Lascia intendere che l’Ancien régime fosse più egualitario del sistema repubblicano fondato sulla meritocrazia… «Per me la Rivoluzione francese ha generato un’uguaglianza giuridica di fronte alla legge importante. Prendo in giro Montesquieu perché voleva conservare i privilegi giuridici della nobiltà a livello locale e faccio il paragone con le persone che oggi non si fidano di un catasto finanziario mondiale e che vogliono mantenere dei paradisi fiscali per poter fuggire ai cosiddetti governi dittatoriali. È lo stesso argomento di Montesquieu che non voleva la centralizzazione repubblicana, perché sosteneva che avrebbe avuto conseguenze dittatoriali. La Rivoluzione francese impone la centralizzazione del sistema giuridico e dello stato di diritto in una comunità di 30 milioni di persone che, tenendo conto dei mezzi di trasporto dell’epoca, è come oggi l’Europa. La creazione di quest’unità giuridica ha permesso di evitare di cadere sotto l’arbitrio delle élite locali. Ma è anche vero che nello stesso tempo si nazionalizza la capacità dei proprietari di difendere il proprio diritto alla proprietà e di non estenderlo ad altri. Ci vorrà molto tempo perché questa capacità di stato sia messa al servizio di un altro progetto politico».
Le idee alla base della sua proposta di socialismo partecipativo, come la tassazione progressiva sul reddito e il patrimonio e la proprietà temporanea, sono chiare. Quale partito le sta interpretando oggi? I politici l’ascoltano? «Credo che le idee facciano il loro cammino. Il dibattito sulle imposte progressive o la condivisione del potere nelle aziende esistono da anni. Dalla crisi finanziaria del 2008, molti Paesi come Stati Uniti, Francia e Spagna hanno sviluppato delle proposte nuove. Bisogna considerare la trasformazione ideologica in corso negli Usa. La campagna per le primarie del partito democratico negli Stati Uniti è stata vinta da Bernie Sanders e Elizabeth Warren, che avevano la metà dei voti. Cosa hanno proposto? Di creare un’imposta federale sul patrimonio negli Stati Uniti, con tassi che arrivano fino all’8 per cento per i miliardari. Chi possiede 100 miliardi avrebbe pagato 8 miliardi all’anno di imposte, quindi in 10 anni avrebbe pagato 80 miliardi con una exit tax al 40 per cento. In Europa il tasso delle imposte sul patrimonio non ha mai superato il 2-3 per cento. Roosevelt, negli Stati Uniti, ha applicato una fiscalità progressiva fino all’ 80 per cento sulle grandi ricchezze, applicata dal 1930 al 1980». (…).
Quindi la fiscalità è lo strumento principale per combattere le disuguaglianze economiche? «Gli strumenti più importanti sono la ridefinizione giuridica della proprietà e il potere attribuito ai lavoratori. L’idea chiave del socialismo partecipativo che propongo è la condivisione del potere: gli impiegati di un’azienda, anche se non ne detengono nessuna azione, devono avere la metà dei diritti di voto nei consigli d’amministrazione».
Come in Germania? «Come in Germania, ma vorrei che accadesse in tutte le aziende, anche le più piccole. Penso che per il 50 per cento degli azionisti ci dovrebbe essere un tetto, diciamo del 10 per cento, sui diritti di voto che un azionista può avere al di sopra di una certa dimensione dell’azienda, per esempio 100 dipendenti. L’idea è che il potere dovrebbe circolare, come il reddito e la proprietà. Se i dipendenti o una collettività locale possiedono il 10-20 per cento delle azioni - come in Germania - la maggioranza cambierà anche di fronte a chi possiede l’80-90 per cento delle azioni. Ovviamente dal punto di vista degli azionisti questo è tabù. Per le piccole imprese, il creatore dell’impresa conserva la maggioranza dei voti, ma dovrà discutere e deliberare con i suoi 10 impiegati. Grazie al confronto si può cambiare il sistema».
Il governo Conte 1 ha adottato il reddito di cittadinanza, proposto dal M5S. In più la Lega voleva flat tax. Queste misure contribuiscono all’uguaglianza? «Critico severamente la flat tax. Il giorno in cui il M5S ha accettato la flat tax per poter fare la coalizione con Salvini, in cambio del reddito di cittadinanza, ha mostrato a che punto il partito mancasse di una colonna vertebrale politica e ideologica. La flat tax è la peggior misura che si possa immaginare: se si vuole una società più giusta bisogna creare le condizioni per non trattare in modo diverso un miliardario e chi ha un reddito minimo. Gli scarti di reddito e patrimonio devono essere ragionevoli. Oggi l’imposta sul reddito in Russia è al 13 per cento, che tu sia un oligarca che guadagna 100 miliardi al mese o un pensionato che guadagna 100 rubli al mese. Il risultato è una società inegualitaria e ingiusta. Questo mostra la deriva nazionalista, identitaria, xenofoba di alcuni partiti, che cercano di far credere che, colpendo gli immigrati si risolvano i problemi di uguaglianza tra classi sociali e non ci sia più bisogno di ridistribuzione, di far pagare di più chi guadagna di più. La strategia di Trump è dire: «Poveri bianchi, il vostro nemico sono i poveri messicani, cinesi, musulmani e non il grande miliardario bianco che vi protegge». Mi ha rattristato vedere che il M5S fosse disponibile a cedere sulla flat tax, perché so che nel M5S rispetto alla Lega c’erano potenzialità più interessanti, una volontà di redistribuzione».
E il reddito di cittadinanza? «Credo che il reddito di base sia da sviluppare. È solo una delle componenti per ridurre gli scarti salariali, insieme a maggiori diritti per i dipendenti, una tassazione progressiva e la redistribuzione della proprietà. Oltre al reddito di base e l’accesso all’istruzione per tutti, propongo l’accesso a un’eredità per tutti: a 25 anni tutti ricevono 120 mila euro di patrimonio; un’imposta progressiva sulla successione permetterebbe di pagare questa eredità. Concretamente le persone che ricevono zero con questo sistema ne riceverebbero 120 mila e quelli che ricevono oggi 1 milione, con l’imposta che propongo ne riceverebbero 600 mila».
Che tipo di influenza sulle disuguaglianze ha avuto l’attuale crisi sanitaria? «Il Covid è una catastrofe. Non penso sia uno choc tale da cambiare il sistema: ha rafforzato le disuguaglianze. La reazione dell’Unione europea è stata di creare un debito comune per rilanciare l’economia e aiutare i Paesi più colpiti. Potenzialmente è stata una svolta importante, ma per ora abbiamo perso questa opportunità. Le misure non sono state adottate dai parlamenti nazionali e continuiamo ad essere bloccati dalla regola dell’unanimità in una Europa che impedisce di andare più lontano, più rapidamente, di adottare misure di giustizia sociale comuni. È arrivato il momento per Italia, Francia, Spagna, Germania, il 75 per cento della popolazione e del Pil della zona euro, di creare un’assemblea comune di parlamentari. Sarebbe l’occasione per votare a maggioranza un piano di rilancio più ambizioso, proponendo ad altri Paesi di raggiungere l’assemblea. Mi preoccupa il modo in cui ci siamo sottomessi al diritto di veto di Olanda o Danimarca. Il piano di luglio deve essere ancora ratificato e non sappiamo a che punto siamo. Se fosse approvato e fra 2-3 mesi scoprissimo che è insufficiente, cosa faremo? Come affrontare il debito comune? Al momento la soluzione è lasciare che la Banca Centrale Europea crei abbastanza moneta per assorbire nel bilancio tutti i debiti. Questa soluzione regola la questione del debito, ma aumenta le disuguaglianze di patrimonio, dopando il corso della borsa e quello immobiliare, arricchendo i più ricchi. Mi piacerebbe che il governo italiano fosse più offensivo nelle sue proposte di trasformazione democratica dell’Europa. Penso che l’opinione pubblica sarebbe pronta a sostenere un piano più ambizioso».
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