A lato. "Domenica", "acquarello e penna" di Anna Fiore.
Tratto da “La chiesa antica non condannava l'omosessualità” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 31 di ottobre dell’anno 2015:
Solo dall'800, sotto la spinta del materialismo della scienza, i precetti sulla condotta sessuale hanno perso di vista il primato dell'amore. Tornare a quella verità ora si può. Innanzitutto precisiamo i termini. Non capisco perché la Chiesa chiami "castità" l'astenersi dall'esercizio della sessualità. Chiamiamola semplicemente "astinenza", perché altrimenti dovremmo definire "non casti" marito e moglie che, nell'ambito dei loro rapporti, praticano la sessualità. La cosa mi pare sufficientemente offensiva. In secondo luogo, appellarsi alla frase del Vangelo relativa agli «eunuchi che si resero tali per il regno dei cieli» è di nuovo improprio, perché eunuco è chi è privo di organi genitali o per difetto organico o per evirazione. Condizione questa che non mi pare possa essere riferita ai sacerdoti, che disponendo di organi sessuali e non essendo evirati, con gli eunuchi non hanno nulla a che fare. Se poi si volesse applicare la condizione dell'eunuco a quanti aspirano al regno dei cieli" la conclusione sarebbe che, per avervi accesso l'umanità dovrebbe estinguersi. Qui non c'è nulla da «comprendere per chi vuol comprendere». Precisati i termini, le conclusioni non possono essere che queste. I Vangeli sono stati scritti nel I secolo d.C. e fino al Concilio Lateranense III del 1179, quindi per oltre un millennio, l'omosessualità non era considerata un problema che meritasse una particolare discussione, tanto è vero che Anselmo d'Aosta (1033-1109), filosofo, teologo, abate e arcivescovo di Canterbury, poi elevato agli onori degli altari, poteva avere relazioni amorose prima con Lanfranco, poi con una serie di suoi allievi, a uno dei quali, Gilberto, dedica un intero epistolario dove tra l'altro leggiamo: «Amato amante, dovunque tu vada il mio amore ti segue, dovunque io resti il mio desiderio ti abbraccia. E nulla potrebbe placare la mia anima finché tu non torni, mia altra metà separata» (Epistulae 1, 75). Fu solo nell'Ottocento, con la nascita della medicina scientifica, che con gli occhi puntati alla fisiologia e alla patologia dei corpi si stabilì che, siccome gli organi sessuali sono deputati alla riproduzione, ogni rapporto sessuale al di fuori del rapporto tra maschio e femmina, è patologico. E così il "peccato" divenne "malattia". Concetto ribadito dalla psicoanalisi che, dopo aver indicato nel superamento del complesso edipico il giusto "verso" dello sviluppo psichico, rubricò l'omosessualità tra le "per-versioni". È triste assistere al fatto che la Chiesa, la quale non di rado confligge con le posizioni di volta in volta assunte dal sapere medico e psicoanalitico, ceda alla loro visione materialistica, e misconosca, proprio lei, lo "spirito" che, anche nelle relazioni omosessuali, si manifesta innanzitutto nell'affettività e nell'amore, e solo dopo anche nel sesso. Di questo appiattimento soffrono anche gli Stati che non riconoscono le unioni omosessuali, dimenticando il monito di Platone che nel Simposio (182 d) scrive: «Ovunque è stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione omosessuale, ciò è dovuto a difetto dei legislatori, a dispotismo da parte dei governanti e viltà da parte dei governati».
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