Quadro primo.
Tratto da "Chiudiamo le Rsa. Ma per
sempre" di Enzo Bianchi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di
oggi lunedì 26 di ottobre: (…). Gli anziani sono ritenute persone che
stanno per uscire dalla vita, e ad essi non solo non si riconosce più la
saggezza dell’esperienza ma vengono considerati unicamente dal punto di vista
demografico: quanto pesa la loro percentuale sulla società a livello medico;
quale impegno comporta la loro assistenza; quale costo rappresentano per la
società. Molti sono soli, abbandonati, senza nessuno che li cerchi o li
riconosca, invisibili e quasi senza nome, visto che nessuno più li chiama. In
quest’ora di pandemia vivono la clausura e, nonostante quanto si è vissuto in
primavera e la previsione della seconda ondata, nulla è stato approntato
affinché l’isolamento potesse essere alleviato da possibili visite, in
strutture apposite che permettano, senza il pericolo del contagio, di
incontrarsi, vedersi, sorridersi e parlarsi. E così la solitudine imposta
diventa desolazione e ben presto disperazione. Sono queste le parole che
ascolto più spesso da quegli anziani che mi telefonano dalle Rsa per sentire
una voce amica. Forse perché ho molto ascoltato il grande teologo e visionario
Ivan Illich, mio amico, ho sempre diffidato della "istituzione della
carità": non solo perché è una carità "presbite", che demanda ad
altri di stare vicino a chi noi teniamo lontano, ma perché istituzionalizzare
orfani, malati e anziani significa ritenerli scarti, fuori dal giro della vita.
Abbiamo chiuso le case per malati mentali, abbiamo chiuso gli orfanotrofi:
cerchiamo di chiudere presto anche le Rsa! Contrastiamo la follia che ci conduce
a una vecchiaia artificiale di solitudine e di non vita, impegnandoci a
percorrere vie diverse, come in altri Paesi: convivenze, condomini protetti,
comunità, domiciliarità. Altrimenti
succederà sempre più ciò che molti vecchi mi hanno confidato: chiedono di non
venire più curati e di essere lasciati morire al più presto. Povera umanità!
Quadro secondo.
Tratto da “Le nostre vite sfilacciate
nella città ripiombata nel silenzio” di Natalia Aspesi pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” di oggi lunedì 26 di ottobre: (…). Che fare? Visto che le buone
maniere democratiche non solo non migliorano la situazione ma consentono a una
quantità di pazzi di dire la loro diventando star del web e della televisione e
peggiorando quindi sia il morbo che le persone, oso pensare che senza arrivare
a Beria (che risolverebbe tutto in mezza giornata), un polsino meno fragile si
potrebbe immaginare, per esempio: tralasciando oltre all'avanti e indietro di
chiusure e aperture a vari orari, smettere di fantasticare-promettere quando
questa vita di nebbia finirà: tra una settimana, tra trenta giorni, a Natale,
la prossima estate... Non lo sappiamo noi sempliciotti, non lo sanno i cretini
e i saccenti, non lo sanno i governi, non lo sa la scienza, forse non lo sa
nemmeno il Covid-19 stesso. Nei secoli ci si è abituati a vivere con le guerre
di religione, le guerre tra nazioni, le carestie, la peste e tutte le
maledizioni della terra, perché non attrezzarsi anche adesso per convivere con
questa pandemia, difendendosi al meglio sino a quando, se gli umani non
troveranno un'arma definitiva, per ignoti incantesimi riprenderà la sua
astronave e se ne andrà a far fuori gli abitanti, animali o vegetali o minerali
di un altro sistema solare? Ci vorrebbe però quella disposizione d'animo ignota
agli italiani che si chiama disciplina, e una anche peggio, detta ubbidienza:
ma pure, e qui siamo dei maghi, una delle nostre virtù massime è proprio quella
di violare anche la legge meno fastidiosa, perché fregare gli altri ci rende
importanti, in quanto siamo quelli che non si fanno fregare. Oppure seguire
l'istinto di sopravvivenza, non ritenere uno stupro disinfettarsi spesso le
mani, una galera star qualche sera a casa, un attentato alla libertà portare la
mascherina (quando per la moda si è disposti a ogni tortura tipo tacco a spillo
o tatuaggio anche nei luoghi meno esposti allo sguardo). Sarà mortalmente
noioso tanto da creare depressione e violenza rinunciare alla movida, quando a
noi vecchi pare noiosissimo stare in piedi con un bicchiere in mano davanti a
un bar a chiacchierare con uno sconosciuto di cose prive di interesse e
rigorosamente solo dopo mezzanotte. E le palestre? Non ne ho mai vista una in
tutta la mia vita, ma nella pubblicità e nei film si vedono ambosessi di ogni
età solitari, senza nessuno vicino, che sudano orribilmente sballonzolando su
congegni da tortura: se però poi fanno una doccia con qualche disinfettante
bruciantissimo sono a posto. E i teatri e i cinema e i musei e quei luoghi dove
si fa cultura presentando libri o altro? Si sa che non contano nulla perché non
interessano a chi conta ma proprio per questo perché chiuderli?
In pochi,
immobili, distanziati, con ingegnose mascherine-casco che qualche maghetto sta
già inventando, che consentirebbero magari di respirare attraverso le orecchie,
dico per dire. E gli inviti a casa? Chi ha saloni di 200 metri quadri con
tavoli come quello su cui cenavano contente una cinquantina di signorine alla
volta nel palazzo Berlusconi, potrebbe invitarne quattro? E chi vive in due
locali in otto? Meglio in questo caso stare fuori all'addiaccio? Ci vuole
pazienza ma se si decide di trovare davvero almeno dei rammendi a questa vita
sfilacciata, in attesa del vaccino che poi in milioni non vorranno fare, ci
sarà un'altra guerra che in quel caso dovrà essere spietata. Intanto, tornando
al caro Beria, i primi passi verso la convivenza con la peste e derivati
sarebbero: chiudere la bocca a qualsiasi virologo o altro autonominatosi
specialista, oscurare tutti i commentatori, multare chiunque dice che tanto la
pandemia non esiste, chiudere i siti di chi continua a occuparsi solo di
sbarchi di milioni di africani col Covid, raccontando di nigeriani che si
tolgono le mutande davanti a un asilo nido, di marocchini che schiaffeggiano
passanti, di ministre dell'Interno che proibiscono le case popolari ai vecchi
italiani messi sul lastrico per affittarle a trans brasiliani. C'è su Facebook
con molto altro. Non si vorrebbe esagerare chiedendo l'impossibile: ma insomma
tutti questi chiacchieroni della politica che ormai sono diventati noiosissimi,
non potrebbero rispettare cinque minuti, dico cinque minuti di silenzio, giusto
per immaginare i modi, che forse ci sono, per instaurare una resa, addirittura
una collaborazione tra chi non vuole morire di contagio e chi se non proprio di
miseria, di guadagni ridotti? Azzardo, magari non chiedendo come sempre aiuto
al miserando Stato, ma a sé stesso?
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