Delle “Borse” o della “Borsa”, ma prima ancora si
parli dell’Italia, dell’Italia che possiede e dell’Italia che poco ha o nulla
ha, tanto da inverare quanto ebbe a scrivere il cronista
fiorentino Marchionne di Coppo Stefani al tempo della peste nell’anno 1348: “E tale che non avea nulla si
trovò ricco”. Ha scritto oggi su “il Fatto Quotidiano” Alessandro
Robecchi in “Ricchi da Covid: 34
miliardi in tasca a 40 italiani. È il virus, che bellezza!”: (…).
Disse Mattarella il 2 Giugno: “C’è qualcosa che viene prima della politica e
che segna il suo limite. Qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza
e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino,
il sentirsi responsabili l’uno dell’altro”. (…). Passati quasi sei mesi, col
Natale alle porte, il dibattito sull’apertura delle piste da sci che surclassa
quello sulla riapertura delle scuole (che non vendono skipass, non fatturano in
polenta e stanze d’albergo, quindi chissenefrega), sarebbe forse il momento di
fare il punto sulla “condivisione dell’unico destino”. E così ci vengono in
aiuto due ricerche, da cui grondano numeri e dati. Una è quella del Censis, che
si può riassumere con pochi punti fissi: 7,6 milioni di famiglie il cui tenore
di vita è seriamente peggiorato causa pandemia, 600 mila persone entrate in
quel cono d’ombra che sta sotto la soglia di povertà, 9 milioni di persone che
hanno dovuto chiedere aiuto (a famigliari e/o banche). L’altra ricerca viene da
PwC e Ubs (le banche svizzere), e ci dice che i miliardari (in dollari)
italiani erano 36 l’anno scorso, e che quest’anno sono 40, hurrà. La loro
ricchezza complessiva ammontava nel 2019 a 125,6 miliardi di dollari e poi, in
quattro mesi (dall’aprile al luglio 2020) è balzata a 165 miliardi di dollari,
con un incremento del 31 per cento e oltre quaranta miliardi di dollari in più.
In euro, al cambio attuale, fa 33,7 miliardi. E siccome i numeri sono beffardi
e cinici, ecco che il totale fa più o meno quanto si è tagliato alla Sanità
pubblica in dieci anni, che è poi la stessa cifra che arriverebbe indebitandosi
con il Mes (circa 36 miliardi). Non serve sovrapporre le due ricerche per
capire che i vasi comunicanti della distribuzione della ricchezza non
comunicano per niente, (…). Vengono in mente, chissà perché, le continue
metafore e similitudini con cui si paragona l’attuale crisi pandemica a una
guerra: le trincee degli ospedali, gli eroi sul campo (medici e infermieri), i
sacrifici della popolazione, l’incertezza su mosse e contromosse, la seconda
terribile offensiva del nemico. E si dimentica volentieri, in questa continua,
sbandierata analogia tra Covid e conflitto armato, che chi si arricchisce
durante una guerra è più “pescecane” che “dinamico imprenditore”. Però –
sorpresona! – di colpo, davanti alle cifre dell’impennata dei super ricchi
italiani, la metafora del “Covid come la guerra”, solitamente molto gettonata,
si scolora, si attenua, sparisce del tutto. Sarà una guerra, d’accordo, ma
quelli che pagano sono i 600 mila scaraventati nella loro nuova condizione di
molto-poveri, o oltre sette milioni di famiglie che stringono la cinghia e i
denti. Pagano i tanti soldati, insomma, mentre i pochi generali festeggiano le
loro rimpolpate ricchezze. Forse con i 34 miliardi piovuti in tasca ai 40
miliardari italiani si potrebbero attenuare problemi e sofferenze di qualche
milione di persone. Come “condivisione di un unico destino” non sarebbe male,
anzi, sarebbe un’ottima “unità morale” che, ovviamente, non vedremo. Tratto
da “Un vaccino per la Borsa” di Federico
Rampini, pubblicato sul settimanale “A&F” del quotidiano “la Repubblica” di
ieri 23 di novembre 2020: Viviamo nel migliore dei mondi: questo è il
messaggio controcorrente che ci arriva dai mercati azionari. Nell'anno della
pandemia e della recessione, molte Borse sono ai massimi storici. In
particolare quelle asiatiche - dove il covid ebbe inizio - e quelle americane,
in una nazione che supera i 250.000 morti e dove la seconda ondata impone nuovi
lockdown. Il valore complessivo di tutte le Borse del pianeta punta verso i
95.000 miliardi di dollari. Per avere un ordine di grandezza questo valore è
superiore al Pil aggregato di tutte le nazioni che raggiunge gli 83.000
miliardi (è chiaro che le due grandezze non sono commensurabili: la
capitalizzazione di Borsa misura il prezzo di uno stock di ricchezza in un
preciso istante, i Pil misurano i flussi di reddito generati in un anno).
L'Europa finora è rimasta tagliata fuori dall'euforia finanziaria. Che
significato ha tutto questo?La spiegazione più facile riguarda il
versante asiatico. Dove si è risvegliata perfino la Borsa di Tokyo, leggendaria
per la sua interminabile depressione: quest'anno è risalita al punto tale da
raggiungere il suo record trentennale. Il Giappone è uno dei nuovi
"miracoli asiatici": rientra in quel gruppo di paesi - mai abbastanza
studiati da noi occidentali - che hanno sconfitto in modo magistrale il
coronavirus, senza ricorrere a lockdown, con interventi mirati, precisione
chirurgica, efficacia massima nell'isolare i focolai sul nascere. Il Giappone è
un maestro nel rinascere dopo le crisi, (…). Oggi partecipa a una ripresa
economica che coinvolge Estremo Oriente e Sud-est asiatico, con al centro la
locomotiva cinese. La Repubblica Popolare cinese chiuderà l'anno con una
crescita del 2% del Pil. Vietnam e Taiwan la inseguono da vicino, e tutta
quell'area oggi rappresenta la parte del mondo che è già fuori dalla crisi. Che
i flussi dei capitali scommettano su quelle Borse è logico.La
festa di Wall Street ha spiegazioni un po' meno intuitive. Qui il divario di
percezione tra l'economia reale e i mercati finanziari è stridente. L'economia
americana chiuderà l'anno con un Pil pesantemente negativo e un tasso di
disoccupazione più che raddoppiato rispetto a febbraio. La ripresa è cominciata
e il terzo trimestre diede un risultato abbastanza spettacolare (in apparenza,
perché il rimbalzo del +33% nel Pil non bastava a compensare il crollo
precedente). Però nell'ultimo mese la forte impennata dei contagi, il ritorno
di misure restrittive che stanno avvicinandosi a veri e propri lockdown, ha
avuto la conseguenza di rallentare la ripresa. Lo si vede sul mercato del
lavoro dove la convalescenza si è interrotta e le richieste di indennità di
disoccupazione sono tornate a salire. New York Stock Exchange e Nasdaq sono un
universo parallelo, sconnesso dalle sofferenze della maggior parte degli
americani? Non è proprio così. La performance stellare di alcuni indici
azionari ha spiegazioni razionali. Nel periodo più recente i rialzi delle Borse
Usa sono stati alimentati dalle notizie sui vaccini. Non solo i due vaccini più
prossimi al traguardo sono prodotti da multinazionali americane (Pfizer e
Moderna), ma soprattutto la tabella di marcia per la loro approvazione,
fabbricazione di massa, distribuzione, si sta facendo più ravvicinata di quanto
si poteva prevedere. L'impatto di una vaccinazione di massa sarebbe molto
positivo per la crescita economica, questo è indiscutibile. Gli investitori
dunque, pur vedendo che nel breve termine la situazione sanitaria ed economica
peggiora, sono fiduciosi sul medio termine.Qualcosa di simile del resto sta
accadendo sul mercato immobiliare, molto vivace negli Stati Uniti: tante
famiglie stanno comprando casa, il volume di compravendite è ai massimi da 14
anni, anche questo è un segnale di fiducia. (Nel boom immobiliare si mescola
anche qualche cambiamento strutturale, migrazioni interne, esodi dalle
metropoli, o ricerche di abitazioni più ampie che fungano da casa-ufficio,
investimenti spinti da prospettive di smartworking a lungo termine).L'altra
spiegazione della performance di indici come S&P500, Nasdaq, è legata alle
fortune di Big Tech. Un trio di colossi digitali come Amazon Apple Microsoft ha
avuto rialzi superiori al 30% dall'inizio dell'anno. Questi sono i colossi,
insieme ad Alphabet-Google e Facebook. Poi dietro di loro c'è una miriade di
aziende meno grandi ma ugualmente protagoniste di performance spettacolari: da
Netflix a Logitech a Zoom solo per citarne qualcuna. È un mondo che esce
vincitore dalla pandemia. Tutta l'economia digitale, che ha in America i più
importanti campioni mondiali o almeno occidentali (la Cina ha i suoi), assapora
dall'inizio dei lockdown il trionfo che sappiamo. È come se i grandi innovatori
concentrati sulla West Coast degli Stati Uniti avessero cominciato a prepararsi
vent'anni fa per questa pandemia. Non è così - anche se a Bill Gates bisogna
riconoscere virtù profetiche in questo campo - ma semplicemente l'economia
digitale ha progettato e reso possibile un universo funzionale ai lockdown.
Tutto ciò che ci consente di lavorare in smartworking, socializzare a distanza,
occupare il tempo libero con serie tv e videogame, tutto esisteva già grazie
alla Silicon Valley. Poiché queste stesse aziende avevano già raggiunto un peso
dominante sugli indici di Borsa, i rialzi di Big Tech pesano in modo enorme
sulla performance degli indici. Anche sotto questo profilo, non c'è nulla di
irrazionale nel boom dei mercati.Naturalmente va ricordato che se Big Tech ha
profittato in modo smisurato dai lockdown, qualche aggiustamento al ribasso
sarà inevitabile quando i vaccini ci consentiranno di uscire dai lockdown.
Tuttavia alcune abitudini si saranno incrostate, sarà difficile cancellare il
2020 e tornare indietro al 100% a modalità di lavoro e stili di vita
pre-pandemia. Alcuni cambiamenti strutturali sono irreversibili: tanti librai
indipendenti falliti sotto il rullo compressore della crisi e di Amazon, non
rinasceranno. Amazon promette un attacco simile alle farmacie, dopo aver invaso
e sconvolto tanti altri settori della distribuzione tradizionale.Un
ultimo fattore dietro i rialzi delle Borse sono le politiche monetarie e di
bilancio. Dal Giappone agli Stati Uniti le manovre di spesa pubblica per sostenere
la ripresa hanno raggiunto livelli mai visti dalla seconda guerra mondiale;
nell'Eurozona questo sarà ancora più vero quando si sbloccherà il Recovery
Fund. La politica monetaria è eccezionalmente espansiva nel mondo intero. Con i
titoli pubblici che rendono poco o addirittura offrono interessi negativi, una
parte di quella liquidità tende per forza a cercare investimenti più rischiosi,
come le azioni. Purtroppo questo mix di politiche monetarie e rialzi di Borsa
ha un effetto collaterale inquietante: tornano ad aumentare le diseguaglianze.
Poiché i più ricchi, e soprattutto gli straricchi, possiedono una quota
soverchiante dei capitali azionari, il boom delle Borse scava il divario con la
maggioranza della popolazione. Non era scontato e non accadde in passato: le
grandi calamità, come la Depressione o le guerre mondiali, tendevano a ridurre
le diseguaglianze, non a peggiorarle.
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