Riparto dalla bella analisi di
Giorgio Ruffolo “Sono dolori se la
ricchezza è un fantasma”, pubblicata sul quotidiano l’Unità (2011) e
riportata su questo blog nella sezione “Sfogliature” del 7 di febbraio
dell’anno 2017, per proporre un interessante scritto di Dani Rodrik - professore
di Economia Politica Internazionale all'Università di Harvard ed autore del
saggio “La globalizzazione intelligente” edito in Italia per i tipi Laterza (2011) -
riportato sul quotidiano “la Repubblica” dell’8 di settembre dell’anno 2011 che
di seguito trascrivo in parte. Ha scritto il professor Ruffolo: “(…).
È avvenuto nel nostro tempo che, con l’enorme portata dei movimenti di capitale
innescati dalla globalizzazione, le attività finanziarie abbiano assunto
dimensioni e generato profitti eccezionali. La finanza è diventata un settore
permanente e sempre più importante dell’economia. Non è uscita più di scena ed
ha assunto forma di un indebitamento permanente, continuamente rinnovato.
L’economista Marc Bloch ha definito il capitalismo del nostro tempo come quel
regime nel quale i debiti non si rimborsano mai”. Fine della citazione.
Non più “l’autunno della finanza” per dirla con Braudel, ma una presenza
costante – quella della finanza globalizzata - che si sostituisce alla economia
delle produzioni e che sta per divenire lo spettro orripilante delle società del
secolo ventunesimo. Una digressione storica. Traggo lo spunto, per la
digressione storica, dalla bella ed interessante lettura del volume “Karl Marx. Vita e opere” di Nicolao
Merker, edito da Laterza (2011) – pagg. 261 € 18,00 -. Scrive Nicolao Merker alla
pagina 87 del Suo lavoro a proposito del “Moro” di Treviri, impenitente
debitore per tutta la Sua vita: “(…). Marx abita in uno di peggiori
quartieri di Londra (Soho n.d.r.), e di conseguenza anche dei più economici.
Occupa due stanze; quella che guarda sulla strada è il salotto, quella che dà
sul retro è la camera da letto (…). In mezzo al salotto si trova un grande
tavolo di età veneranda, ricoperto da uno spesso strato di cera mai rimossa. Su
di esso si ammonticchiano i manoscritti, i libri e i giornali di Marx, i
giocattoli dei bambini, i lavori di rammendo della moglie, tazze da tè dagli orli
sbrecciati, cucchiai sporchi, coltelli, forchette, candelieri, calamai,
bicchieri, pipe di terracotta olandesi, cenere di tabacco, tutto gettato alla
rinfusa su quell’unico tavolo (…). Qui una sedia si regge solo più su tre
gambe, là i bambini giocano alla cucina su un’altra sedia, casualmente rimasta
intera (…). L’accoglienza è la più amichevole; la pipa, il tabacco, e tutto
quello che si trova in casa viene offerto con la massima cordialità. Una
conversazione intelligente e piacevole sopperisce finalmente alle deficienze
domestiche, rendendo sopportabile ciò che al primo impatto era solo sgradevole.
(…)”. Veritiera la cronaca? C’è da dubitarne. La disarmante cronaca è
stata ripresa da un rapporto steso da una spia della polizia prussiana che al
tempo controllava la vita ed i movimenti dei fuoriusciti tedeschi. Sappiamo che
il “Moro”
di Treviri era un formidabile dilapidatore di risorse economiche, una persona
che ha vissuto sempre oltre le Sue disponibilità. Solo la generosità del Suo
amico carissimo Engels riuscì a salvarlo dai Suoi creditori. Fine della
digressione storica. Ché Marx non abbia visto prima di altri e messo in atto
quel “capitalismo
del nostro tempo (…) nel quale i debiti non si rimborsano mai”? Così
tanto per dirla con Marc Bloch. (…). La globalizzazione dell´economia ha
consentito livelli di prosperità senza precedenti nei Paesi avanzati ed è stata
una manna per centinaia di milioni di lavoratori poveri in Cina e in altri
Paesi dell´Asia, ma poggia su piedi malfermi. A differenza dei mercati
nazionali, che normalmente sono supportati da un ampio ventaglio di istituzioni
normative e politiche, i mercati globali non possono contare su fondamenta
solide: non esiste nessun prestatore globale di ultima istanza, nessuna
autorità di regolamentazione globale, nessun regime fiscale globale, nessuna
rete di sicurezza globale e naturalmente nessuna democrazia globale. Questa
governance tanto fragile espone i mercati globali a instabilità, inefficienza e
deficit di legittimazione popolare. Questo squilibrio tra il potere nazionale
dei Governi e la natura globale dei mercati rappresenta il ventre molle della
globalizzazione. Un sistema economico mondiale sano necessita di un delicato
compromesso fra le due cose. Troppo potere ai Governi e ci si ritrova con
protezionismo e autarchia; troppa libertà ai mercati e ci si ritrova con una economia
mondiale instabile e scarso consenso sociale e politico da parte di quelli che
dovrebbero trarne beneficio. (…). La globalizzazione finanziaria ha finito per
propagare instabilità invece che maggiori investimenti e crescita più rapida.
All´interno dei Paesi, la globalizzazione ha generato disuguaglianza e
insicurezza invece di migliorare uniformemente la vita delle persone. In questo
periodo ci sono stati successi clamorosi, Cina e India su tutti. Ma questi sono
Paesi che hanno scelto di giocare al gioco della globalizzazione non secondo le
regole nuove, ma secondo quelle di Bretton Woods: invece di aprirsi
incondizionatamente ai commerci e alla finanza internazionale hanno portato
avanti strategie miste, con una massiccia dose di interventi pubblici per
diversificare le loro economie. Nel frattempo, quei Paesi che seguivano ricette
più consuete (come i Paesi latinoamericani) segnavano il passo. E la
globalizzazione così è diventata vittima del suo stesso successo iniziale. Per
rimettere in piedi, su basi più solide, il nostro mondo economico, bisogna
comprendere meglio il fragile equilibrio fra mercati e governance.
Innanzitutto, mercati e Governi sono complementari, non alternativi. Se
vogliamo più mercati e mercati migliori, dobbiamo avere più governance (e
governance migliore). Il mercato funziona meglio non quando lo Stato è più
debole, ma quando lo Stato è forte. In secondo luogo, il capitalismo non è un
modello univoco: prosperità economica e stabilità si possono raggiungere
attraverso diverse combinazioni di assetti istituzionali nel campo del mercato
del lavoro, della finanza, della gestione aziendale, del welfare e così via. Le
nazioni effettueranno (hanno il diritto di effettuare) scelte diverse fra
questi sistemi, a seconda delle loro esigenze e dei loro valori. (…). Una volta
capito che i mercati per funzionare bene hanno bisogno di istituzioni pubbliche
di governo e di vigilanza, e anche che le nazioni possono avere preferenze
diverse sulla forma che queste istituzioni e queste normative possono assumere,
abbiamo cominciato a raccontare una storia che ci conduce a dei finali
radicalmente diversi. In particolare cominciamo a comprendere quello che io
definisco il «trilemma» politico di fondo dell´economia mondiale: non è
possibile perseguire simultaneamente la democrazia, l´autodeterminazione
nazionale e la globalizzazione economica. Se vogliamo far progredire la
globalizzazione dobbiamo rinunciare o allo Stato-nazione o alla democrazia
politica. Se vogliamo difendere ed estendere la democrazia, dovremo scegliere
fra lo Stato-nazione e l´integrazione economica internazionale. E se vogliamo
conservare lo Stato-nazione e l´autodeterminazione dovremo scegliere fra potenziare
la democrazia e potenziare la globalizzazione. I problemi che abbiamo nascono
dalla nostra riluttanza a confrontarci con queste scelte ineluttabili. Far
progredire insieme la democrazia e la globalizzazione è possibile, ma il
trilemma suggerisce che per fare una cosa del genere sarebbe necessario creare
una comunità politica globale, un progetto molto, ma molto più ambizioso di
qualsiasi cosa si sia vista in passato o si possa immaginare di vedere in un
futuro prossimo. La governance democratica globale è una chimera, che sembra
difficile da realizzare perfino in un raggruppamento ben più ristretto e coeso
come l´Eurozona. Qualunque modello di governance globale si possa sperare di
realizzare in questo momento potrà servire a supportare solo una versione molto
limitata della globalizzazione economica. Dunque dovremo fare delle scelte. Io
non ho dubbi: la democrazia e la determinazione nazionale devono prevalere
sull´iperglobalizzazione. Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro
sistemi sociali, e quando questo diritto entra in conflitto con le esigenze
dell´economia globale, è quest´ultima che deve cedere. Restituire potere alle
democrazie nazionali garantirebbe basi più solide per l´economia mondiale, e
qui sta il paradosso estremo della globalizzazione. Uno strato sottile di
regole internazionali, che lascino ampio spazio di manovra ai Governi
nazionali, è una globalizzazione migliore, un sistema che può risolvere i mali
della globalizzazione senza intaccarne i grandi benefici economici. Non ci
serve una globalizzazione estrema, ci serve una globalizzazione intelligente.
Nessun commento:
Posta un commento