Ha scritto Enzo Bianchi “priore di Bose” (ché tale rimane
per me per quell’impegno universalistico che lo ha animato e che ha profuso per
l’intera Sua vita e per il Suo indefesso, fecondo operato) in “Il mestiere di vivere insieme”
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 6 di luglio 2020: Viviamo
in un tempo di incuria delle parole, nel quale abbondano neologismi
eufemistici: si parla di “guerra preventiva” per definire l’aggressione
militare; si ricorre al termine “flessibilità” per parlare di disoccupazione o
licenziamento. Vi è più che mai bisogno di filo-logia, cioè di amore delle
parole; o anche, per dirla con un’altra metafora, di ecologia del linguaggio. A
questa sorte non sfugge nemmeno un termine che spesso sentiamo risuonare: “con-vivere/con-vivenza”.Nel
linguaggio comune è ormai sinonimo di coabitazione tra persone non sposate.
Quale impoverimento! Questa è solo una piccolissima parte della questione. Più
in profondità, con-vivere significa imparare a vivere insieme e apprenderlo
come un vero e proprio mestiere. Chi appartiene alla mia generazione non può
non collegare tale espressione al titolo dei diari di Cesare Pavese: Il
mestiere di vivere. Ebbene, se apprendere l’arte del vivere è una fatica a caro
prezzo, così lo è anche apprendere l’arte, il mestiere del vivere insieme: non
io senza o contro gli altri, ma io insieme agli altri.Tale
cammino non va pensato in termini di impoverimento: “Gli altri sono l’inferno
(Sartre) perché mi tarpano le ali, mi impediscono di sviluppare la mia
personalità, costringendomi al compromesso”. No, è ora di comprendere che
l’incontro, il vivere insieme, in uno scambio di sguardi, gesti, parole e anche
silenzi, può aiutare a far fiorire la personalità del singolo: può aiutarlo a
passare dall’individuo alla persona. Non si dimentichi che, secondo un’ardita
etimologia, “persona” potrebbe derivare dal verbo latino per-sonare: io sono in
quanto risuono all’appello dell’altro. Partendo da tale dimensione di
prossimità, il convivere si allarga anche al senso della convivenza civile.
Come scrive giustamente Andrea Riccardi, “senza una cultura condivisa non si
può fare molto nel nostro mondo e, soprattutto, si rischia tanto. La coscienza
della necessità della civiltà del convivere è l’inizio di una cultura condivisa
tra uomini e donne differenti”.In una semplice domanda: è davvero più
felice chi innalza muri sempre più alti e sofisticati oppure chi sa condividere
(sinonimo di convivere!) ciò che ha ed è, giungendo a un reciproco
arricchimento? La mia cultura cristiana di provenienza mi spinge infine quasi
naturalmente a collegare il tema del convivere a un’espressione di Paolo di
Tarso. Nella sua Seconda lettera ai cristiani di Corinto egli definisce così il
fine della vita cristiana: “Siete nel nostro cuore per morire insieme e vivere
insieme” (“ad commoriendumet ad convivendum”: 7,3).Sembra
un assurdo logico e invece può esprimere mirabilmente il fine del con-vivere,
anche a livello umano: solo chi è disposto a dare la vita per chi gli è
accanto, al limite fino a morire, può giungere davvero a con-vivere, a vivere
insieme agli altri con coscienza di causa. E così si impara, nelle profondità
del cuore, la laboriosa arte dell’intrecciare vite, storie e destini. Traggo
il testo che segue dall’intervento tenuto da Salvatore Settis in occasione del “Convegno internazionale sulla Carta di
Roma 2020” riportato su “il Fatto Quotidiano” di ieri 6 di ottobre con il
titolo “La città del futuro è testa e
popolo”: Nessun essere umano è un’isola. Anzi, non esistono isole, ci sono solo
arcipelaghi o continenti. E quando un’isola è davvero lontana da tutto, può
anche crescervi una grande civiltà, ma condannata a crollare su sé stessa: fu
questo il destino dell’Isola di Pasqua. Anche fra le comunità umane, quel che
ne fa la tessitura e ne assicura il futuro non è una chiusa e cieca identità
fondata sull’esclusione, ma piuttosto l’interscambio con altre culture, con
altre comunità. Un’idea inclusiva di cultura, in cui il dare e l’avere si
incrociano secondo equilibri sempre mutevoli, ma nei quali non c’è mai un polo
attivo che ne ingoia uno passivo, ma una continua osmosi di temi, pensieri,
esperimenti, progetti sul futuro. E il luogo massimo di ogni interazione
culturale è la città, suprema invenzione degli umani: un luogo dove gli scambi
di esperienze e di progetti avvengono per forza di natura, grazie
all’accoglienza e alla fecondità sociale dei luoghi e non solo all’immediata
convenienza (economica o politica) di chi prende la parola. Non stiamo gettando
sul tappeto principi astratti, ma il seme fecondo di un futuro possibile. Con
esso è in piena sintonia l’inedita convergenza fra scienze umane e scienze
naturali che va delineandosi in questi anni. Antropologi e biologi, genetisti e
filosofi riconoscono nel disegno della natura e in quello della storia una
potente tendenza all’inter - connessione (interconnetedness è la parola-chiave,
che –è vero –è diventata di moda, ma con ottime ragioni dato quel che esprime).
Tutti gli organismi viventi (le piante e gli animali, inclusi gli umani)
interagiscono di continuo, sono complementari secondo catene di relazione ma
anche di causa-effetto. Formano un unico gigantesco ecosistema che abbraccia
anche quel che pensiamo come ‘inanimato’ ma non lo è: aria, acqua, terra. Chi
ne considera solo un aspetto isolandolo dall’insieme dovrà arrendersi all’evidenza
di una strettissima interconnessione che è indispensabile a spiegare, in
termini scientifici o filosofici, quel che avviene intorno a noi. E c’è appena
bisogno di ricordarlo in un tempo come il nostro, dove la veloce diffusione di
pandemie ha origine nel mondo animale, è favorita e accelerata dagli
allevamenti intensivi voluti dagli uomini, e colpisce le popolazioni in tutto
il mondo. E non può esserci una vera ‘soluzione del problema’ che tenga in
conto solo gli aspetti economici (la riduzione della produzione, la difficoltà
di ripensare gli allevamenti intensivi, la disoccupazione) o solo l'affannosa
ricerca di terapie, senza analizzare le cause prime di questo fenomeno che è
destinato a crescere nel tempo. Nella città, o nel rapporto fra le città in
quelle più vaste comunità che sono gli Stati o gli organismi interstatali,
questa stretta interconnessione avviene mediante la cultura, ed è qui che la
Carta di Roma 2020, lanciata prima della pandemia, rivela la propria attualità
e la propria urgenza. Le parole con cui comincia (“Noi, il popolo, siamo la
città”) colgono da subito un punto essenziale: prima che strade e piazze, cattedrali
e palazzi, istituzioni e industrie, le città sono folle di donne e uomini con
la loro esperienza, con le loro gioie e dolori, aspirazioni e fallimenti.
Parlare di ‘rigenerazione urbana’ nel senso di recupero o gentrification dei
quartieri storici ha poco senso: non si dà rigenerazione urbana senza
rigenerazione umana. Ed è per questo che (…) la cultura non dev’essere
confinata a una dimensione privata, ma comporta necessariamente l’impegno e
l’investimento delle istituzioni pubbliche. (…). …la Costituzione ha la più
esplicita e netta formulazione della funzione della cultura come ingrediente
essenziale di una società che aspiri all’eguaglianza. Questo dice infatti
l’art. 9 della nostra Costituzione, quando stabilisce fra i principi
fondamentali dello Stato la triangolazione fra cultura, ricerca scientifica e
tecnica e tutela dei paesaggi e dei beni culturali. (…). …questo principio
appare mirato alla riduzione delle disuguaglianze e alla crescita della
giustizia sociale. In una parola, a quella “pari dignità sociale” proclamata
dall’art. 3 della nostra Costituzione molto prima della dichiarazione Onu sui
diritti umani. La cultura, lo dice già la Costituzione, se rettamente intesa è
strumento di eguaglianza, motore di democrazia, spinta all’inclusione. Se
davvero principi come questi verranno adottati da reti e associazioni di
amministrazioni municipali, quella straordinaria formazione storica che si
chiama città potrà essere non solo il luogo privilegiato di diffusione delle
pandemie, ma anche l’incubatore di un nuovo pensiero positivo che faccia leva
sull’analisi dei meccanismi di interconnessione nella natura e nella cultura
per generare un nuovo pensiero creativo. Da esso dovrà venire la forza di
affrontare la crisi che viviamo non come il rassegnato ritorno a un passato
immutabile, ma come la progettazione di un miglior futuro.
"Farsi prossimo con amore richiede di assumersi la responsabilità dell'altro, perché l'amore nella sua forma più alta prende la forma della responsabilità". "Miei cari ecco il mio augurio:cercate di vincere ogni tristezza, di voler bene a chi è con voi, di stupirvi della vita". "Se ti è possibile crea la felicità, mitiga la sofferenza che incontri negli altri e desta fiducia in quanti avvicini:basta per essere in pace". (Enzo Bianchi). "Ognuno di noi è un angelo con una sola ala. Non possiamo volare se non abbracciati all'altro". (Tonino Bello). Carissimo Aldo, grazie di cuore per la condivisione di questo post che tocca profondamente la mia interiorità, donando forti conferme al mio sentire e accrescendo la mia forza nell'agire. Buona continuazione.
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