"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 24 novembre 2020

Cosedaleggere. 83 Bergoglio, l’Uomo: «Questi sono stati i miei principali "Covid" personali».

Ha scritto Enzo Bianchi – ex priore di Bose – in "Reagire all’indifferenza" ieri lunedì 23 di novembre 2020 sul quotidiano “la Repubblica”: Ricordare, rileggere quello che si è vissuto, discernere come lo si è vissuto e infine confrontarlo con il presente, è operazione importante per la nostra consapevolezza e sapienza umana. Lo stesso progetto del futuro dipende dallo sguardo penetrante sul passato e dall’analisi del presente.  Mettiamo in pratica questo metodo considerando le due ondate di pandemia. Quella primaverile, inattesa, che ci sorprese, richiedendoci dei mutamenti improvvisi di stili di vita; quella autunnale, preannunciata da alcuni ma non creduta dai più. Molte fatiche e sofferenze si sono ripetute, ma è diverso lo spirito con cui le abbiamo vissute. All’inizio vi fu una certa esplosione vitalistica di scongiuri contro la pandemia: canti e musiche dai balconi, grida che tutto sarebbe andato bene, iniziative talvolta fantasiose tese ad affermare la volontà di combattere una guerra e vincerla. (…). …regna l’indifferenza: l’indifferenza che oggi proviamo al suono delle ambulanze che percorrono le nostre città come a marzo; l’indifferenza verso il numero di morti e le modalità terribili con le quali i più se ne vanno, in una solitudine disperante; l’indifferenza verso quelli che oggi provano molta più angoscia, perché si moltiplicano le vittime tra i loro conoscenti. Degli anziani che vivono soli in pochi metri quadrati, veri invisibili perché nessuno li conosce né li chiama per nome, nemmeno nel condominio, mi hanno detto con molta tristezza: «Ci si abitua a tutto!». Occorre invece reagire, confermandoci gli uni gli altri nella speranza, scambiandoci con fiducia parole e segni di attenzione reciproca, e anche con l’indignazione verso situazioni che dipendono da comportamenti e scelte irresponsabili. Trascrivo di seguito “Cosa imparai a un passo dalla morte”, riportato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri 23 di novembre ed estratto dal volume “Ritorniamo a sognare” di Jorge Mario Bergoglio, vescovo di Roma – Piemme editrice, pagg. 176, Euro 15.90 -: Nella mia vita ho avuto tre situazioni "Covid": la malattia, la Germania e Córdoba. Quando a ventun anni ho contratto una grave malattia, ho avuto la mia prima esperienza del limite, del dolore e della solitudine. Mi ha cambiato le coordinate. Per mesi non ho saputo chi ero, se sarei morto o vissuto. Nemmeno i medici sapevano se ce l'avrei fatta. Ricordo che un giorno chiesi a mia madre, abbracciandola, di dirmi se stavo per morire. Frequentavo il secondo anno del seminario diocesano a Buenos Aires. Ricordo la data: era il 13 agosto 1957. A portarmi in ospedale fu un prefetto, accortosi che non avevo il tipo di influenza che si cura con l'aspirina. Per prima cosa mi estrassero un litro e mezzo di acqua da un polmone, poi restai a lottare tra la vita e la morte. A novembre mi operarono per togliermi il lobo superiore destro del polmone. So per esperienza come si sentono i malati di coronavirus che combattono per respirare attaccati a un ventilatore. Di quei giorni ricordo in particolare due infermiere. Una era la caposala, una suora domenicana che prima di essere inviata a Buenos Aires era stata docente ad Atene. Ho saputo in seguito come, dopo che il medico se ne andò una volta concluso il primo esame, sia stata lei a dire alle infermiere di raddoppiare la dose del trattamento che lui aveva prescritto - a base di penicillina e di streptomicina - perché la sua esperienza le diceva che stavo morendo. Suor Cornelia Caraglio mi salvò la vita. Grazie al suo contatto abituale con i malati, conosceva meglio del medico ciò di cui avevano bisogno i pazienti, ed ebbe il coraggio di usare quell'esperienza. Un'altra infermiera, Micaela, fece la stessa cosa quando ero straziato dal dolore. Mi dava in segreto dosi extra di calmanti, fuori dell'orario previsto. Cornelia e Micaela ormai sono in cielo, ma sarò sempre in debito con loro. Si sono battute per me fino alla fine, finché non mi sono ripreso. Mi hanno insegnato che cosa significa usare la scienza e sapere andare anche oltre, per rispondere alle necessità specifiche. Da quella esperienza ho imparato un'altra cosa: quanto sia importante evitare la consolazione a buon mercato. Le persone mi venivano a trovare e mi dicevano che sarei stato bene, che non avrei mai più provato tutto quel dolore: sciocchezze, parole vuote dette con buone intenzioni, ma che non mi sono mai arrivate al cuore. La persona che più mi ha toccato nell'intimo, con il suo silenzio, è stata una delle donne che mi hanno segnato la vita: suor María Dolores Tortolo, mia insegnante da piccolo, che mi aveva preparato per la Prima Comunione. Venne a vedermi, mi prese per mano, mi diede un bacio e se ne stette zitta per un bel po'. Poi mi disse: "Stai imitando Gesù". Non c'era bisogno che aggiungesse altro. La sua presenza, il suo silenzio, mi donarono una profonda consolazione. Dopo quell'esperienza presi la decisione di parlare il meno possibile quando visito malati. Mi limito a prendergli la mano. (...). Potrei dire che il periodo tedesco, nel 1986, è stato il "Covid dell'esilio". Fu un esilio volontario, perché ci andai per studiare la lingua e a cercare il materiale per concludere la mia tesi, ma mi sentivo come un pesce fuor d'acqua. Scappavo a fare qualche passeggiatina verso il cimitero di Francoforte e da lì si vedevano decollare e atterrare gli aeroplani; avevo nostalgia della mia patria, di tornare. Ricordo il giorno in cui l'Argentina vinse i Mondiali. Non avevo voluto vedere la partita e seppi che avevamo vinto solo l'indomani, leggendolo sul giornale. Nella mia classe di tedesco nessuno ne fece parola, ma quando una ragazza giapponese scrisse "Viva l'Argentina" sulla lavagna, gli altri si misero a ridere. Entrò la professoressa, disse di cancellarla e chiuse l'argomento. Era la solitudine di una vittoria da solo, perché non c'era nessuno a condividerla; la solitudine di non appartenere, che ti fa estraneo. Ti tolgono da dove sei e ti mettono in un posto che non conosci, e in quel mentre impari che cosa conta davvero nel luogo che hai lasciato. A volte lo sradicamento può essere una guarigione o una trasformazione radicale. Così è stato il mio terzo "Covid", quando mi mandarono a Córdoba dal 1990 al 1992. La radice di questo periodo risaliva al mio modo di comandare, prima da provinciale e poi da rettore. Qualcosa di buono senz'altro lo avevo fatto, ma a volte ero stato molto duro. A Córdoba mi hanno reso il favore e avevano ragione. In quella residenza gesuita trascorsi un anno, dieci mesi e tredici giorni. Celebravo la Messa, confessavo e offrivo direzione spirituale, ma non uscivo mai, se non quando dovevo andare all'ufficio postale. Fu una specie di quarantena, di isolamento, come nei mesi scorsi è successo a tanti di noi, e mi fece bene. Mi portò a maturare idee: scrissi e pregai molto. Fino a quel momento nella Compagnia avevo avuto una vita ordinata, impostata sulla mia esperienza dapprima da maestro dei novizi e poi di governo dal 1973, quando ero stato nominato provinciale, al 1986, quando conclusi il mio mandato di rettore. Mi ero accomodato in quel modo di vivere. Uno sradicamento di quel tipo, con cui ti spediscono in un angolo sperduto e ti mettono a fare il supplente, sconvolge tutto. Le tue abitudini, i riflessi comportamentali, le linee di riferimento anchilosate nel tempo, tutto questo è andato all'aria e devi imparare a vivere da capo, a rimettere insieme l'esistenza. Di quel periodo, oggi, mi colpiscono in particolare tre cose. Prima, la capacità di pregare che mi è stata donata. Seconda, le tentazioni che ho provato. E terza - ed è la cosa più strana - che allora mi sia capitato di leggere i trentasette tomi della Storia dei Papi di Ludwig Pastor. Avrei potuto scegliere un romanzo, qualcosa di più interessante. Da dove sono adesso mi domando perché Dio mi avrà ispirato a leggere proprio quell'opera in quel momento. Con quel vaccino il Signore mi ha preparato. Una volta che conosci quella storia, non c'è molto che possa sorprenderti di quanto accade nella curia romana e nella Chiesa di oggi. Mi è servito molto! Il "Covid" di Córdoba è stato una vera purificazione. Mi ha dato più tolleranza, comprensione, capacità di perdonare. Mi ha lasciato anche un'empatia nuova con i deboli e gli indifesi. E pazienza, molta pazienza, ovvero il dono di capire che per le cose importanti ci vuole tempo, che il cambiamento è organico, che ci sono limiti e dobbiamo operare al loro interno e mantenere al tempo stesso gli occhi sull'orizzonte, come ha fatto Gesù. Ho imparato l'importanza di vedere il grande nel piccolo, e di stare attento al piccolo nelle cose grandi. È stato un periodo di crescita in molti sensi, come tornare a germogliare dopo una potatura a fondo. Ma devo stare in guardia, perché quando cadi in certi difetti, in certi peccati, e ti correggi, il diavolo, come dice Gesù, torna, vede la casa "spazzata e adorna" (Luca 11, 25) e va a chiamare altri sette spiriti peggiori di lui. La fine di quell'uomo, dice Gesù, diventa molto peggiore di prima. Di questo devo preoccuparmi, adesso, nel mio incarico di governare la Chiesa: di non cadere negli stessi difetti di quando ero superiore religioso. [...]. Questi sono stati i miei principali "Covid" personali. Ne ho imparato che soffri molto, ma se lasci che ti cambi ne esci migliore. Se invece alzi le barricate, ne esci peggiore.

1 commento:

  1. "La solitudine è indispensabile per l'uomo perché acutizza la sensibilità e amplifica le emozioni".(Walter Bonatti). "Quando si evita ad ogni costo di ritrovarsi soli, si rinuncia all'opportunità di provare la solitudine:quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee, meditare, riflettere, creare e,in ultima analisi, dare senso e sostanza alla comunicazione ".(Zygmunt Bauman). " La solitudine ha morbide mani di seta, ma con forti dita afferra il cuore e lo fa soffrire. La solitudine è alleata del dolore come pure una compagnia di esaltazione spirituale".(Khalil Gibran). "Le grandi elevazioni dell'anima non sono possibili se non nella solitudine e nel silenzio".(Arturo Graf). "Poco per volta comincio a vedere chiaro sul più universale difetto del nostro genere di formazione e di educazione:nessuno impara, nessuno tende, nessuno insegna a sopportare la solitudine". (Friedrich Nietzsche). "Bisogna essere molto forti per amare la solitudine".(Pier Paolo Pasolini). "La solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo".(L.A.Seneca). Grazie, Aldo, per aver condiviso questo post eccezionale, che consolida alcuni miei punti di vista. "Ritorniamo a sognare" è un libro che sicuramente leggerò, perché è forte in me la speranza che questo periodo di solitudine, di paura e di crisi possa servire a rendere migliore e più consapevole almeno una parte dell'umanità, quella che crede possibile un mondo più giusto. Buona continuazione.

    RispondiElimina