerra mondiale; nell'Eurozona questo sarà ancora più vero quando si sbloccherà il Recovery Fund. La politica monetaria è eccezionalmente espansiva nel mondo intero. Con i titoli pubblici che rendono poco o addirittura offrono interessi negativi, una parte di quella liquidità tende per forza a cercare investimenti più rischiosi, come le azioni. Purtroppo questo mix di politiche monetarie e rialzi di Borsa ha un effetto collaterale inquietante: tornano ad aumentare le diseguaglianze. Poiché i più ricchi, e soprattutto gli straricchi, possiedono una quota soverchiante dei capitali azionari, il boom delle Borse scava il divario con la maggioranza della popolazione. Non era scontato e non accadde in passato: le grandi calamità, come la Depressione o le guerre mondiali, tendevano a ridurre le diseguaglianze, non a peggiorarle.

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