Tratto da “Per
lavorare meno bisogna liberare le passioni” di Umberto Galimberti,
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 5 di novembre
dell’anno 2016: Lo sviluppo tecnologico renderebbe oggi per la prima volta possibile
l'utopia di Marx e Marcuse. L'ostacolo è la civiltà dei consumi che sequestra
la creatività e la vita. Al di là degli stereotipi, tipici di chi non ha mai
letto Marx e perciò lo inquadra nei soliti luoghi comuni che per altro non gli
corrispondono proprio, (…) un tema, quello del tempo libero, inteso come
padronanza e disponibilità del proprio tempo, (…) a Marx stava particolarmente
a cuore. Per lui l'alienazione non era solo nel fatto che il salario del
lavoratore fosse inferiore al valore che il manufatto messo sul mercato aveva
acquisito grazie al suo lavoro, ma era soprattutto nel fatto che tutto il tempo
e quindi tutta la vita del lavoratore fosse sequestrata dal suo lavoro. Scrive
nel Capitale: «L'operaio quando si presenta sul mercato vende, come tutti, la
sua merce che, nel suo caso, è la sua forza lavoro. Chi la compra la vuole
tutta per sé, dimenticando che l'operaio ha bisogno di tempo non solo per
soddisfare i suoi bisogni fisici, ma soprattutto per la soddisfazione dei suoi
bisogni intellettuali e sociali, la cui estensione e il cui numero sono
determinati dallo stato generale della civiltà. Ma siccome per il capitalista
il tempo di lavoro appartiene unicamente all'autovalorizzazione del capitale,
il tempo per un'educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per
l'adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero gioco
delle energie vitali fisiche e mentali, perfino il tempo festivo domenicale,
per il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo
mannaro, queste esigenze sono puri e semplici fronzoli». Un secolo dopo queste
considerazioni, Herbert Marcuse in Eros e civiltà (1955-1966) ipotizza che i
risultati raggiunti dalle società industriali avanzate potrebbero capovolgere
il senso di marcia della civiltà, spezzando il nesso che da sempre è esistito
tra un lavoro che non prevede rallentamenti o interruzioni e le condizioni di
vita. Oggi, che siamo sufficientemente riforniti di beni, si potrebbe allentare
questa morsa, liberando quelli che Marcuse chiama «istinti di vita», che non
sono solo strettamente erotici, ma si esprimono nell'amore per tutto ciò che
piace. Oggi che lo sviluppo della tecnica (neppure ipotizzabile, soprattutto a
livello informatico, negli anni Cinquanta) ridurrà sempre di più i posti di
lavoro, automatizzando un'infinità di operazioni un tempo affidate all'attività
umana, si potrebbe restituire alla vita il suo senso, che non è solo quello di
dedicarla per intero al lavoro, ma di esprimerla in forme piacevoli e creative
che neppure si riescono a immaginare se tutta la vita è assorbita dal lavoro.
Perchè avvenga, è necessario che il capitalismo - a proposito del quale Marx
dice che «non è avaro, ma collezionista» nel senso che dove vede una
possibilità di guadagno ci si butta come un «lupo mannaro», a prescindere dal
bisogno di guadagnare ancora al di là della ricchezza, magari anche immensa,
che già si possiede - rinunci a questa sua malattia, e che i consumatori
rinuncino a soddisfare i bisogni indotti, che si decresca un po', sostituendo
alla felicità che la società dei consumi ha collocato nel possesso delle cose,
la felicità che scaturisce dalle relazioni e dal coltivare le nostre passioni
affettive e intellettuali. Perché, come dicevano gli antichi Greci, la felicità
consiste nel realizzare se stessi ed esprimere le proprie potenzialità, e se
questo non accade si è vissuto per niente. Ma forse non abbiamo già più un gran
rispetto della vita: non dico per la vita degli altri - questo disinteresse è
già stato ampiamente raggiunto - ma per la nostra vita stessa.
"Le ricchezze materiali possono essere rubate, quelle reali no.Nella tua anima vi sono cose infinitamente preziose che non possono esserti portate via".(Oscar Wilde). "La felicità non si trova nel semplice possesso di denaro, si trova nella gioia della realizzazione, nel brivido dello sforzo creativo".(Franklin Roosevelt). "Non siamo ricchi per ciò che possediamo, ma per ciò di cui possiamo fare a meno".(Immanuel Kant). "La ricchezza somiglia all'acqua di mare, quanto più se ne beve, tanto più si ha sete".(Arthur Schopenhauer). Grazie per questo meraviglioso post e buona continuazione.
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