"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 7 ottobre 2020

Cosedaleggere. 74 «Nessun essere umano è un’isola».

 

Ha scritto Enzo Bianchi “priore di Bose” (ché tale rimane per me per quell’impegno universalistico che lo ha animato e che ha profuso per l’intera Sua vita e per il Suo indefesso, fecondo operato) in “Il mestiere di vivere insieme” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 6 di luglio 2020: Viviamo in un tempo di incuria delle parole, nel quale abbondano neologismi eufemistici: si parla di “guerra preventiva” per definire l’aggressione militare; si ricorre al termine “flessibilità” per parlare di disoccupazione o licenziamento. Vi è più che mai bisogno di filo-logia, cioè di amore delle parole; o anche, per dirla con un’altra metafora, di ecologia del linguaggio. A questa sorte non sfugge nemmeno un termine che spesso sentiamo risuonare: “con-vivere/con-vivenza”.Nel linguaggio comune è ormai sinonimo di coabitazione tra persone non sposate. Quale impoverimento! Questa è solo una piccolissima parte della questione. Più in profondità, con-vivere significa imparare a vivere insieme e apprenderlo come un vero e proprio mestiere. Chi appartiene alla mia generazione non può non collegare tale espressione al titolo dei diari di Cesare Pavese: Il mestiere di vivere. Ebbene, se apprendere l’arte del vivere è una fatica a caro prezzo, così lo è anche apprendere l’arte, il mestiere del vivere insieme: non io senza o contro gli altri, ma io insieme agli altri.Tale cammino non va pensato in termini di impoverimento: “Gli altri sono l’inferno (Sartre) perché mi tarpano le ali, mi impediscono di sviluppare la mia personalità, costringendomi al compromesso”. No, è ora di comprendere che l’incontro, il vivere insieme, in uno scambio di sguardi, gesti, parole e anche silenzi, può aiutare a far fiorire la personalità del singolo: può aiutarlo a passare dall’individuo alla persona. Non si dimentichi che, secondo un’ardita etimologia, “persona” potrebbe derivare dal verbo latino per-sonare: io sono in quanto risuono all’appello dell’altro. Partendo da tale dimensione di prossimità, il convivere si allarga anche al senso della convivenza civile. Come scrive giustamente Andrea Riccardi, “senza una cultura condivisa non si può fare molto nel nostro mondo e, soprattutto, si rischia tanto. La coscienza della necessità della civiltà del convivere è l’inizio di una cultura condivisa tra uomini e donne differenti”.In una semplice domanda: è davvero più felice chi innalza muri sempre più alti e sofisticati oppure chi sa condividere (sinonimo di convivere!) ciò che ha ed è, giungendo a un reciproco arricchimento? La mia cultura cristiana di provenienza mi spinge infine quasi naturalmente a collegare il tema del convivere a un’espressione di Paolo di Tarso. Nella sua Seconda lettera ai cristiani di Corinto egli definisce così il fine della vita cristiana: “Siete nel nostro cuore per morire insieme e vivere insieme” (“ad commoriendumet ad convivendum”: 7,3).Sembra un assurdo logico e invece può esprimere mirabilmente il fine del con-vivere, anche a livello umano: solo chi è disposto a dare la vita per chi gli è accanto, al limite fino a morire, può giungere davvero a con-vivere, a vivere insieme agli altri con coscienza di causa. E così si impara, nelle profondità del cuore, la laboriosa arte dell’intrecciare vite, storie e destini. Traggo il testo che segue dall’intervento tenuto da Salvatore Settis in occasione del “Convegno internazionale sulla Carta di Roma 2020” riportato su “il Fatto Quotidiano” di ieri 6 di ottobre con il titolo “La città del futuro è testa e popolo”: Nessun essere umano è un’isola. Anzi, non esistono isole, ci sono solo arcipelaghi o continenti. E quando un’isola è davvero lontana da tutto, può anche crescervi una grande civiltà, ma condannata a crollare su sé stessa: fu questo il destino dell’Isola di Pasqua. Anche fra le comunità umane, quel che ne fa la tessitura e ne assicura il futuro non è una chiusa e cieca identità fondata sull’esclusione, ma piuttosto l’interscambio con altre culture, con altre comunità. Un’idea inclusiva di cultura, in cui il dare e l’avere si incrociano secondo equilibri sempre mutevoli, ma nei quali non c’è mai un polo attivo che ne ingoia uno passivo, ma una continua osmosi di temi, pensieri, esperimenti, progetti sul futuro. E il luogo massimo di ogni interazione culturale è la città, suprema invenzione degli umani: un luogo dove gli scambi di esperienze e di progetti avvengono per forza di natura, grazie all’accoglienza e alla fecondità sociale dei luoghi e non solo all’immediata convenienza (economica o politica) di chi prende la parola. Non stiamo gettando sul tappeto principi astratti, ma il seme fecondo di un futuro possibile. Con esso è in piena sintonia l’inedita convergenza fra scienze umane e scienze naturali che va delineandosi in questi anni. Antropologi e biologi, genetisti e filosofi riconoscono nel disegno della natura e in quello della storia una potente tendenza all’inter - connessione (interconnetedness è la parola-chiave, che –è vero –è diventata di moda, ma con ottime ragioni dato quel che esprime). Tutti gli organismi viventi (le piante e gli animali, inclusi gli umani) interagiscono di continuo, sono complementari secondo catene di relazione ma anche di causa-effetto. Formano un unico gigantesco ecosistema che abbraccia anche quel che pensiamo come ‘inanimato’ ma non lo è: aria, acqua, terra. Chi ne considera solo un aspetto isolandolo dall’insieme dovrà arrendersi all’evidenza di una strettissima interconnessione che è indispensabile a spiegare, in termini scientifici o filosofici, quel che avviene intorno a noi. E c’è appena bisogno di ricordarlo in un tempo come il nostro, dove la veloce diffusione di pandemie ha origine nel mondo animale, è favorita e accelerata dagli allevamenti intensivi voluti dagli uomini, e colpisce le popolazioni in tutto il mondo. E non può esserci una vera ‘soluzione del problema’ che tenga in conto solo gli aspetti economici (la riduzione della produzione, la difficoltà di ripensare gli allevamenti intensivi, la disoccupazione) o solo l'affannosa ricerca di terapie, senza analizzare le cause prime di questo fenomeno che è destinato a crescere nel tempo. Nella città, o nel rapporto fra le città in quelle più vaste comunità che sono gli Stati o gli organismi interstatali, questa stretta interconnessione avviene mediante la cultura, ed è qui che la Carta di Roma 2020, lanciata prima della pandemia, rivela la propria attualità e la propria urgenza. Le parole con cui comincia (“Noi, il popolo, siamo la città”) colgono da subito un punto essenziale: prima che strade e piazze, cattedrali e palazzi, istituzioni e industrie, le città sono folle di donne e uomini con la loro esperienza, con le loro gioie e dolori, aspirazioni e fallimenti. Parlare di ‘rigenerazione urbana’ nel senso di recupero o gentrification dei quartieri storici ha poco senso: non si dà rigenerazione urbana senza rigenerazione umana. Ed è per questo che (…) la cultura non dev’essere confinata a una dimensione privata, ma comporta necessariamente l’impegno e l’investimento delle istituzioni pubbliche. (…). …la Costituzione ha la più esplicita e netta formulazione della funzione della cultura come ingrediente essenziale di una società che aspiri all’eguaglianza. Questo dice infatti l’art. 9 della nostra Costituzione, quando stabilisce fra i principi fondamentali dello Stato la triangolazione fra cultura, ricerca scientifica e tecnica e tutela dei paesaggi e dei beni culturali. (…). …questo principio appare mirato alla riduzione delle disuguaglianze e alla crescita della giustizia sociale. In una parola, a quella “pari dignità sociale” proclamata dall’art. 3 della nostra Costituzione molto prima della dichiarazione Onu sui diritti umani. La cultura, lo dice già la Costituzione, se rettamente intesa è strumento di eguaglianza, motore di democrazia, spinta all’inclusione. Se davvero principi come questi verranno adottati da reti e associazioni di amministrazioni municipali, quella straordinaria formazione storica che si chiama città potrà essere non solo il luogo privilegiato di diffusione delle pandemie, ma anche l’incubatore di un nuovo pensiero positivo che faccia leva sull’analisi dei meccanismi di interconnessione nella natura e nella cultura per generare un nuovo pensiero creativo. Da esso dovrà venire la forza di affrontare la crisi che viviamo non come il rassegnato ritorno a un passato immutabile, ma come la progettazione di un miglior futuro. 

1 commento:

  1. "Farsi prossimo con amore richiede di assumersi la responsabilità dell'altro, perché l'amore nella sua forma più alta prende la forma della responsabilità". "Miei cari ecco il mio augurio:cercate di vincere ogni tristezza, di voler bene a chi è con voi, di stupirvi della vita". "Se ti è possibile crea la felicità, mitiga la sofferenza che incontri negli altri e desta fiducia in quanti avvicini:basta per essere in pace". (Enzo Bianchi). "Ognuno di noi è un angelo con una sola ala. Non possiamo volare se non abbracciati all'altro". (Tonino Bello). Carissimo Aldo, grazie di cuore per la condivisione di questo post che tocca profondamente la mia interiorità, donando forti conferme al mio sentire e accrescendo la mia forza nell'agire. Buona continuazione.

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