"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 26 ottobre 2020

Virusememorie. 42 «Rammendi a questa vita sfilacciata».

 

Quadro primo. Tratto da "Chiudiamo le Rsa. Ma per sempre" di Enzo Bianchi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi lunedì 26 di ottobre: (…). Gli anziani sono ritenute persone che stanno per uscire dalla vita, e ad essi non solo non si riconosce più la saggezza dell’esperienza ma vengono considerati unicamente dal punto di vista demografico: quanto pesa la loro percentuale sulla società a livello medico; quale impegno comporta la loro assistenza; quale costo rappresentano per la società. Molti sono soli, abbandonati, senza nessuno che li cerchi o li riconosca, invisibili e quasi senza nome, visto che nessuno più li chiama. In quest’ora di pandemia vivono la clausura e, nonostante quanto si è vissuto in primavera e la previsione della seconda ondata, nulla è stato approntato affinché l’isolamento potesse essere alleviato da possibili visite, in strutture apposite che permettano, senza il pericolo del contagio, di incontrarsi, vedersi, sorridersi e parlarsi. E così la solitudine imposta diventa desolazione e ben presto disperazione. Sono queste le parole che ascolto più spesso da quegli anziani che mi telefonano dalle Rsa per sentire una voce amica. Forse perché ho molto ascoltato il grande teologo e visionario Ivan Illich, mio amico, ho sempre diffidato della "istituzione della carità": non solo perché è una carità "presbite", che demanda ad altri di stare vicino a chi noi teniamo lontano, ma perché istituzionalizzare orfani, malati e anziani significa ritenerli scarti, fuori dal giro della vita. Abbiamo chiuso le case per malati mentali, abbiamo chiuso gli orfanotrofi: cerchiamo di chiudere presto anche le Rsa! Contrastiamo la follia che ci conduce a una vecchiaia artificiale di solitudine e di non vita, impegnandoci a percorrere vie diverse, come in altri Paesi: convivenze, condomini protetti, comunità, domiciliarità.  Altrimenti succederà sempre più ciò che molti vecchi mi hanno confidato: chiedono di non venire più curati e di essere lasciati morire al più presto. Povera umanità!

Quadro secondo. Tratto da “Le nostre vite sfilacciate nella città ripiombata nel silenzio” di Natalia Aspesi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi lunedì 26 di ottobre: (…). Che fare? Visto che le buone maniere democratiche non solo non migliorano la situazione ma consentono a una quantità di pazzi di dire la loro diventando star del web e della televisione e peggiorando quindi sia il morbo che le persone, oso pensare che senza arrivare a Beria (che risolverebbe tutto in mezza giornata), un polsino meno fragile si potrebbe immaginare, per esempio: tralasciando oltre all'avanti e indietro di chiusure e aperture a vari orari, smettere di fantasticare-promettere quando questa vita di nebbia finirà: tra una settimana, tra trenta giorni, a Natale, la prossima estate... Non lo sappiamo noi sempliciotti, non lo sanno i cretini e i saccenti, non lo sanno i governi, non lo sa la scienza, forse non lo sa nemmeno il Covid-19 stesso. Nei secoli ci si è abituati a vivere con le guerre di religione, le guerre tra nazioni, le carestie, la peste e tutte le maledizioni della terra, perché non attrezzarsi anche adesso per convivere con questa pandemia, difendendosi al meglio sino a quando, se gli umani non troveranno un'arma definitiva, per ignoti incantesimi riprenderà la sua astronave e se ne andrà a far fuori gli abitanti, animali o vegetali o minerali di un altro sistema solare? Ci vorrebbe però quella disposizione d'animo ignota agli italiani che si chiama disciplina, e una anche peggio, detta ubbidienza: ma pure, e qui siamo dei maghi, una delle nostre virtù massime è proprio quella di violare anche la legge meno fastidiosa, perché fregare gli altri ci rende importanti, in quanto siamo quelli che non si fanno fregare. Oppure seguire l'istinto di sopravvivenza, non ritenere uno stupro disinfettarsi spesso le mani, una galera star qualche sera a casa, un attentato alla libertà portare la mascherina (quando per la moda si è disposti a ogni tortura tipo tacco a spillo o tatuaggio anche nei luoghi meno esposti allo sguardo). Sarà mortalmente noioso tanto da creare depressione e violenza rinunciare alla movida, quando a noi vecchi pare noiosissimo stare in piedi con un bicchiere in mano davanti a un bar a chiacchierare con uno sconosciuto di cose prive di interesse e rigorosamente solo dopo mezzanotte. E le palestre? Non ne ho mai vista una in tutta la mia vita, ma nella pubblicità e nei film si vedono ambosessi di ogni età solitari, senza nessuno vicino, che sudano orribilmente sballonzolando su congegni da tortura: se però poi fanno una doccia con qualche disinfettante bruciantissimo sono a posto. E i teatri e i cinema e i musei e quei luoghi dove si fa cultura presentando libri o altro? Si sa che non contano nulla perché non interessano a chi conta ma proprio per questo perché chiuderli?

In pochi, immobili, distanziati, con ingegnose mascherine-casco che qualche maghetto sta già inventando, che consentirebbero magari di respirare attraverso le orecchie, dico per dire. E gli inviti a casa? Chi ha saloni di 200 metri quadri con tavoli come quello su cui cenavano contente una cinquantina di signorine alla volta nel palazzo Berlusconi, potrebbe invitarne quattro? E chi vive in due locali in otto? Meglio in questo caso stare fuori all'addiaccio? Ci vuole pazienza ma se si decide di trovare davvero almeno dei rammendi a questa vita sfilacciata, in attesa del vaccino che poi in milioni non vorranno fare, ci sarà un'altra guerra che in quel caso dovrà essere spietata. Intanto, tornando al caro Beria, i primi passi verso la convivenza con la peste e derivati sarebbero: chiudere la bocca a qualsiasi virologo o altro autonominatosi specialista, oscurare tutti i commentatori, multare chiunque dice che tanto la pandemia non esiste, chiudere i siti di chi continua a occuparsi solo di sbarchi di milioni di africani col Covid, raccontando di nigeriani che si tolgono le mutande davanti a un asilo nido, di marocchini che schiaffeggiano passanti, di ministre dell'Interno che proibiscono le case popolari ai vecchi italiani messi sul lastrico per affittarle a trans brasiliani. C'è su Facebook con molto altro. Non si vorrebbe esagerare chiedendo l'impossibile: ma insomma tutti questi chiacchieroni della politica che ormai sono diventati noiosissimi, non potrebbero rispettare cinque minuti, dico cinque minuti di silenzio, giusto per immaginare i modi, che forse ci sono, per instaurare una resa, addirittura una collaborazione tra chi non vuole morire di contagio e chi se non proprio di miseria, di guadagni ridotti? Azzardo, magari non chiedendo come sempre aiuto al miserando Stato, ma a sé stesso?

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