Avete visto “Midnight
in Paris” (2011), commedia premio “Oscar” (2012) per la sceneggiatura diretta
da Woody Allen? Alla visione del film rimanda, con un suo imprevedibile automatismo,
la lettura di “Gli artisti rivivono
nella Parigi deserta” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” dell’8 di
novembre ultimo a firma di Bernardo Valli. Se l’ambientazione della vicenda
cinematografica di Woody Allen ed il “pezzo” scritto da Bernardo Valli
ripercorrono periodi di Storia diversi – il secondo afflitto dalla pandemia in
corso – i richiami però sono identici e pieni di misteriosi ed affascinanti
riferimenti. Nella prima opera, che è cinematografica, si narrano le avventure
notturne in una Parigi d’altri tempi di Owen Wilson – nel film Gil Pender -, uno
sceneggiatore di Hollywood la cui vena creativa attraversa un periodo proprio “nero”.
In vacanza nella capitale francese con la fidanzata Rachel McAdams – nel film Inez
-, il nostro protagonista fatica a portare a termine il suo primo lavoro
narrativo, lavoro non molto apprezzato ed incoraggiato dalla fidanzata, che lo
esorta invece a proseguire con più decisione nella più remunerativa sua
carriera di sceneggiatore. La coppia protagonista viene raggiunta da
ricchissimi amici di Inez: Micheal Sheen – nel film Paul -, saccente intellettuale
e la di lui moglie Carol. L’intellettuale parla o straparla di Parigi con ostentata
autorità ma con una palpabile, grande, approssimazione. Inez lo ammira, Gil lo
trova insopportabile. Una sera, dopo una abbondante degustazione di vini, Gil è
oltre modo euforico e pur di liberarsi di quelle invadenti amicizie decide di andare
per le strade notturne e deserte di Parigi. È a questo punto che il “miracolo”
si invera. Alla mezzanotte in punto, un'auto d’epoca – anni venti del ‘900 - si
ferma accanto a lui e i passeggeri – artisti, scrittori e musicisti famosissimi
dei tempi andati - lo invitano a salire sul mezzo. E così il nostro Gil raggiunge
un sontuoso appartamento all’interno del quale si svolge una festa con e per Jean
Cocteau, con la partecipazione di importanti intellettuali della Parigi di quegli
anni: Zelda e Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Salvador Dalì, Pablo Picasso
e la sua compagna Adriana (Marillon Cotillard). Dopo aver discusso di
scrittura, Hemingway sottopone il lavoro narrativo di Gil a Gertrude Stein,
scrittrice americana (Allegheny, 3 febbraio 1874 – Neuilly-sur-Seine, 27 luglio
1946). Gil esce per raggiungere la casa della Stein per recuperare il suo
manoscritto, ma scopre di essere tornato nel presente: il bar, dove stavano
bevendo i letterati e gli artisti, è ora una lavanderia a gettoni. La notte
successiva, Gil tenta di introdurre anche Inez nella notturna avventura, ma la giovane
donna va via insofferente ancor prima che scocchi la mezzanotte in punto per il
passaggio della macchina d’epoca. Gil rimane solo nel suo viaggio nel tempo fino…
all’incontro con una dolcissima, graziosissima, sensibilissima giovine donna
conosciuta in uno degli innumerevoli “mercatini delle pulci” di quella magica
città. Un finale tutto da scoprire che non voglio per nulla anticipare. È di
quelle stesse dolcissime sensazioni - che trapelano in abbondanza dalla e nella
opera cinematografica - che ha percepito e trasmesso anche Bernando Valli nel
Suo mirabile “pezzo” che in parte riporto: (…). Non immaginavo un mondo senza più
confini, ma un mondo con meno confini invalicabili, non essendo più necessari
ad arginare le rivalità nazionali e ideologiche. Un pianeta, certo, ancora
litigioso, con fiammate di terrorismo e scontri armati cronici circoscritti, ma
con meno violenza di massa. Ero un illuso. Lo eravamo in tanti. Non potevamo
prevedere che un virus avrebbe provocato morti come un conflitto armato e
ripristinato tante frontiere, per difendersi non da nemici umani, ma da contagi
imprevedibili. Il regolamento in vigore nella Parigi in cui vivo mi consente di
allontanarmi dalla mia abitazione non più di un chilometro e per non più di
un’ora. Invece di essere cancellati i confini si sono moltiplicati, all’interno
delle stesse nazioni, sia pure provvisoriamente e in modo più o meno rigido.
Scorrono, per il momento, proprio sotto casa. Posso valicarli per motivi
eccezionali, se sono in grado di giustificarmi con la polizia a presidio di
tutti i quartieri. Abitando sulla Riva destra della Senna, non posso
raggiungere la Riva sinistra senza un motivo valido. Chi cammina per Parigi
deve mostrare, se richiesto dalla polizia, l’“Attestation de déplacement
dérogatoire”, un modulo, una specie di foglio di via, stampato con il computer,
da compilare quando metti piede fuori casa: l’ora d’uscita, il motivo, la
destinazione. Lo spazio urbano in cui posso muovermi liberamente, sempre con
l’Attestation in tasca, è quello che un tempo veniva chiamato la “Nuova Atene”
(la Nouvelle Athènes). Ho l’impressione che quel vecchio titolo sia stato
rispolverato. Mi ritengo fortunato perché, trovandosi la mia strada al centro
di questo spazio (nel cuore dell’attuale Nono arrondissement, sotto Montmartre)
posso riacciuffare con la memoria celebri personaggi che vi hanno vissuto e
luoghi altrettanto celebri, non risparmiati dalla Parigi moderna. È come se in
una fase drammatica della storia, non solo francese, fossi rimasto prigoniero
di un’area privilegiata, che scopri nuda e quasi silenziosa grazie all’assenza
di un traffico assordante e alla mancata attrazione delle vetrine, ora spente,
dei negozi chiusi. Si è contagiati e si muore come altrove, ma in una cornice
ricca di immagini e di ricordi, da tempo sepolti. Il nome di “Nuova Atene” è
stato dato da un giornalista (Dureau de la Malle) nel 1823 al quartiere Saint
Georges non ancora del tutto urbanizzato, dove, divelti vecchi preziosi
vigneti, sorgevano numerosi cantieri, e tra i palazzi appena costruiti erano
nate, esplose, tante attività culturali. Era in corso la guerra di indipendenza
greca contro l’Impero ottomano. Ed è in onore ai patrioti di Atene che fu
battezzato il quartiere. Ma era un nome adatto anche a un’area dedicata
all’arte: teatri, musei, atelier di pittori e scultori ancora oggi attivi, se
non fossero provvisoriamente chiusi per l’epidemia che imperversa. Il virus per
ora invincibile risveglia il passato remoto. Nella “Nuova Atene” ridisegnata
con l’immaginazione si aggirano celebri fantasmi che animarono l’epoca
romantica parigina: scrittori, attori, musicisti, pittori. In rue Chaptal c’è
un tempio di quel periodo che due secoli dopo ci appare magico. Il Museo della
Vita Romantica, imprigionato dalle case costruite sui giardini di un tempo,
dopo le distruzioni del 1870, durante la Comune, è una reliquia. L’edificio,
con pochi altri nel quartiere, è dello stile della “Nuova Atene”. Il
proprietario era un pittore olandese, figlio di un tedesco e naturalizzato
francese. Ary Scheffer era un apprezzato autore di ritratti di personaggi
famosi, e un animatore mondano. L’atelier della rue Chaptal era anche la sua
abitazione. E il venerdì sera nei suoi saloni riceveva l’élite del movimento
romantico, non sempre solo francesi: George Sand, Chopin, Liszt, Turgheniev,
Dickens, Maria Malibran, Rossini, Gounod, Delacroix, Géricault... Due secoli dopo,
la città svuotata dal virus lascia spazio a nobili fantasmi. Questa
sera andrò a ri-vedere quella “magia” di Woody Allen.
"L'aspetto delle cose varia secondo le emozioni e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi".(Khalil Gibran). "Senza emozione, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l'apatia in movimento".(Carl Gustav Jung). "So che l'uomo è capace di grandi cose, ma se non è capace di grandi emozioni, beh, mi lascia freddo".(Albert Camus). "Una mente tutta logica è come un coltello tutto lama. Fa sanguinare la mano che lo usa".(Rabindranath Tagore). "L'artista è un ricettacolo di emozioni che vengono da ogni luogo:dal cielo, dalla terra,da un pezzo di carta, da una forma di passaggio, da una tela di ragno".(Pablo Picasso). Grazie Aldo, per questo post stupendo, così incisivo e coinvolgente, perché tanto ricco di significati profondi e misteriosi che sono anche, per me,preziosi spunti di riflessione. Buona continuazione.
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